DE CANDIA, Giovanni Matteo, detto Mario
Nacque a Cagliari il 17 ott. 1810 da nobile famiglia di origine napoletana stabilitasi ad Alghero. Il padre Stefano aiutante di campo di Carlo Felice e governatore di Nizza e Novara, lo fece entrare nel 1822 nel collegio militare di Torino. Divenuto sottotenente dei cacciatori di Sardegna, nel 1829 venne inviato di guarnigione a Genova ove entrò in contatto con Mazzini e i fratelli Ruffini; per le simpatie dimostrate verso la Giovine Italia e i Cavalieri della Libertà cadde in sospetto delle autorità e dopo un lungo dissenso con il padre finì per abbandonare l'esercito e fuggire a Parigi, ove per qualche tempo condusse un'esistenza non priva di difficoltà e fu costretto, per vivere, a dare lezioni di .scherma ed equitazione e a modellare statuette di creta. Gli venne in soccorso il suo talento musicale e una bella'voce di tenore che lo fece apprezzare in vari salotti parigini, soprattutto come esecutore di romanze; la sua attività dapprima dilettantesca gli procurò notorietà, anche per merito della principessa Cristina di Belgioioso che, accoltolo nel suo salotto, lo introdusse nella società parigina. In seguito, su consiglio di Meyerbeer (delle cui opere sembra sia stato un fervente ammiratore), decise di dedicarsi seriamente allo studio della musica ed entrato al conservatorio fu allievo di L. A. Ponchard e M. Bordogni per il canto e di Michelot della Comédie-Frangaise per la recitazione, ricevendo contemporaneamente lezioni anche da Meyerbeer, che lo incoraggiò ad affrontare la carriera teatrate. Dopo non poche perplessità e per esortazione della contessa di Merlin, nel cui salotto aveva conosciuto i suoi primi successi, accettò l'offerta del direttore dell'Opéra Duponcel e, assunto il nome d'arte di Mario, il 5 dic. 1838 (il 30 secondo il Gara) esordì nel ruolo di Raimbaut in Robert le diable di Meyerbeer, che scrisse per lui anche una nuova aria.
L'esordio fu oltremodo brillante, nonostante la formazione musicale del D. apparisse ancora incompleta per la brevità degli studi, compiuti per altro in maniera alquanto superficiale; tuttavia sia la critica sia il pubblico furono unanimi nel riconoscere la purezza della sua voce cristallina e squillante, l'eccellente fraseggio e la raffinata musicalità, cui venivano ad aggiungersi una eccezionale prestanza fisica e un infallibile senso della scena, che lo aiutava nell'approfondire la caratterizzazione di personaggi tra i più diversi del repertorio operistico europeo, di cui sapeva pogliere le più sottili sfumature psicologiche. Tutte queste qualità furono unanimamente riconosciute e valsero a mitigare anche qualche dissenso della critica che aveva rilevato certe imperfezioni di pronuncia rese più evidenti dal confronto con l'ancor vivo ricordo delle superbe interpretazioni che dei ruolo di Robert avevano fornito il Nourrit e il Duprez.
Frattanto il successo ottenuto nella sua prima apparizione sulle scene gli valse una scrittura per lo Her Majesty's Theatre di Londra, ove il 6 giugno 1839 interpretò la Lucrezia Borgia di Donizetti, insieme con la celebre cantante Giulia Grisi che nel 1844 divenne sua moglie.
La critica, non senza severità, deplorò l'assenza di una vera padronanza vocale e accolse con freddezza la sua recitazione che "did not then get beyond that of a southern man with a strong feeling for the stage" (Chorley cit., in Grove's Dict., p. 581); tuttavia fu unanime nel riconoscere il fascino che emanava dalla sua persona, il geniale gusto artistico e una certa distinzione nel portamento, da cui poteva prevedersi una carriera estremamente brillante. Tornato a Parigi, passò al Théâtre-Italien, favorito anche dalla posizione di assoluta preminenza tenutavi dalla Grisì e vi esordì nell'Elisir d'amore (17 ott. 1839), cui fecero seguito Il Barbiere di Siviglia di Rossini, Beatrice di Tenda di Bellini e Marin Faliero di Donizetti (1840-41), quasi sempre in compagnia della Grisi. Affermatosi rapidamente in campo internazionale, si esibì nei maggiori teatri europei, idolatrato dal pubblico e dalla critica, tranne che in Italia, ove non cantò mai sia per motivì politici sia per la promessa fatta al padre di non calcare le scene del suo Paese. Fu poi riconfermato per numerosi anni al Théátre-Italien e nel 1842, insieme con la Grisi, il baritono A. Tacchinardi e l'Albertazzi, partecipò alla prima esecuzione dello Stabat Mater di Rossini; fu in questa occasione che la critica parigina venne definitivamente conquistata dalla sua arte. Il 17 novembre dello stesso anno partecipò alla prima rappresentazione parigina della Linda di Chamonix di Donizetti, C il 3 genn. 1843 gli fu affidato il ruolo di Emesto nella prima esecuzione del Don Pasquale. Da questo momento e fino al 1846 fu dominatore incontrastato delle scene parigine insieme con fl Tamburini e con il Lablache, acquistando gradualmente una posizione di preminenza su tutti i cantanti del suo tempo.
Dopo essere apparso nella Donna del lago e in Otello di Rossini, nell'Elisir d'amore di Donizetti e nell'Assedio di Firenze di Bottesini, nel 1846, sempre sulle scene dei Théâtre Italien riportò un clamoroso successo nel Pirata di Bellini, e il 17 dicembre partecipò alla prima esecuzione parigina dei Due Foscari di Verdi insieme con il baritono F. Coletti. Frattanto, richiesto anche dal pubblico inglese, nel 1946 si recò a Londra e cantò al Covent Garden in una stagione d'opera italiana, apparendo oltre che in gran parte delle opere eseguite nel periodo parigino, in Anna Bolena e Lucrezia Borgià di Donizetti, I Puritani e La sonnambula di Bellini, La gazza ladra di Rossini e Don Giovanni di Mozart, dove interpretò sia il ruolo di Don Ottavio sia quello del protagonista. Nella stagione successiva cantò nella Favorita di Donizetti e negli Ugonotti di Meyerbeer. Nel '49 si esibì nella Lucia di Lammermoor nel Matrimonio segreto di Cimarosa, in Masaniello di D. Auber e nel Profeta di Meyerbeer, cui l'anno successivo fecero seguito varie rappresentazioni dell'Elisir d'amore e dell'Ebrea di Halévy.
Quello fra il 1840 e il '50 fu anche il periodo in cui il D. fu più vicino politicamente al Mazzinì, in un rapporto di cooperazione che probabilmente traeva alimento anche dalla suggestione esercitata sul cantante dalle idee contenute nel saggio sulla Filosofia della musica (1836), nel quale il genovese aveva teorizzato la funzione educativa di un linguaggio musicale che non fosse più ridotto "a meccanismo servile e a trastullo di ricchi svogliati", ma esprimesse, proprio prendendo slancio dall'Italia e dalle condizioni in cui essa si dibatteva, ideali di progresso civile e di fratellanza universale. Favorito da una notevole libertà di movimenti che lo portava per impegni di lavoro ora in Francia, ora in Inghilterra, il D. svolse, soprattutto alla vigilia del 1848, un'utile opera di collegamento tra gli elementi dell'ennxigrazione democratica italiana, e non di rado ospitò qualcuno di essi nelle sue residenze di Parigi o di Hastings. li Mazzini, che lo stimava molto per le sue doti di tenore, sapeva inoltre, come già la Belgioioso, di poter contare su di lui anche per aiuti finanziarì, che gli venivano elargiti in forma diretta o, più spesso, con la partecipazione a concerti organizzati a Londra per raccogliere fondi per le iniziative politico-assistenziali dei movimento repubblicano. Le delusioni del 1848-49, pur se non interruppero subito tali forme di sostegno alla causa rivoluzionaria, raffreddarono gli entusiasmi del D. che, soprattutto dopo il fallimento del moto milanese del 6 febbr. 1853, si allontanò gradualmente dal programma mazziniano e finì per accettare il ruolo egemone del Piemonte cavouriano nel processo dell'unificazione nazionale.
La sua versatilità e lo sforzo cui in tutti questi anni sottopose i suoi pur eccezionali mezzi vocali suscitarono non pochi dubbi sulla possibilità di un precoce declino; tuttavia la fibra. particolarmente robusta gli permise di continuare ad affrontare con estrema disinvoltura ruoli tra i più impegnativi del repertorio operistico ottocentesco; fu in questo favorito da una tecnica vocale di prim'ordine e da una serietà artistica che lo accompagnò per tutto l'arco della carriera (sembra infatti che nell'interpretazione del Profeta si fosse giovato dei consigli di P. Viardot-Garcia); testimonia di questa sua sorprendente vitalità ed eclettismo la tourneé compiuta a Pietroburgo nell'inverno del 1849. allorché interpretò I Puritani e Gli Ugonotti con un successo tale da venire poi riconfermato sino al 1853.
Nel 1854 cantò al teatro Reale di Madrid e nell'ottobre di quell'anno, insieme con la moglie, inaugurò a New York l'Academy of Music con una rappresentazione della Norma di Bellini, che nel 1855 replicò a Washington e Boston. Negli anni successivi riprese a dividere la sua attività tra il Covent Garden di Londra e il Théâtre-Italien di Parigi, emergendo nel repertorio verdiano, soprattutto in Traviata, Trovatore e Rigoletto, opera a lui congeniale di cui offerse una interpretazione memorabile, che destò l'entusiasmo anche della critica, più severa. Frattanto il desiderio di continuare ad arricchire il suo repertorio di nuovi personaggi lo aveva indotto a interpretare la Marta di F. v. Flotow e ad affrontare con rinnovato impegno stilistico il ruolo di protagonista nel Don Giovanni di Mozart.
Il repentino passaggio da un ruolo all'altro dei repertorio con gli inevitabili sforzi cui sottoponeva il suo organo vocale, impegnato in personaggi troppo diversi sia per tessitura sia per impegno scenico, finirono per influire negativamente sulla sua intonazione. Nella stagione 1859-60, a Madrid, avvertì i segni del declino, particolarmente interpretando la Norma. Anche al suo ritorno a Parigi, venne severamente attaccato da P. Scudo nella Revue des deux mondes, e nel 1862 fu ancor più duramente preso di mira da, A. Boito allora a Parigi, che in una nota pubblicata sulla Perseveranza si espresse nei suoi riguardi con un giudizio estremamente aspro. Tuttavia il C. dando ancora una volta prova delle sue sorprendenti capacità di ripresa si recò in Inghilterra, dove il pubblico londinese non dimentico del suo glorioso passato (tra l'altro era stato ammirato interprete di romanze e si era distinto anche quale buono esecutore di brani dell'Elijah di Haendel al Festival di Birmingham nel 1849 e a Hereford nel 1855) lo volle tra il 1858 e il '68 per dieci stagion.i consecutive. Tornato nel novembre 1868 a Parigi partecipò alla commemorazione di Rossini con l'esecuzione dello Stabat Mater, e, rivelando una vitalità che ha del prodigioso, si recò ancora a Pietroburgo per interpretare con successo Gli Ugonotti (5 marzo 1870).
Comparve ancora a Londra nel luglio 1871, e qui si congedò dal pubblico inglese con la Favorita di Donizetti. Si ritirò definitivamente dalle scene nel febbraio 1873 dopo una tournée di sei mesi compiuta con Adelina Patti negli Stati Uniti. Tornato in Italia, si stabilì a Roma ove morì l'11 dic. 1883, dopo essere vissuto per vari anni in condizioni di estrema indigenza, riducendosi a fare il suggeritore in un teatro e poi l'usciere nei Musei di Roma (Asquer, p. 55), tanto che i suoi amici londinesi organizzarono nel 1880 un concerto a suo beneficio.
Considerato con Rubini interprete ideale del repertorio romantico quanto di quello tardosettecentesco, il C. rappresentò, nel periodo di trapasso tra la tendenza virtuosistica e la nuova maniera di canto sorta con l'affermazione della tecnica propugnata da G. L. Duprez, uno dei più efficaci tenori di forza del suo tempo, riuscendo a conferire al proprio timbro vocale uno straordinario vigore che si rifletteva poi anche nell'ampiezza del fraseggio; veniva così ad imporsi, con l'accrescersi della potenza sonora degli acuti e l'incisività della declamazione, un nuovo tipo di tenore, che per la potenza drammatica dell'espressione si sarebbe poi affermato nell'interpretazione dei ruoli verdiani. Idolatrato dal pubblico e ammirato negli ambienti culturali europei (godé dell'amicizia di G. Sand, A. de Musset, H. de Balzac, H. Heine, A. Dumas, oltre che della stima di Manzoni e Mazzini) per le sue qualità di attore non meno che per quelle vocali, il C. ebbe forse più di ogni altro cantante il senso del teatro e nelle sue interpretazioni propugnò con rigorosa e appassionata convinzione l'eleganza del portamento e dell'espressione e, pur con tutte le riserve che si potevano muovere a certe imperfezioni stilistiche della sua vocalità, sostenne sempre la necessità di aderire con fedele rispetto alle esigenze del ruolo da interpretare. Questa sua tendenza si manifestò sia nei confronti della regia teatrale, per troppo tempo ridotta ad una banale e anacronistica messinscena, sia alla precisa ricostruzione ambientale delle situazioni scenografiche e ai costumi, in cui rivelò sempre un gusto di prim'ordine, sia nella scelta dei colori sia nella cura dei dettagli, tanto che non a caso fin del suo primo apparire sulle scene londinesi venne indicato come "the most perfect stage-lover ever seen".
Fonti e Bibl.: Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, cfr. Indici; Protocollo della Giovane Italia, Imola 1916-22, ad Ind.; H. Heine, Divagaz. musicali, a cura di E. Roggeri, Torino 1928, pp. 140 s.; P. Nardi, Vita di A. Boito, Milano 1942, pp. 85, 89; H. Berlioz, L'Europa musicale da Gluck a Wagner, Torino 1950, pp. 266, 289; G. B. Pearse-F. Hird, The Romance of a Great Singer; a Memoir of Mario, London 1910; J. Gauthier, Le roman d'un grand chanteur, Paris 1912; C. P. Candia, Il romanzo di un celebre tenore, Firenze 1913; R. Barbiera, Un cantante del Risorg.; il marchese D., in Voci e volti del passato..., Milano 1920, pp. 308-20; A. Lancellotti, Le voci d'oro..., Roma 1942; U. Tegani, Cantanti di una volta..., Milano 1945; E. Gara, G. de C., in La Scala, 1953, n. 42, pp. 31-36; n. 41, pp. 25-29; R. Celletti, Il tenore vestito d'argento, in Il Tempo (Milano), 25 maggio 1951; L. Moore, Grisi and Mario in America, in Opera News, 22 marzo 1954; C. Asquer, Mario D., in Il Convegno, XIV (1961), 11, pp. 45-56; F. Toye, Rossini. A Study in Tragicomedy, New York 1963, p. 213; H. Weinstock, Rossini...., London 1968, pp. 216, 270, 324, 441, 467; F. Regli, Diz. biogr. dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici..., Torino 1860, pp. 309 s.; F.-J. Fétis, Dict. univ. des musiciens, V, Paris 1875, p. 458; C. Schmidl, Diz. univ. dei music., I,p. 151; Grove's Dict. of Music and Musicians, V, London 1954, pp. 580 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, VIII, coll. 1658 s.; Encicl. dello Spett., VII, coll. 144 ss.; Encicl. della Musica Ricordi, III, p. 108; La Musica. Enc. storica, Torino 1966, II, p. 265; IV, p. 93; Diz., II,ibid., p. 231.