DE MARI, Domenico Maria
Nacque a Genova da Stefano e da Livia Maria Lercari di Giovan Battista nel 1653 e fu battezzato nella chiesa di S. Siro (la data di nascita del 18 ott. 1653, indicata dal Levati, è in contraddizione con quella del battesimo del 28aprile dello stesso anno, riportata sul Liber nobilitatis).
Il D. fu il primo dei figli nati dal secondo matrimonio di Stefano, che dalla prima moglie, Valeria De Marini, aveva già avuto quattro figli maschi: Girolarno, Giovanni Felice, Nicolò ed Agostino, tutti nati tra il 1644 e il 1647; dopo il D. nacquero altri due maschi: Francesco nel 1656 e Camillo nel 1660. La famiglia De Mari, di antichissima nobiltà, aveva ritrovato potenza economica e politica grazie all'attività assentista sviluppata nel corso dei due secoli precedenti la nascita dei D., e proprio il padre del D. aveva suggellato con l'elezione a doge nel 1663 (primo della famiglia) l'apice del prestigio familiare e personale.
Il D: e il fratello Girolamo, eletto doge alcuni anni prima di lui (1699-1701), non sembravano dotati però della stessa forte personalità del padre; e benché anche un loro nipote, Lorenzo figlio di Nicolò, venisse poi eletto alla massima carica nel 1744, la famiglia sembra perdere incisività nel tessuto politico della Repubblica. Del resto molti membri abbracceranno la carriera ecclesiastica, altri si trasferiranno a vivere in Spagna o nei feudi familiari (in Italia meridionale, in Lombardia, in Corsica) ed altri si spegneranno senza prole: al punto che la famiglia, che appare molto prolifica nel corso del XVII secolo, risulterà tra quelle prossime all'estinzione nella seconda metà del Settecento (nella relazione commissionata a Giovan Francesco Doria nel 1747 sulle cause della decadenza della nobiltà, la famiglia De Mari è indicata tra quelle aventi ormai un solo ramo di successione maschile). Gli stessi figli del D. probabilmgnte vissero in Spagna al servizio diretto di quella Corona.
In gioventù, il D. dovette occuparsi dei traffici internazionali e dell'attività bancaria della famiglia, e probabilmente risiedette anch'egli per alcuni periodi in Spagna; tuttavia alla sua educazione non furono estranei elementi di arte militare, secondo una caratteristica ricorrente nella sua famiglia. Anche nell'attività politica, intrapresa nel 1680 (e che lo portò tra i senatori della Repubblica nel 1698), espletò funzioni preferibilmente legate alla sua fama di abile economista: tra il 1680 e il 1700 fu eletto quasi costantemente o al magistrato della Moneta o a quello dei Cambi, e fece parte della commissione preposta "ad augendum commercium".
A questa intensa attività economica fanno riferimento i panegiristi del D. in occasione della sua elezione ducale, riconoscendogli il merito di aver allontanato, in più di una occasione, l'incubo della carestia e di aver anzi consentito alla città rifornimenti eccezionalmente abbondanti. Tale abbondanza dovette certo tradursi anche in personali vantaggi per il D., come lasciano trapelare allusioni e doppi sensi che sono presenti in alcuni componimenti che gli furono dedicati dalla ligure Accademia di Arcadia.
Accanto alle innocue composizioni del nipote del D., il futuro doge Lorenzo (allora, nel 1707, vicecustode dell'Accademia), e a quelle di altri nobili del gruppo (Nicolò Spinola, Nicolò Pallavicini, Giuseppe M. Durazzo, Nicolò Di Negro, Michele Imperiale), l'abate Matteo Franzone, sotto lo pseudonimo di Clorano Alesiceate, in abilissime sestine insinua che la carica ducale sarebbe stata precedentemente rifiutata dal D., perché troppo impegnato a curare gli affari privati, che ora invece la sua "grande mente" ha trovato modo di espletare "mentre ai pubblici impieghi e veglia e interide". Ma nelle stesse sestine gli è riconosciuto il merito di aver proseguito in quella politica di riarmamento marittimo, che era un po' una costante della famiglia De Mari, e di aver dimostrato abilità ed equilibrio nei conflitti interni della Repubblica. La moderazione e l'abilità di mediazione, senza ricorsi alla violenza, sono le doti del D. che vengono ribadite in tutti i discorsi ufficiali: tanto in quello dell'incoronazione, tenuto a palazzo ducale da Nicolò Garibaldi, quanto in quello tenuto in Arcadia da Giovan Benedetto Gritti. Anzi, quest'ultimo esplicitamente sottolinea la notevole tolleranza dimostrata dal D., durante l'esercizio dell'ufficio di supremo sindicatore nel 1704, non solo "a benefizio dei cittadini ricchi e nobili", ma anche della "bassa e oscura plebe e di noi uomini di contado".
Il D. fu eletto doge il 9 sett. 1707 con 374 voti su 596, dopo ventisette giorni di sede vacante dalla cessazione del dogato di Stefano Onorato Ferretti. L'incoronazione in duomo avvenne due mesi dopo, il 12 novembre; e fu officiata da Vincenzo M. Durazzo, vescovo di Savona. Il suo dogato (che si presentava difficile sotto il profilo militare ed economico a causa del perdurare della guerra di successione spagnola, che aveva minacciato anche i confini e gli interessi della Repubblica) conseguì un molto propagandato successo politico grazie all'abilità di diplomatico del fratello del D., Francesco, il quale riuscì a tenere fuori dal territorio della Repubblica le truppe di Eugenio di Savoia, dietro consegna di 40.000 doppie invece delle 60.000 richieste.
Nella sua qualità di doge, il D. ricevette una dedica particolare: quella degli Annali della Repubblica di Genova, che Filippo Casoni pubblicò presso l'editore Casamara di Genova proprio tra gli anni 1707 e 1708. La dedica al doge e ai senatori e procuratori rientra del resto in una doverosa ufficialità e non comporta di per sé nessun particolare legame politico tra il D. e il Casoni; mentre potrebbe essere interessante indagare sulle posizioni assunte dal D. (prima dell'elezione dogale in quanto membro del magistrato dell'inquisizione di Stato, e in seguito come presidente della stessa magistratura) nei confronti della tormentata pubblicazione degli Annali e delle altre opere del Casoni.
Il D. cessò il dogato il 9 sett. 1709, e a lui successe il 14 sett. Vincenzo Durazzo; quindi, fino al 1716, occupò la presidenza di varie magistrature, tra cui quella della Guerra. Nel 1716 i biografi (Cappellini e Levati) segnano la sua morte: invece era ancora vivo.1 in Spagna, nel 1720.
Infatti in una lettera di istruzioni a Francesco Maria Balbi, inviato alla corte di Madrid il 10 marzo 1721 (dopo la riapertura dei rapporti diplomatici con la Spagna, che erano stati interrotti a causa della questione del cardinale Alberoni), il governo genovese lo incaricò di ringraziare personalmente il marchese Spinola, che, l'anno precedente, aveva offerto la propria mediazione grazie all'intervento del D., cui il governo si era rivolto in via non ufficiale. Nelle istruzioni si esprime il rincrescimento di aver dovuto più volte "recare incomodo" al D., per averne sfruttato le relazioni politicamente influenti a Madrid. Del resto il D. era legato agli Spinola spagnoli attraverso la moglie Isabella e probabilmente, anche se egli risulta essere stato sepolto a Genova nella chiesa di S.Maria della Sanità, i due figli maschi, Stefano Maria (nato il 22 dic. 1679) e Francesco Agostino (nato il 28 ag. 1688), iscritti alla nobiltà genovese il 17 dic. 1701, vissero in Spagna.
Di certo Stefano nel 1734, ormai morto il D. tra il 1721 e questa data in cui è citato come defunto (probabilmente nel 1726), viveva alla corte di Madrid: e a lui faceva spesso ricorso, per incarico del governo di Genova, il segretario di ambasciata G. O. Bustanzio. Tuttavia lo Stefano figlio del D. non deve essere confuso con l'omonimo cugino marchese e generale delle galee, intimo amico del primo ministro spagnolo (nella cui casa risulta alloggiato a Madrid nel 1736), il quale, essendo citato nella medesima corrispondenza del Bustanzio come fratello di Ippolito, non può essere figlio del D., ma del fratello di questo, Francesco.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss. 493, c. 209; Genova, Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani 125; G. Giscardi, Origini e fasti delle nobili famiglie di Genova, c. 371; Ibid., Civica Bibl. Berio, ms. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, (1782), c. 905, Ibid., Bibl. universitaria, D VI 25, Miscellanea (contiene pp. 1-54 Adunanza dei pastori arcadi nella esaltazione del seren. D. M. D. doge, Genova 1707 e Orazione dell'ill.mo Niccolò Garibaldi...); Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, V, p. 315; VI, p. 184; G. Banchero, Genova e ledue Riviere, Genova 1846, I, p. 331, L. Levati, Idogi biennali della Repubblica di Genova, Genova 1912, I, pp. 12 s., 123; L. Volpicella, Ilibri cerimoniali della Rep. di Genova, in Atti d. soc. lig. di storia patria, XLIX (1921), pp. 332 s.; A. Cappellini, Dizionario biografico di Genovesi illustri e notabili, Genova 1936, p. 55; G. Guelfi Camaiani, Il "Liber nobilitatis Genuensis"..., Firenze 1965, pp. 327 s.