DE ROSSI, Giovanni Giacomo
Fu l'iniziatore della fortuna artistica e commerciale della famiglia De Rossi, originaria del Milanese, che nel sec. XVII e nella prima metà del XVIII rappresentò la maggiore officina per la produzione e il commercio di stampe artistiche a Roma. Intorno al 1640 questa si divise in due botteghe, in via della Pace e in piazza Navona, tra le quali si istituì presto un vero e proprio rapporto di concorrenza; in esse confluirono, attraverso vari canali, numerosi rami che nel secolo precedente erano appartenuti ad Antonio Salamanca, libraio milanese con bottega a Campo de' Fiori, attivo tra il 1530 c. e il 1553, che aveva ripreso la produzione delle stampe artistiche dopo il sacco di Roma, e ad Antonio Lafréry, francesp, socio del Salamanca nel 1553 e attivo sino al 1577.
Capostipite della famiglia fu Giuseppe, stampatore a Roma sin dagli inizi del sec. XVII, come accenna egli stesso in una deposizione al processo per il furto di un rame interitato dall'incisore Giacomo Lauro contro Francesco De Paolis, stampatore alla Sapienza (16 marzo 1635), nella quale affermò di aver bottega di fronte alla chiesa di S. Biagio, alla Pace, e di conoscere il Lauro da più di trent'anni. Si hanno notizie di sue stampe dal 1613 al 1639; tra di esse, di rilievo una serie di Fontane di Roma e altrove, incise da Giovanni Maggi (1618), e la Urbis Romae novissima delineatio (1622, rist. nel 1637), copia della pianta di Roma di Ambrogio Brambilla, pubblicata nel 1590 da Nicola vari Aelst, libraio fiammingo che aveva anch'egli l'officina alla Pace.
Dall'Archivio di S. Maria dell'Anima risulta che nel 1633 Giuseppe pagava 50 scudi l'anno per l'affitto della sua bottega, sita nella casa all'angolo tra via della Pace e via Tor Millina. L'ultimo suo pagamento è del 5 febbr. 1639, mentre il 7 settembre di quell'anno appare sostituito dagli eredi: probabilmente morì tra le due date.
Alla guida dell'officina successe a Giuseppe il D., del quale si ignora la data di nascita. Egli la ampliò nel 1660 e nel 1663, e sottoscriveva le sue stampe con la dicitura "alla Pace, sul cantone, all'insegna di Parigi". Fervido di iniziative e non privo di gusto e di cultura il D., la cui attività si estende dal 1638 al 1691, fece di una bottega a carattere familiare e artigianale una officina di dimensioni internazionali, divenendo il maggior produttore e mercante di stampe a Roma e conferendo a tale commercio una dimensione fino allora sconosciuta. In particolare, egli seppe cogliere e sfruttare l'interesse per il rinnovamento urbanistico che, dopo un lungo periodo di stasi, ebbe luogo a Roma in particolare con Alessandro VII.
L'attività del D., sebbene multiforme, si incentrò soprattutto sulle descrizioni di Roma antica e moderna e dei suoi monumenti. Nel 1648 ristampò la pianta di Roma di A. Tempesta (pubblicata per la prima volta nel 1593 e in seguito nel 1606); dal 1650 riprese e continuò lo Speculum Romanae magnificentiae, iniziato a stampare dal Lafréry nel 1546, opera che riproduceva i monumenti antichi e moderni di Roma; sempre nel 1650 ristampò, con alcune aggiunte, la grande pianta archeologica di Roma di E. Dupérac, incisore parigino, pubblicata per la prima volta da Lafréry nel 1577, nonché una pianta simile, derivata da quella del Dupérac, ma incisa da Giacomo Lauro. Nel 1655 eseguì una pianta del conclave tenutosi durante la sede vacante per la morte di Innocenzo X; in seguito produsse piante per i conclavi della seconda metà del sec. XVII. Ancora nel 1655 pubblicò i Nuovidisegni dell'architettura e piante de'palazzi di Roma de' più celebri architetti, disegnati et intagliati da Gio. Battista Falda...; quest'ultimo, originario di Valduggia, giunse a Roma giovanissimo, e trovò ricovero e protezione proprio presso il D., che ne intuì le capacità e l'abilità e le sfruttò per realizzare quel binomio incisore-editore così necessario alle sue imprese artistiche e alle nuove realizzazioni che intendeva perseguire.
Secondo il Cotta, il D., che doveva avere parecchie conoscenze nel mondo culturale romano, si occupò anche del perfezionamento artistico del Falda, e lo difese da quei personaggi della corte romana che, avendo cercato di convincerlo a lavorare per loro e avendone ottenuto un rifiuto, non lo vedevano di buon occhio. L'esattezza del disegno e il buon gusto nella descrizione delle parti monumentali furono le caratteristiche che distinsero il Falda dagli incisori a lui contemporanei.Il binomio Falda-D. produsse numerose opere: nel 1665 Il Nuovo Teatro delle fabbriche, & edifitij di Roma moderna, sotto il pontificato di Papa Alessandro VII, e Ilterzo libro del Nuovo Teatro delle facciate delle chiese di Roma date in luce sotto il fel. Pontificato di N. S. papa Clemente IX, più una pianta piccola di Roma incisa durante il pontificato di Alessandro VII. Nello stesso anno l'officina di piazza Navona, tenuta da Giovanni Battista De Rossi, probabilmente parente del D., mise in commercio una pianta di Roma di Lievin Cruyl, incisore fiammingo, che aveva la caratteristica del tutto nuova di tracciare geometricamente la rete stradale e in alzato solo le fabbriche più notevoli, e che ebbe discreto successo. Il D. impegnò allora il Falda a un'impresa analoga, dal risultato possibilmente superiore; ne conseguì una pianta grande di Roma, pubblicata nel 1676, che rimase, fino a quella di G. B. Nolli del 1748, la pianta di maggiore importanza della città.
Nella prefazione il D. eseguì un bilancio della multiforme attività svolta sino ad allora nel campo delle stampe artistiche di Roma e aggiunse "... mi restava solo di perfettionare la Pianta di Roma moderna".
La cura estrema nel riprodurre i particolari è la caratteristica principale della pianta del Falda, che è a proiezione verticale e trova numerosi punti di contatto con la pianta di Roma del Tempesta, che nel 1666 proprio il D. aveva ristampato, con l'aggiunta di alcuni edifici più recenti. Falda morì precocemente il 22 ag. 1678, ma la sua pianta venne ristampata più volte dal D. e dai suoi eredi (1697, 1705, 1730, 1756).
Tra le altre opere di rilievo, il D. stampò nel 1658 le Effigies, insignia, nomina, cognomina, patriae et dies ac obitus summorum pontificum et S.R.E. cardinalium defunctorum ab anno MDCLVIII;l'opera, che ha nel frontespizio inciso la raffigurazione della chiesa di S. Maria della Pace, è dedicata ad Alessandro VII. Nel 1680 pubblicò una Tavola generale dell'Italia divisa ne' suoi regni, principati, ducati, et altri dominii, disegnata originariamente dal cartografo Nicolas Sanson e corretta e completata da Michele Antonio Baudrand. Oltre alle edizioni già citate, uscirono dall'officina del D. riproduzioni tratte da opere di artisti famosi (Raffaello, Michelangelo, Andrea Mantegna, Annibale Carracci, Correggio, ecc.), mentre, oltre al Falda, egli si valse dell'opera di numerosi altri incisori (Giacomo Lauro, Dominique Barrière, Johann Blaeu, Jean Luillier, Federico De Wit, François Perrier, etc.).
Il D. continuò a stampare fino al 1691 e si può supporre abbia cessato di vivere intorno a quella data.
Dal 1693 gli successe Domenico, che in una stampa di quell'anno riproducente un affresco della Farnesina si dice "Io. Iacobi filii et haeredis". Domenico pubblicò periodicamente dei cataloghi delle stampe esistenti nella sua bottega (1700, 1705, 1709, pubblicazione già iniziata dal D. sin dal 1677). Le ultime stampe sono del 1720; in una pianta del conclave del 1721 compare il nome di LorenzoFilippo, che in un catalogo della casa del 1724 si dice "Lorenzo Filippo De Rossi del fu Domenico, erede di Gio. Giacomo". Nel 1732 Lorenzo Filippo manifestò la sua intenzione di ritirarsi dall'azienda, e la rinomanza di quest'ultima suscitò l'interesse di alcuni negozianti inglesi, che gli offrirono 60.000 scudi per la cessione dell'officina e del suo contenuto. Quando la cosa venne a conoscenza della Camera apostolica, il card. N. Corsini, camerlengo, intimò formale inibizione a Lorenzo Filippo di vendere, sotto pena della perdita dei rami e del valore della collezione (17 ott. 1732). Dopo una lunga trattativa durata sei anni e numerose perizie, Clemente XII acquistò per 40.000 scudi più altri benefici in favore dei De Rossi l'intera collezione, che costituì il nucleo iniziale della Calcografia camerale, divenuta poi Calcografia reale e quindi nazionale.
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