De Blasiis, Caggese, Pontieri
In Giuseppe De Blasiis (Sulmona 1832-Napoli 1914) può agevolmente riconoscersi una delle figure più rappresentative di quella generazione che agli studi accompagnò la diretta esperienza di lotta per l’unità nazionale. Dopo il maggio del 1848 egli provò a imbarcarsi in maniera avventurosa per andare a difendere la Repubblica romana, poi, nel 1854, durante la Guerra di Crimea, raggiunse il teatro di guerra dove intendeva combattere contro i russi. Rimpatriato e rimasto sotto sorveglianza della polizia borbonica, si impegnò nell’impresa garibaldina comandando quella legione del Matese che il 3 settembre 1860 liberò dalle truppe pontificie la città di Benevento. La cattedra di storia nazionale che gli venne affidata all’indomani del rinnovamento dell’università napoletana, divenne, così, il riconoscimento non solo dei meriti di un giovane studioso che già nel 1857 si era distinto con una monografia su Pier delle Vigne, ma dell’autentico, vissuto patriottismo che aveva ispirato e animato quegli studi. La successiva attività scientifica di De Blasiis si mosse, del resto, sul filo di una ricerca in cui la vasta erudizione era messa al servizio di una chiara causa etico-politica: la vocazione unitaria del Mezzogiorno italiano dalle origini medievali fino al Risorgimento. Ne è prova la sua opera maggiore, L’insurrezione pugliese e la conquista normanna nel secolo XI, uscita in tre volumi tra il 1864 e il 1873. Nel corso del suo lungo insegnamento nell’ateneo napoletano, ebbe tra i suoi migliori allievi Michelangelo Schipa.
Nato anch’egli nella provincia meridionale, Romolo Caggese (Ascoli Satriano 1881-Milano 1938) seguì, piuttosto, la via che era stata, quasi mezzo secolo prima di Pasquale Villari. Ottenuta una borsa di studio, egli si iscrisse, infatti, nell’ottobre del 1900 all’Istituto di studi superiori di Firenze dove si laureò proprio con Villari, con una tesi intitolata Un comune libero alle porte di Firenze nel secolo XII: un tema caro al maestro dal momento che si trattava di ricostruire le lotte sociali e politiche che avevano condotto alla nascita del comune di Prato. La sintonia storiografica fu anche sintonia civile, anche se l’impegno di Caggese, soprattutto dopo l’incontro a Firenze con Gaetano Salvemini, assunse maggiore consonanza con le battaglie condotte allora dal movimento socialista. Alla cosiddetta scuola economico-giuridica mostrano, comunque, di appartenere le sue principali opere di quel periodo: Classi e Comuni rurali nel Medioevo italiano, pubblicato nel 1907 e, soprattutto, i tre volumi della Storia di Firenze dalla decadenza di Roma al Risorgimento, che sono del 1912. Il decennio che va dal 1914 al 1924 fu quello nel quale – in virtù anche dei legami stabiliti con Ettore Ciccotti, Napoleone Colajanni e gli stessi, ovviamente, Salvemini e Villari – la battaglia civile di Caggese si svolse all’insegna di un dichiarato ‘meridionalismo’. L’esito storiografico più impegnativo di questa sua vocazione civile è sicuramente il volume su Roberto d’Angiò, tutto rivolto all’analisi delle cause e delle origini dell’arretratezza economica e politica del Mezzogiorno d’Italia. Dopo aver firmato il Manifesto antifascista di Benedetto Croce, egli conobbe, come Schipa, un mutamento profondo di convinzioni che lo portò all’adesione al fascismo. Nel gennaio del 1926 ottenne la cattedra di storia medievale e moderna a Milano (la cattedra di Gioacchino Volpe) che manterrà fino alla morte.
Nato in Calabria, Ernesto Pontieri (Nocera Terinese 1886-Roma 1980) si trovò a raccogliere l’eredità del suo maestro Schipa, nel difficile passaggio dal fascismo all’Italia repubblicana, attraverso le prove di un conflitto mondiale che a Napoli assunse quel carattere straziato e lacerante che egli raccontò in un intenso contributo apparso nel 1943 nell’«Archivio storico per le province napoletane»: Rovine di guerra in Napoli. Se, perciò, gli studi del periodo precedente il conflitto –I primordi della feudalità calabrese (1922), Il regno normanno (1933), Il tramonto del baronaggio siciliano (1943) – si segnalano per la forza originale di indagine sul Mezzogiorno tardomedioevale, quelli del periodo successivo, a partire da Per la storia di Ferrante I d’Aragona re di Napoli che è del 1947 o Tra i normanni nell’Italia meridionale che è del 1948, per giungere ai più tardi lavori dedicati ad Adelaide del Vasto contessa di Sicilia (1964) o a I movimenti religiosi del secolo XVI e l’Italia (1965), mostrano lo sforzo evidente di leggere, attraverso la vicenda meridionale, il processo di decadenza etica e politica dell’Italia moderna. Rettore dell’Università di Napoli dal 1950 al 1959, Pontieri trovò in questo ruolo l’opportunità di combattere una battaglia operosamente intensa per la ricostruzione della città dopo i disastri della guerra. Da qui la sua partecipazione alle rinnovate istituzioni culturali della Napoli del dopoguerra, a partire dall’Istituto italiano per gli studi storici, e poi la Società napoletana di storia patria di cui fu presidente, come fu presidente dell’Accademia Pontaniana.