DE MIRO, Giovanni Battista
Nacque a Gragnano, presso Napoli, nel 1656.
Il 27 nov. 1672 prese i voti nel monastero benedettino di S. Severino in Napoli. Ancora giovane insegnò teologia scolastica a Napoli e Venezia, e canonistica a Roma, nel collegio di S. Anselmo. Ellenista di grande valore molto apprezzato dai contemporanei (tra cui ricordiamo il card. A. M. Querini, L. A. Muratori, G. M. Lancisi, archiatra di Innocenzo XI), ebbe tra i suoi allievi Celestino Pezzancheri, abate di Casamari e vescovo di Tivoli, e Benedetto Bacchini, che scrisse di averlo avuto come insegnante di greco al monastero di Parma. L'8 genn. 1693 entrò nell'Arcadia col nome di Meone Lasionio.
Non ha lasciato opere stampate, ma alcuni carmi greci da lui composti, con traduzione latina a fronte, si trovano in opere del card. José Saenz de Aguirre (S. Anselmi ... theologia commentariis, II, Romae 1689; Collectio maxima conciliorumomnium Hispaniae et novi orbis, II, Romae 1694, pp. IX s.) e nell'opera Rime di Alfesibeo Cario, di G. M. Crescimbeni (Roma 1695, I, pp. 65-69; II, pp. 167 ss). Era inoltre in corrispondenza con L. A. Muratori, al quale inviò alcune descrizioni di codici vaticani che l'erudito modenese pubblicò nei suoi Anecdota Graeca. Nella prefazione dell'opera il Muratori gli manifestò la sua riconoscenza. Sua è anche un'iscrizione nel portico di S. Maria in Trastevere a proposito della collocazione in tale chiesa di un sarcofago che apparteneva al card. Carpegna.
Innocenzo XII lo nominò consultore della Congregazione dell'Indice e qualificatore del S. Offizio. In questa seconda veste fu chiamato ad un compito di particolare importanza. Dopo la pubblicazione del libro di Fénelon Explication des maximes des saints, che aveva suscitato numerose polemiche e dubbi sulla sua ortodossia, Innocenzo XII decise di creare un gruppo di dieci ecclesiastici, appartenenti alle diverse scuole teologiche, per esaminare l'opera. Il D. fu chiamato a rappresentare i benedettini. Cinque pareri risultarono favorevoli al vescovo di Cambrai e cinque contrari; tra le censure, quella del D., che si limitò a qualificare come erronee le trentasette proposizioni dell'opera di Fénelon (tale censura si trova nel ms. della Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat. 7393, ff. 103r-166r, ed è edita in Analecta iuris pontificii, avril 1881, coll. 407-38: Maximes de Fénelon - Votum de Leon-Baptiste de Miro).
La qualificazione di erronea era quella immediatamente al di sotto dell'eresia, e colpiva le asserzioni opposte alle dottrine teologicamente certe. Tra le altre censure, quella di Nicola Serrano, procuratore generale degli agostiniani, accusava decisamente l'opera di eresia, mentre Antonin Massoulié, domenicano e inquisitore a Tolosa, poneva l'accento sull'accordo tra le proposizioni del libro e le dottrine quietiste. Anche Andrea Granelli, dei minori osservanti, e Paolino Bernardini, maestro del Sacro Palazzo, espressero parere negativo sull'ortodossia dell'opera. A favore di Fénelon si schierarono il gesuita Giuseppe Alfaro, professore al Collegio Romano, Lambert Le Drou, vescovo di Porfireone e sacrista, il cistercense Gian Maria Gabriellil Filippo da S. Nicolò, preposito generale dei carmelitani scalzi e l'arcivescovo di Chieti Nicola Radolovich.
Essendo i pareri in numero pari, Innocenzo XII decise di rimettere la questione ai cardinali del S. Offizio, che dal 17 nov. 1698 al 13 febbr. 1699 esaminarono un gran numero di scritti di Fénelon, oltre alle trentasette proposizioni dell'opera. Il 12 marzo 1699 Innocenzo XII condannò con il breve Cum alias ventitré proposizioni estratte dalla Explication des maximes des saints, senza peraltro qualificarle di eresia. Non condannò invece alcuno dei numerosi scritti apologetici che Fénelon aveva pubblicato a giustificazione e spiegazione della sua dottrina.
Il 25 genn. 1698 il D. era stato nominato secondo custode della Biblioteca Vaticana. Il nuovo papa, Clemente XI, lo chiamò a far parte della commissione da lui istituita per correggere i piccoli errori che si trovavano ancora nel calendario gregoriano, e che decise l'impianto di una meridiana, inaugurata dal papa il 6 ott. 1702, nella chiesa di S. Maria degli Angeli.
Il 22 sett. 1711 il D. rinunciò all'incarico nella Biblioteca Vaticana per dedicarsi alla sua congregazione. Fu abate nel monastero napoletano di S. Severino, quindi fu nominato procuratore generale e, nel capitolo generale tenutosi a Perugia nel 1720, fu chiamato alla massima carica, quella di presidente della congregazione stessa. Rimase in tale carica fino al 1723. Nel frattempo l'imperatore Carlo VI d'Austria, alla corte del quale era dignitario Vincenzo, fratello del D., lo aveva richiesto come precettore per il figlio, l'arciduca Leopoldo, ma la morte prematura di quest'ultimo impedì l'esecuzione del progetto.
Il D. si ritirò quindi a Napoli, dove morì il 27 genn. 1731.
Fonti e Bibl.: A. Guidi, Rime, Roma 1704, p. 1171; G. M. Crescimbeni, Le vite degli arcadi illustri, I, Roma, 1708, p. 214; II, ibid. 1710, p. 53; III, Roma 1714, p. 185; L. A. Muratori, Anecdota Graeca, Patavii 1709, pp. 211, 213; M. Armellini, Bibliotheca benedictino-casinensis, II, Assisii 1732, pp. 27-31; M. Ziegelbauer, Historia rei literariae Ordinis S. Benedicti, I, Augustae Vind. Herbipoli 1754, pp. 267, 342, 614, IV, ibid. 1754, p. 665; V. Ariani, Mem. della vita e degli scritti di Agostino Ariani, Napoli 1778, p. 169; I. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890. Mem. stor., I, Roma 1891, pp. 585 s.; P. Dudon, Le quiétiste espagnol Michel Molinos (1628-1696), Paris 1921, p. 243; P. Lugano, L'Italia benedettina, Roma 1929, p. 80; L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, p. 386; J. Orcibal, Le procès des "Maximes des Saints" devant le Saint-Office, in Arch. ital. per la storia della pietà, VI (1968), p. 422; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, pp. 146, 156, 158, 333, 351.