DE BONI, Giovanni Luigi (Luigi)
Nacque nel 1771 a Villabruna di Feltre (Belluno) da Antonio e Bortola Martini (Vecellio, 1898). Poco sappiamo della sua formazione di architetto, o meglio, di ingegnere-architetto, che dovette iniziare con ogni probabilità con il padre, accanto al fratello maggiore Sebastiano, pittore oltre che architetto.
Il nome del D. non compare tra quelli delle matricole dell'accademia dal 1807 al 1822, onde si può escludere che egli ne abbia frequentato i corsi. Non fu, comunque, estraneo all'ambiente accademico veneziano, se non altro per il lungo rapporto confidenziale che intercorse tra il D. e Francesco Wiscovich Lazzari, succeduto nel 1819 a Giannantonio Selva sulla cattedra veneziana di. architettura (Puppi, 1984). Il carteggio tra il D. e il Lazzari suggerisce l'idea che tra i due vi fosse un eletto rapporto di collaborazione quale poteva essere "tra un architetto accademico e un maestro costruttore" (ibid.).
L'attività del D., nella penuria di documenti rimasti e di studi condotti fino ad oggi, può essere valutata solo a partire dal terzo decennio del secolo XIX, in particolare per quello che egli esegui nel territorio feltrino. A partire dal 1822 il D. attivò numerosi cantieri legati alla ricostruzione o alla fondazione di chiese parrocchiali nelle province venete, affermandosi ben presto quale "specialista in chiese", dotato di apprezzabili capacità imprenditoriali. La sua attività., facilitata dal riordinamento dei confini diocesani che si andava realizzando in relazione ai nuovi assetti politici della Restaurazione (ibid., p. 176, n. 40), fu incessante per oltre un ventennio e a volte fu addirittura frenetica a causa dell'attività contemporanea dei cantieri aperti nei borghi di Nove, Santorso, Gambellara, Malo, Montorso, Mason, Montecchia di Crosara e di Novale di Valdagno.
Il carteggio studiato dal Puppi pone la figura. del D. sul profilo di differenti e concomitanti prospettive: capomastro-costruttore, tecnico esecutore dei progetti d'altri. Si ridurrebbe così la sua autonomia di architetto per farne un intendente di cantiere le cui competenze potevano essere le più generiche. Togliendo al D. per arricchire il regesto delle opere del Lazzari s'incorre in un arbitrio che la povertà dei documenti e la vaghezza di un carteggio disiperso non possono assolvere.
Tale gruppo di chiese parrocchiali ricalca un'impronta fedele, costante nell'impianto, nelle proporzioni e talora nelle soluzioni d'ornato ciascuna riferendosi ad un unico modello tipologico che il Cevese (1980) ha riconosciuto nell'opera sacra del Palladio, e, in particolare, nella chiesa del Redentore.
La parrocchiale delle Nove di Bassano è tra le prime opere ascrivibili all'attività del D. in territorio vicentino: gli stucchi dei soffitto sarebbero stati eseguiti dal D. tra il 1821 e il 1824 (Cevese, Le parrocchiali..., 1967).
Puppi (1984, pp. 173 s.) attribuisce la chiesa al Lazzari e lascia al D. il ruolo di esecutore dei progetti del veneziano. In realtà lo schema dell'interno della parrocchiale di Nove, pur discostandosi dalla maniera più tipica del D., rivela la sua cultura palladiana (Cevese, Le parrocchiali..., 1967).
Il lessico della facciata resterà costante nelle opere successive: quattro vigorose semicolonne corinzie reggono una trabeazione alta e inarticolata; il frontone, in verità esagerato, specie nelle emergenze laterali, è ornato da statue agli acroteri. Lo schema si ritrova nella parrocchiale di S. Maria di Santorso, iniziata nel 1834 e i cui lavori proseguirono oltre il 1839 (cfr. Cevese, S. Benedetto..., 1967).
Dal carteggio De Boni-Lazzari, il Puppi (1984, pp. 174 s.) poteva trarre il quadro cronologico dell'avvio e della conclusione della maggior parte dei cantieri vicentini e veronesi, oltre a formulare l'ipotesi di un intervento del D. per altri edifici sacri, sorti o ricostruiti in quegli anni, come la parrocchiale di Romano di Ezzelino presso Bassano (1822), l'arcipretale di Asiago (1826), quella di Gambellara (1828-1838).
Il gruppo più cospicuo di opere si situa all'avvio del quarto decennio: la parrocchiale di Montecchia di Crosara (1840-1861), in provincia di Verona, la chiesa di S. Biagio a Montorso (1840-1854), S. Benedetto di Malo (1841), S. Andrea di Mason (1842), tutte in provincia di Vicenza. Lo schema della pianta rimane costante in tutti questi edifici e le variazioni lessicali degli interni e delle facciate, fino alla scelta dei termini dell'ornato, sono trascurabili.
Dal 1822 il D. aveva assunto l'incarico di "ordinare" la chiesa di S. Biagio di Montorso. Nel 1838 (11 marzo) il campanile trecentesco s'era abbattuto sfasciando la chiesa. La vicenda della ricostruzione coinvolse il D. in una querelle con i fabbriceri, risoltasi verso il 1840, per la quale egli chiese aiuto e sostegno al Lazzari (Puppi, 1984, p. 169; vedi anche Cevese, La parrocchiale di Montorso, 1967, p. 222). Nella parrochiale di Malo (1841), poi, si nota "una piena libertà d'interpretazione" dal modello palladiano, "così da porsi come un fatto architettonico nuovo" (Cevese, S. Benedetto..., 1967, p. 346). Due progetti dello stesso periodo furono vagliati dall'Accademia di Belle Arti di Venezia: quello che ebbe migliore sorte venne adottato per la fabbrica di Malo, l'altro ebbe esecuzione a Montecchia di Crosara.
Al 1845 risale la fondazione delle parrocchiali di Terrossa di Roncà, in provincia di Verona e di Novale di Valdagno (Cevese, La chiesa di Novale, 1967). Il carattere di queste opere realizzate postume non varia, si ritrovano gli elementi divenuti consueti nel linguaggio del D., avviliti, alla fine, dalla loro stessa ripetizione.
Il D. morì a Breganze (Vicenza) il 16 marzo 1844.
Fonti e Bibl.: A. Vecellio, IPittori feltrini, Feltre 1898, p. 322; R. Cevese, La parrocchiale di Montorso, in Vicenza economica, XXII (1967), 4, p. 222; Id., La chiesa di Novale, ibid., XXII (1967), 5, pp. 281 s.; Id., S. Benedetto di Malo e S. Maria di Santorso, ibid., XXII (1967), 6, pp. 345-48; Id., Le parrocchiali di Mason Vicentino, delle Nove e di Gambellara, ibid., XXII (1967), 83 pp. 478-80; G. Biasuz, Tre architetti feltrini neoclassici..., in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, XXXIX (1968), pp. 149-52; R. Cevese, Il palladianesimo in Italia, in Palladio: la sua eredità nel mondo (catal.), Milano 1980, pp. 229, 254, nn. 70, 71; L. Puppi, Nelle derive del - Palladianesimo,,. Nota su L. D., in Studiin onore di G. C. Argan, II, Roma 1984, pp. 169-85.