DE DONATI
Famiglia di scultori, pittori e artigiani milanesi operanti tra il 1480 e il 1530. Attraverso i documenti è noto il nome di Giovanni, che sappiamo ancora vivo il 24 gennaio 1484 (Maiocchi, 1937, pp. 288 s.) e già morto il 3 dicembre dello stesso anno (ibid., p. 297, doc. n. 1253). Non si hanno altre notizie di questo "magister", né si conoscono sue opere. Sono noti i figli Francesco, Giovanni Pietro., Giovanni Ambrogio e Ludovico (cfr. Romano, 1982, p. 1153 che per primo ha ipotizzato che Ludovico, Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio fossero fratelli; Venturoli, 1982, pp. 105 s.).
Francesco è citato per la prima volta a Pavia il 18 dic. 1484 (Maiocchi, 1937, p. 297, doc. n. 1253) come teste in un pagamento di affitto; in questo documento è qualificato come "intaliator": evidentemente collaborava con i fratelli, impegnati in quel periodo nel coro di S. Francesco a Pavia. Nei documenti successivi risulta aver cambiato attività: il 27 ag. 1491 prende come apprendista un giovane per insegnargli "exersitio tessen i" (Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, Not. D. Scaravaggi, f. 4299).
Non bisogna confondere questo Francesco con il nipote Francesco, figlio di Giovanni Ambrogio e di Margherita Pozzobonelli, che continuò l'attività del padre come intagliatore, citato in un documento del 30 ottobre 1516 come autore di una cornice per un'ancona dipinta da Bernardino Luini per la chiesa di S. Vincenzo a Gravedona (Ibid., Not. G. A. Taggi, f. 5339).Nel 1517 Francesco ritirava una cornice commissionata al padre nel 1514 e non pagata: si trattava di un "ornarnentum" per un quadro con la Maestà dipinto da Costantino da Vaprio il giovane (Ibid., Not. M. A. Castelfranco, f. 7190, 23 maggio 1517). Anche questo Francesco dovette interrompere l'attività di scultore in legno in quanto l'11 genn. 1526prese come apprendista un giovane per insegnargli il mestiere di calzolaio (Ibid., f. 7196).
Documentata a lungo è invece l'attività di scultori in legno dei due fratelli Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio.
Dal momento che dai documenti non risulta che anche il fratello Ludovico abbia eseguito sculture lignee, secondo quanto già proposto dalla Fabjan (1985, p. 46),le opere di scultura tradizionalmente attribuite a Ludovico dovranno essere riportate all'attività della bottega dei fratelli Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio.
La prima opera documentata dei fratelli Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio "habitatores civitatis Mediolani porte Orientalis Parochie S. Martini in compedo" è il coro per la chiesa di S. Francesco a Pavia: il contratto viene stipulato nel convento di Pavia il 24 genn. 1484 (Maiocchi, 1937, pp. 288 s.) alla presenza, tra gli altri, di Francesco della Somaglia, la cui figura di committente e stata messa in luce da Romano (1982, p. 114); esistono pagamenti del 4 agosto e 22 dicembre sempre nel 1484 (ibid., pp. 294, 297). Il coro, che doveva comprendere diciassette stalli superiori e diciassette stalli inferiori, doveva essere eseguito sul modello del coro di S. Ambrogio a Milano.
Èinteressante notare che a sua volta, nel contratto per il coro di S. Ambrogio del 1469, opera di Lorenzo da Udrigio, Giacomo de' Turri e Giacomo Del Maino, si diceva esplicitamente di riprendere il coro (perduto) di S. Francesco a Milano (G. Biscaro, Note e docc. santambriosiani, in Arch. stor. lomb., XXXII [1905], pp. 47-94).Il coro di Pavia dunque si inserisce in una precisa tipologia di cori lignei in gran parte ancora esistenti tra Piemonte e Lombardia (Mattirolo, 1939):a Ivrea, ora ai Musei civici di Torino, del 1467-70 (Mallè, 1965, pp. 140 s.; MaritanoScaranari, 1979); a Biella in S. Stefano, del 1478 (Sciolla, 1980) e a S. Antonio di Ranverso, ora Saluzzo, del 1480c., cori caratterizzati dai postergali decorati con piante e fiori, la cui origine iconografica risale ai tacuina sanitatis (cfr. Toesca [1912], 1966).Il coro di S. Francesco a Pavia, come tutti i cori quattrocenteschi, era inserito entro un recinto in fondo alla navata maggiore della chiesa, rivolto verso l'abside.
Solo dopo il concilio di Trento questi cori furono smontati, spostati e trasformati. La struttura del coro come oggi si vede non è infatti quella originale e quattro dorsali, evidentemente non riutilizzati, sono conservati nella Pinacoteca Malaspina di Pavia (Vicini, 1981); altri frammenti simili sono nel Museo del Sacro Monte a Varese, ma con tutta probabilità provenienti da un altro coro (C Del Frate, S. Maria del Monte..., Varese 1931 pp. 154, 171 e tavv. CXXXII, 239 s.). Le sculture dei dorsali, pur inserendosi in un determinato filone della scultura lignea quattrocentesca di origine tardogotica, sono già pienamente moderne e presentano un preciso aggiornamento sui modi della scultura del cantiere della certosa di Pavia. Lo stile è caratterizzato da una particolare morbidezza dell'intaglio estremamente efficace per rendere la naturalezza delle piante, dei fiori e delle foglie; più secche si presentano le poche figure dove è già possibile riconoscere lo stile tipico della o bottega" dei D., con le figure un po' tozze, i volti larghi e schiacciati, i capelli a spirale e le pieghe dei panneggi a piani larghi.
Del 13 giugno 1485 è il contratto con Giovanni Ambrogio per la cornice del polittico di Treviglio commissionato il 26maggio a B. Butinone e B. Zenale (Shell, 1982, pp. 265, 272 doc. n. 5). Nell'ultimo pagamento a Giovanni Pietro e a Giovanni Ambrogio, del 4 genn. 1491, la cornice e quindi l'intero polittico risultano già montati sull'altare della chiesa (Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, Not. M. Agrati, f. 3326).
La cornice, il cui disegno originale è stato ricostruito da Rolando Perino (1982), è strettamente legata alla rappresentazione prospettica delle tavole dipinte ed è a sua volta eseguita con un raffinato stiacciato prospettico (Longhi, 1958, p. XXXVI); inoltre i girali e bucrani della trabeazione dimostrano una approfondita padronanza della scultura classica, sia attraverso una probabile conoscenza diretta della cornice del trittico di S. Zeno del Mantegna a Verona del 1459, sia attraverso la visione dell'antichità classica portata a Milano dal Foppa: significativo è il confronto con un affresco del Foppa proireniente da S. Maria di Brera (già conservato alla Pinacoteca di Brera, attualmente depositato presso il Museo della scienza e della tecnica di Milano), rappresentante un timpano dove si ritrovano gli stessi girali di Treviglio ai lati di un tondo centrale.
Altra opera documentata in questi anni, putroppo perduta, è una ancona per la chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo (o di Ognissanti) a Monza, già eseguita il 16 ott. 1488, come risulta da un pagamento ai due fratelli (Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, Not. D. Scaravaggi, f. 4298). Nella seconda metà degli anni '80del Quattrocento è databile un gruppo omogeneo di opere che può essere attribuito a Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio, già individuato da G. Romano (1976; 1978; 1979, pp. 63 s.) e P. Astrua (1977),all'interno di un vasto gruppo di sculture di cultura lombarda esistente in Piemonte.
Il Presepe con S. Bernardino in preghiera conservato nella chiesa di S. Bernardino ad Orta, che doveva essere inserito in una cornice architettonica (o in una cassa) oggi perduta, è l'opera più facilmente confrontabile con la produzione nota dei D.; più difficile è l'attribuzione, pure ugualmente convincente,. del Cristo morto al Sacro Cuore di Arona, già facente parte di un sepolcro proveniente dalla chiesa di S. Maria consacrata nel 1488, attribuito a G. M. Spanzotti dalla Astrua (1977, pp. 74-76, 107 s. scheda n. i) sulla base di un confronto con la Pietra dell'unzione di Varallo. Della stessa mano sono anche i quattro frammenti con Storie di S. Giulio conservati nella sacrestia della basilica ad Isola S. Giulio al lago d'Orta, provenienti da un'ancona lignea ricordata negli inventari della chiesa (Di Giovanni Madruzza, 1977, pp. 92 s.). Dalla stessa ancona proviene anche la figura del Santo oggi conservata in una nicchia nell'abside della chiesa, che sembra però eseguita da altra mano.
L'attribuzione di questo gruppo di opere, in particolare del Cristo di Arona, trova una conferma nel confronto con l'ancona della Pietà conservata nel santuario della Madonna del Sasso di Orselina (Locarno), proveniente da una cappella dedicata appunto alla Pietà consacrata nel 1487 (Gilardoni, 1972, pp. 471-474). Il gruppo, già accostato ad altre opere dei D. (Malaguzzi Valeri, 1917; Astrua, 1977, p. 76 n. 22; Romano, 1978, pp. 63 sscheda n. 14), appare opera sicura dei due fratelli: basta confrontare i pilastri con gli Angeli piangenti con i pilastri con le Sibille, parte della cornice dell'Incoronata di Lodi (1494-98) o fare un confronto tra i girali del cornicione e quelli della cornice del polittico di Treviglio. Un altro possibile confronto, per la rappresentazione prospettica dell'architettura, è con l'ancona della Maddalena a Caspano, datata 1508. La grande volta a botte decorata a lacunari di derivazione classica riprende ad evidenza l'abside prospettica del Bramante in S. Maria presso S. Satiro a Milano, a dimostrare un ulteriore aggiornamento da parte della bottega dei De Donati. Ma l'elemento caratterizzante dell'altare della Pietà è dato proprio dallo stretto rapporto esistente tra architettura, scultura e pittura, accentuato dalla figura del Cristo seduto sul sarcofago, parte inserito all'interno dell'arco tra altre sculture e parte sporgente verso l'esterno, cioè verso lo spazio in cui si trova lo spettatore. Questo profondo coinvolgimento fisico ed emotivo del fedele, stimolato dalla rappresentazione dello svenimento della Vergine, dal dolore degli angeli e dall'urlo del s. Giovanni, si pone all'origine, e a una data molto precoce, di tutta la cultura dei "sacri monti". Lo stile e l'ideologia della Pietà di Locamo ci portano direttamente alla Pietra dell'unzione di Varallo (databile tra il 1486 e il 1491), assegnata allo Spanzotti (Repaci Courtois, 1968), ma già messa in rapporto con la bottega milanese dei D. (cfr. Repaci Courtois, 1968, p. 41 n. 14; Astrua, 1977, pp. 107 s. scheda n. 1; Romano, 1982, p. 115 scheda n. 33). Pur non negandosi i rapporti culturali e stilistici con lo Spanzotti (che pure nei documenti non risulta mai essere stato scultore), in particolare con il tramezzo di S. Bernardino ad Ivrea, l'attribuzione della Deposizione nel sepolcro di Varallo ai D. sembra essere più convincente. Questo gruppo omogeneo di opere (la Pietà di Orselina del 1487, il Cristo di Arona del 1488 e la Pietra dell'unzione di Varallo del 1486-91) si lega strettamente alla cultura dei cantieri francescani di Locamo e di Varallo (non dimentichiamo che anche l'ancona di S. Bernardino ad Orta è di commissione francescana) e trova forse la sua origine nella commissione del coro per la chiesa di S. Francesco a Pavia.
Altri confronti, e altri rapporti stilistici, sono possibili con due maestri lombardi attivi negli stessi anni tra il Verbano, il Cusio, l'Ossola e la Valsesia, già messi in Iuce dal Romano (1976; 1978, pp. 63 s.; 1979) e Astrua (1977, p. 76 n. 22): si tratta del Maestro della Madonna delle Grazie di Varallo, autore di un'altra Madonna col Bambino ad Intra già esistente nel 1481, del Cristo alle fontana sempre a Varallo e di una Madonna in piedi, forse una Immacolata Concezione, conservata nella chiesa di S. Giorgio a Varzo; e del Maestro di Santa Maria Maggiore, autore di un Compianto proveniente da Santa Maria Maggiore in Val Vigezzo e conservato nei Musei civici di Torino (Mallè, 1965, p. 156),di un altro Compianto proveniente dalla chiesa di S. Francesco a Locarno oggi nel santuario della Madonna del Sasso (Gilardoni, 1972, pp. 230-234), di una Crocefissione nella chiesa di Isola San Giulio al lago d'Orta (Romano, 1979) e di una Madonna col Bambino nel santuario della Madonna del Sasso (Gilardoni, 1972, pp. 470 s.; Romano, 1978, p. 64 scheda n. 14),forse l'opera più vicina ai modi dei De Donati.
Comunque in questi anni la bottega dei due fratelli deve essere rimasta a Milano, dove l'11 maggio 1489 è documentato Giovanni Pietro e dove il 14 genn. 1491 Giovanni Ambrogio riceve un acconto per gli organi nuovi del duomo (Annali..., 1880, p. 68).
Secondo quanto ci riferisce il Cernuscolo (ms. citato in Novasconi, 1974), il 30 genn. 1494 veniva collocato sul nuovo altare dell'Incoronata di Lodi l'affresco miracoloso con la Madonna col Bambino e s. Caterina intorno al quale veniva posta una cornice provvisoria opera dei fratelli Lupi. Con tutta probabilità nello stesso anno veniva commissionata ai fratelli D. una "ancona di legno di basso rilievo". Sappiamo anche, sempre dal Cernuscolo, che la cornice fu dorata dal pittore milanese A. Raimondi, stimata il 23 nov. 1498 e posta sull'altare il 4 ag. 1500 (Novasconi, 1974, pp. 46 s.).
La cornice monumentale è conservata parte ai Musei civici di Milano (ill, p. 187 in Novasconi, 1974) e parte nel Museo civico di Lodi (C. C. Sciolla, Lodi, Museo civico, Bologna 1977, pp. 30-34): è l'opera più nota dei due scultori milanesi, sempre posta alla base della ricostruzione del loro corpus di opere.
Al centro era, la cornice conservata nel Castello Sforzesco a Milano, sopra la lunetta con l'Adorazione dei pastori, sotto i due riquadri dello Sposalizio della Vergine e ai lati, su due pareti oblique, le altre storie poste una sopra l'altra all'interno dei pilastri con le Sibille (opere tutte conservate al Museo civico di Lodi e ill. in Novasconi, 1974, pp. 175-185).
La collaborazione col Raimondi continuò anche negli anni seguenti in quanto risulta che il 1° dic. 1504 il pittore si impegnava a dipingere le otto figure a grandezza naturale del gruppo del Sepolcro (perduto), commissionato ai fratelli D. (Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile Not. F. Bianchidi Vellate, f. 5827) il 9 sett. 1504, secondo le volontà testamentarie di Paolo Scaccabarozzi del 30 ag. 1504 (ibid.) e stimato 200 lire il 28 nov. 1504 dall'Amadeo e da Lorenzo da Mortara (ibid.). La pittura del Raimondi fu eseguita come le sculture a tempo di record in quanto risulta terminata il 20 dicembre e stimata il 23 dello stesso mese (ibid.).
Nel cantiere di Lodi i due fratelli dovettero stringere rapporti anche con Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, autore degli affreschi dell'abside e delle tavole poste ai lati nella cappella maggiore della chiesa dell'Incoronata: il 30 apr. 1505 nella casa di Giovanni Ambrogio a Milano fu steso il contratto col Bergognone per il polittico da eseguirsi per la chiesa di S. Giovanni Battista a Melegnano (Shell, 1983); dal testo del contratto risulta chiaramente che la cornice del polittico doveva essere eseguita dai fratelli D. i quali erano testimoni all'atto (nel documento sono detti "de Roxate"). Il polittico risulta poi terminato e pagato il 3 febbr. 1506: la tavola centrale col Battesimo di Cristo ancora conservata a Melegnano, è infatti datata febbraio 1506 (la cornice è perduta e il polittico disperso).
La vasta produzione di questi anni è confermata dal fatto che il 20 genn. 1507 Giovanni Ambrogio accettò come apprendista per otto anni Agostino, figlio del maestro Bernardino da Giussano, e il 4 maggio 1508 accettò come apprendista per sei anni il giovane Giovanni Pietro, figlio del maestro Giuseppe de' Basti, abitante a Vigevano (Motta, 1905, p. 484).
Del 12 apr. 1507 è il contratto per l'ancona dell'altar maggiore della chiesa di S. Lorenzo a Lugano (Gatti, 1977) con i fratelli Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio "ambo porte Horientalis, parochie Sancti Pauli in Compedo Mediolani".
L'ancona doveva essere terminata per il maggio del 1508, ma i due fratelli non mantennero l'impegno e perciò il 27 luglio 1508venivano denunciati. Il 3 agosto dello stesso anno Cristoforo Solari e Ambrogio de Angieria venivano nominati periti dell'ancona per S. Lorenzo, che veniva stimata 559 lire, il 19 agosto, evidentemente prima dell'esecuzione della doratura e della pittura. Il 12 marzo 1510 Giovanni Ambrogio si impegnava ad andare per il 1° aprile a Lugano per misurare il luogo dove doveva essere montata l'ancona, che risulta pagata definitivamente il 19 luglio 1510.La grande ancona (perduta) doveva essere su tre registri (Venturoli, 1982, 109 scheda n. 32),simile nella impostazione generale all'ancona dell'Immacolata di Giacomo del Maino in S. Maurizio a Ponte in, Valtellina o all'ancona di S. Abbondio di Giovanni Angelo del Maino nel duomo di Como.
Nell'agosto 1508 Ludovico De Donati firmava e datava l'ancona con la Resurrezione di Lazzaro conservata nella chiesa di S. Bartolomeo a Caspano di Civo in Valtellina (Gnoli Lenzi, 1938, p. 97). Le pitture sono ad evidenza di Ludovico, mentre le sculture devono essere assegnate alla bottega milanese dei due fratelli Giovanni Ambrogio e Giovanni Pietro. L'ancona di Caspano è ancora inserita nella sua cassa originale ed è l'unica opera dei fratelli D. interamente conservata, in quanto esistono ancora le due ante dipinte riunite in una sola tela, opera di Ludovico, nella collezione Cambò di Barcellona (Venturoli, 1985, pp. 146 s., nota 25).
Nella stessa chiesa di Caspano sono conservate altre opere della bottega dei D. (Venturoli, 1982, pp. 110 s. scheda n. 32),come la grande ancona con Storie di s. Bartolomeo posta nell'abside della chiesa ed il gruppo del Compianto conservato nella prima cappella di destra, purtroppo malamente restaurato alla fine dell'Ottocento (cfr. Vandalismo, in La Valtellina, 29 nov. 1894).
Altre opere da assegnare ai D. in Valtellina sono due sculture con S. Lorenzo e S. Rocco conservate nel Museo civico di Sondrio, provenienti da Fusine (cfr. Togni, 1982),e due statue rappresentanti S. Rocco e S. Sebastiano nella chiesa di S. Bartolomeo a Gerola Alta (cfr. Gianasso, 1979, p. 48).Non convince invece l'attribuzione dell'ancona dell'oratorio di S. Pietro a Caiolo proposta da M. Natale (1979, pp. 39, 40 n. 16, 41 n. 26):
Sicuramente degli stessi anni, dati gli stretti rapporti con l'ancona della cappella della Maddalena a Caspano, è il gruppo dell'Immacolata Concezione dell'ospedale di Vigevano pubblicato da B. Fabjan (1985); e si ricordi che nel 1508Giovanni Ambrogio prendeva come apprendista per sei anni un giovane di Vigevano.
Del 2 giugno 1508 è il comeratto con Giovanni Ambrogio per l'esecuzione dell'organo della cattedrale di Monza, su suo disegno, come è detto esplicitamente nel contratto (Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, Not. D. Scaravaggi, f. 4307). L'organo è conservato tuttora nella chiesa ed è confrontabile proprio con l'architettura dell'ancona della Resurrezione di Lazzaro a Caspano: due grandi colonne sorreggono un monumentale arcone trionfale sormontato da una trabeazione e decorato da due clipei con busti classici. Un simile schema compositivo si ritrova nel disegno della Biblioteca reale di Torino (Inv. D. C., n. 16009) attribuito alla bottega dei D. da Romano (1982, pp. 115-117, scheda n. 34).
Dell'8 marzo 1511 è il contratto con Leonardo de Alamania per l'organo di S. Faustino a Brescia, nel quale Giovanni Pietro è citato come "fideiussor" (Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, Not. A. Albignano, f. 6502); Giovanni Pietro e ricordato ancora per l'organo di Brescia in un documento del 17 sett. 1511 (ibid.), ad indicare forse che la struttura lignea dell'organo doveva essere eseguita nella bottega dei De Donati.
Dell'11 maggio 1514 è il contratto di Giovanni Ambrogio per un'ancona con la Madonna che adora il Bambino per il monastero benedettino di S. Maria degli Angeli a Vogonia (ibid., f. 6505); l'ancona doveva essere simile a quella già eseguita per "Ogonia". Forse il paese ricordato è da identificare con Vogogna in Val d'Ossola; e i frammenti (il Padre Eterno benedicente in un tondo e tre Angeli musicanti; cfr. Romano, 1978, p. 154) conservati al Museo Silva di Domodossola potrebbero provenire da una di queste due ancone citate nel documento del 1514. Nello stesso anno è ricordato anche Giovanni Pietro, "scultore et ingegnere", che torna a Lodi per stimare le opere eseguite dal Gambarino nella libreria dell'Incoronata (Foratti, 1916, p. 164). Il 20 dic. 1514 Giovanni Ambrogio risulta aver iniziato un "ornamentum", ovvero una cornice, per un quadro con la Maestà dipinto da Costantino da Vaprio il Giovane (questa cornice è restituita il 23 maggio 1517 al figlio Francesco: Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, Not. M. A. Castelfranco, f. 7190).
Il 19 maggio 1516 Giovanni Ambrogio risulta già morto (ibid., f. 7189). In quell'anno il fratello Giovanni Pietro è pagato per due angioletti destinati ad ornare la reliquia del santo chiodo nel duomo di Milano (Annali, 1880, p. 184, col. 1). Nel 1524 fra i reddituarii del Comune di Milano (Forcella, 1895) sono ricordati "Maestro Gio. Pietro e nepoti de Donati intagliatori" con un reddito di 400 ducati: i nipoti, cioè i figli di Giovanni Ambrogio e Margherita Pozzobonelli, oltre al gia ricordato Francesco, sono Nicolò e Pietro Paolo. A sua volta Giovanni Pietro risulta aver avuto tre figli: Bernardino, Agostino e Giovanni Luca (Arch. di St. di Milano, Fondo notarile, Not. M. A. Castelfranco, 20 sett. 1526, p. 7196, e 14 marzo 1528, f. 7197). Il 3 maggio 1528 Giovanni Pietro detta il suo testamento (Ibid., id., Rubrica); il 6 sett. 1529 Gerolamo Della Porta descrive la casa di Giovanni Pietro D. (che risulta ancora vivo: Ibid., Not. B. Fossano, f. 6384); il 27 genn. 1531 Giovanni Pietro è già morto (Ibid., Not. Antonio Aghina, f. 9350).
Molte sono le opere da attribuire con certezza a Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio che non possono però identificarsi con quelle ricordate nei documenti a noi noti: si tratta per lo più di frammenti di ancone lignee smontate e disperse. Da un'ancona dedicata a Santi domenicani provengono tre pannelli: uno già conservato al Museo di Berlino (n. 246; Schottmüller, 1913), con S. Pietro Martire che lascia i confratelli per andare a predicare nel mondo, un altro al Ringling Museum of Art di Sarasota, Fla. (Venturoli, 1982, p. 105, scheda n. 32, riprodotto a p. 108), con il Martirio di s. Pietro Martire, e un terzo, probabilmente parte della predella, ai Musei del Castello Sforzesco a Milano (SL n. 63; Venturoli, 1982, pp. 105-112 scheda n. 32), con S. Domenico che resuscita Napoleone Orsini caduto da cavallo. Da un'altra ancona dedicata alla Vergine o a s. Anna derivano i tre rilievi del Louvre con Gioacchino scacciato dal tempio, l'Incontro alla Porta Aurea e la Nascita della Vergine. Altre opere da ricordare sono la Crocefissione già del Museo di Berlino (n. 245; Schottmüller, 1913), la Predica di s. Bernardino al Museo d'arte occidentale a Kiev (Romano, 1970, p. 7 n. 1), il Bacio di Giuda già nella raccolta Ronchetti a Castiglione Olona (L. Beltrami, L'arte negli arredi sacri..., Milano 1897, tav. XXIX), una Pietà già sul mercato antiquario a Campione d'Italia (Carli, 1982; Venturoli, 1982, p. 112 scheda n. 32). Non è stato possibile verificare l'attribuzione del rilievo della collezione Liechtenstein a Vienna, già nella collezione Guggenheim a Venezia, né dell'Ascensione di Cristo del Museo nazionale di Zurigo (L. M. 10-386), sculture ricordate da G. C. Sciolla (in Arch. stor. lodigiano, XV [1967], p. 28 n. 16 e p. 29 n. 17) come opere dei fratelli Lupi.
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