decellularizzazione
s. f. Eliminazione da un organo delle sue cellule tessutali specifiche.
• A provocare il rischio del rigetto nei trapianti di pelle con la metodologia tradizionale era il bagaglio di Dna che ogni tessuto prelevato trasportava con sé, che non sempre era compatibile con quello del ricevente. La sperimentazione portata avanti dai due centri [l’istituto Rizzoli e la Banca della cute di Cesena] (tutta l’idea del progetto è partita nel 2005) si concentra sul derma, cioè lo strato connettivo al di sotto dell’epidermide: questo viene ripulito da tutte le cellule (il processo si chiama infatti di «decellularizzazione»); quello che ne rimane è un’impalcatura, una rete, che verrà presto rivitalizzata dal corpo del paziente ricevente, andando a ripopolarla di cellule. (Micol Lavinia Lundari, Repubblica, 20 marzo 2008, Bologna, p. VII) • Nella sua vita precedente, la dottoressa [Silvia] Baiguera, 37 anni, bresciana, lavorava in un laboratorio di ricerca, all’università di Padova. Il suo ambito era quello della decellularizzazione dei tessuti, un’operazione che viene fatta prima dei trapianti per evitare il rigetto, il nemico più insidioso in interventi di questo tipo. (Maria Vittoria Giannotti, Unità, 4 agosto 2010, Firenze, p. II) • gli organi più complessi sono quelli solidi come pancreas, rene e fegato. «Una strada, che attualmente alcuni ricercatori stanno percorrendo nel tentativo di costruire organi complessi, è la decellularizzazione ‒ precisa Andrea Pietrabissa, chirurgo al Policlinico San Matteo di Pavia ‒. Si tratta di utilizzare organi di cadaveri (che non possono essere trapiantati) e di privarli di tutte le cellule: rimane così un’impalcatura attorno alla quale la stampante depositerà strati di cellule nuove, specifiche del paziente, che successivamente si dovranno differenziare». (Adriana Bazzi, Corriere della sera, 24 maggio 2015, p. 47, Salute).
- Derivato dal s. f. *cellularizzazione con l’aggiunta del prefisso de-.