DE MARINI (Marini), Paolo Maria
Nacque a Genova nel 1632 da Gerolamo di Francesco, quartogenito dopo Francesco, Domenico ed Ettore Carlo, con lui ascritti alla nobiltà il 18 dic. 1649. Non si hanno notizie della sua formazione e della sua carriera politica prima della nomina a ministro residente in Francia, nel 1681. Arrivò a Parigi il 21 dic. 1681, ma solo il 28 marzo 1682 fu ricevuto in udienza ufficiale e poté presentare le credenziali al re. Nel 1683 fu protagonista di un episodio clamoroso, nel quale sostanzialmente si esaurisce la sua biografia.
Luigi XIV, approfittando della debolezza della Repubblica, ormai poco difesa dalla Spagna, le rivolse una serie di richieste ritenute provocatorie e lesive della sovranità genovese. Tali richieste furono inoltrate attraverso l'ambasciatore francese a Genova, Fr. Pidou marchese di Saint-Olon, e appunto attraverso il D.; esse comprendevano il disarmo di quattro galee che la Repubblica stava allestendo, e che il re insinuava fossero destinate ad affiancarsi alla flotta spagnola in funzione antifrancese, e la concessione alla Francia di un grande deposito di sale a Savona per il rifornimento della guarnigione di Casale, recentemente acquistata dalla Francia.
Le risposte negative del governo genovese, pur tra le convenzionali espressioni di deferenza, inasprirono il re, che ruppe le relazioni diplomatiche, richiamando a Parigi il Saint-Olon e rifiutando di ricevere il D., che comunque per ordine del governo rimase a Parigi. Alla rottura diplomatica non seguì immediatamente la dichiarazione di guerra, ma nei porti della Provenza si cominciò a preparare una flotta che molte voci indicarono subito diretta contro Genova. Invece, a questo punto, il D. dimostrò ingenuità e superficialità, poiché da Parigi rassicurava il suo governo sull'impossibilità giuridica della dichiarazione di guerra alla Repubblica, e attribuiva anzi alla malevolenza degli altri ambasciatori a Parigi l'origine delle voci tendenziose. E benché il nunzio della S. Sede, monsignor A. M. Ranuzzi, avesse più volte insistito col D. affinché questi sollecitasse il suo governo a concludere direttamente una tregua ufficiale con la Francia, il D. scriveva a Genova esprimendo la sua diffidenza nei confronti del nunzio, che riteneva interessato a staccare Genova dalla Spagna. Forse proprio l'antipatia personale nei confronti del Ranuzzi che traspare dai dispacci del D., unitamente alla sua incomprensione della personalità del re, che non si preoccupava certo di coperture giuridiche, favorì la miopia delle sue informazioni e il suo grossolano errore di valutazione politica. Tanto che il dispaccio inviato dal D. per annunciare la partenza della flotta francese da Tolone "diretta in Catalogna" e che solo "voci maligne" insinuavano diretta a Genova, arrivò al governo il 27 maggio, a bombardamento avvenuto. L'azione della flotta francese, che aveva sottoposto Genova a cinque giorni di bombardamento, suscitò lo sdegno più o meno interessato delle altre potenze; ma Luigi XIV, incurante delle proteste internazionali, specie dell'Inghilterra, e di quelle genovesi, minacciò di riprendere l'azione punitiva contro la città e, il 3 giugno 1684, fece rinchiudere il D. nella Bastiglia.
Tuttavia il D. poteva continuare a corrispondere col suo governo, anche se ovviamente i suoi dispacci erano controllati, come del resto era avvenuto anche precedentemente. In questa circostanza il D. mantenne un comportamento dignitoso, retoricamente celebrato dalle storie genovesi sull'argomento, che tutte riportano le nobili parole del dispaccio con cui egli raccomandava al governo di non preoccuparsi di lui, disposto a tutto per l'onore della Repubblica. E quando Genova, al di là delle generiche dichiarazioni di solidarietà, abbandonata dalla Spagna, si rese conto di essere completamente isolata di fronte alla volontà di Luigi XIV e, consigliata in particolare dal papa, si piegò ad un accomodamento, le condizioni furono negoziate a Parigi nell'autunno 1684 dal D., comunque ancora trattenuto alla Bastiglia fino al gennaio successivo, e dal nunzio Ranuzzi.
I dispacci del D. proseguirono fitti durante l'inverno dell'84 sulla trattativa circa l'umiliante condizione, posta dal re, di avere il doge a Versailles, e in questa seconda fase, egli si dimostrò senz'altro più abile che nella precedente.
Resosi conto che il re aveva interesse a risolvere comunque la questione di Genova per potersi dedicare all'urgentc questione religiosa, il D. riuscì ad ottenere, secondo quanto richiedeva il governo di Genova, che la deputazione del doge dovesse essere considerata una ambasciata di puro ossequio, con diritto di ammissione all'udienza reale senza dilazioni e con facoltà autonoma di ritorno in patria. Il trattato venne finalmente sottoscritto il 2 febbr. 1685 da Ch. Colbert marchese di Croissy, in nome del re, e dal D., in nome della Repubblica, con la mediazione del Ranuzzi. Ratificato dal Minor Consiglio tra perplessità e proteste, vennero nominati i quattro senatori (Giannettino Garibaldi, Agostino Lomellini, Paride Salvago e Marcello Durazzo) che avrebbero accompagnato a Parigi il doge F. M. Imperiale Lercari. Il carteggio del D. nel maggio '85 riportava tutti i particolari di questo "soggiorno" e il successo personale del doge a corte, fino all'udienza di congedo del 26 maggio.
Il D. partì da Parigi il 29 novembre. Tornato a Genova, risultò estratto senatore nel 1690 e nel 1696 e fu nominato tra i Padri del Comune nel 1693, 1694 e nel 1701. Non risulta aver ricoperto altre cariche; probabilmente era già morto da qualche anno senza aver lasciato figli quando, nel 1725, Giovan Giacomo Cattaneo accedette ad un contestato diritto di primogenitura che era stato del De Marini.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss. 454, cc. 4, 90 ss.; Genova, Civica Bibl. Berio, m.r. X. 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova (Genova 1782), c. 923; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, VII, Genova 1837, pp. 127, 152; M. Spinola, Dissert. intorno alle negoziazioni diplomatiche tra la Rep. di Genova e Luigi XIV negli anni 1684 e 1685, in Giornale ligustico, IV (1877), pp.73, 82, 86, 100, 112, 115 s., 119 s., 123-126, 129-132;A. Boscassi, Il magistrato dei Padri del Comune, Genova 1912, p. 56;F. Donaver, La storia della Repubblica di Genova, Genova 1913, II, pp. 327, 332; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. lig. di storia patria, LXIII (1934), pp. 146 s.; Id., Breviario della storia di Genova, Genova 1955, I, pp. 317 ss., 428; II, p. 144 (con bibl.); G. Guelfi Camajani, II "Liber nobilitatis Genuensis", Firenze 1965, p. 332;Martini Gori, La Liguria e la sua anima, Genova 1967, p. 352.