DE ANTONIO, Iacopo, detto Iacobello
Figlio di Antonello da Messina e Giovanna Colummella, fu a sua volta pittore. Non si hanno notizie di lui prima di quel testamento del padre, steso a Messina il 14 febbr. 1479, a pochi giorni dal decesso, e trovato solo ai primi del nostro secolo (La Corte Cailler, Di Marzo), con cui lo si nominava crede universale, gli venivano affidati per il sostentamento i vecchi genitori ancora vivi di Antonello, Giovanni e Garita, e si determinava fra altre cose il vitalizio spettante alla madre.
Le imprecise indicazioni delle fonti più antiche sui termini della vita di Antonello hanno fatto sì che nel 1724 il Susinno, biografo dei pittori messinesi, ritenesse il D. padre anziché figlio del più famoso pittore cittadino.
Dieci giorni dopo la stesura del citato testamento, il 25 febbraio, e poi altre volte nel 1479 e nel 1480, il D., "discretus magister", appellativo che è già indizio di affermata professionalità, si assunse l'incarico di ultimare lavori lasciati incompiuti.dal padre. I contratti relativi dimostrano implicitamente che il giovane, già sposato con Mattia di Giovanni Antonio de Policio, doveva essere stato da tempo associato dal padre alla bottega, nessuna clausola e nessun aggiustamento di prezzo intervenendo a mettere in dubbio la sua capacità di sostituirsi al padre. Contemporaneamente assunse anche degli apprendisti: Zullo Neuta, che si impegnava a restare con lui per nove anni e il cugino Antonello de Saliba (o Risaliba), quattordicenne, con un contratto di quattro anni. Mancano però sue notizie dopo l'atto notarile del dicembre 1481 con cui la madre, risposatasi con un notaio, ridivideva i beni venutile dal primo marito, mentre il testamento della nonna Garita, trovato a suo tempo dal La Corte Cailler ma solo da poco reso noto (Molonia, 1979), lo ricorda già morto, e non si sa da quanto, nel 1488.
Tutte le opere citate nei contratti ancora superstiti ai tempi delle ricerche del Di Marzo e dei La Corte Cailler, fondamentali per tutta la vicenda di Antonello e della sua famiglia, son perdute; resta soltanto a testimonianza certa dell'attività del D. una Madonna con il Bambino dell'Accademia Carrara di Bergamo, datata 1480 e firmata, come ha potuto decifrare per primo il Toesca (1911), "jacobus Anto.lli filiu(s) no.humani pictoris". Iscrizione e nobilissima impostazione, strettamente concordante con le tarde ricerche antonelliane, specialmente nel bellissimo particolare della mano rotante intorno alla coppa di cristallo e, d'altra parte, un'esecuzione minutamente diligente e compatta hanno fatto supporre (Toesca, 1911; Longhi, 1953; Previtali, 1980) che si tratti molto probabilmente di un'opera già ampiamente avviata dal padre e solo completata dal figlio con una certa capacità di adeguarsi sul piano tecnico alla sottigliezza "ponentina" di Antonello ma non di raccoglierne l'alta lezione formale e l'interesse all'ardua applicazione prospettica pierfranceschiana. In questo senso depongono altre poche opere che, strettamente legate a modelli antonelliani, li interpretano in chiave diminutiva ancorché molto garbata, e che sono state riferite al D. con buoni argomenti: un S. Girolamo penitente di collezione privata (Longhi, 1953) che deriva dalla tavoletta di uguale soggetto del museo di Reggio Calabria, una Madonna con il Bambino nel Fogg Art Museum della Haryard University (Cambridge, Mass.), cui può aggiungersi probabilmente una Madonna con il Bambino molto ridipinta, proveniente da Messina, attribuita nel museo di Bucarest ad Antonello stesso e ispirata, come la precedente, al pannello centrale del polittico messinese del 1473.
Vari particolari nel paesaggio del S. Girolamo citato e la stessa inquadratura architettonica della Madonna di Bergamo rivelano una familiarità - che va un po' oltre Antonello - con gli sviluppi della pittura veneta e particolarmente con il Montagna, a sua volta debitore nei confronti di Antonello. Ne viene conferma non solo all'qvvia ipotesi che il D. avesse seguito il padre nella trasferta a Venezia del 1475-1476, forse lasciando traccia di sé in quel misterioso "Il Pino" che secondo il Sansovino avrebbe sottoscritto una delle tavole dell'altare eseguito da Antonello per la chiesa di S. Giuliano (il S. Sebastiano, oggi a Dresda, che però non reca nomi e appare perfettamente autografo), ma anche che avesse mantenuto i contatti, avviando nella bottega messinese una florida attività di copia di certi assai richiesti prototipi di Antonello, l'Ecce Homo, il Cristo portacroce (di cui restano esemplari sparsi un po' dovunque), continuata da altri componenti della famiglia: i cugini Salvo D'Antonio, Antonello e Pietro de Saliba.
Sulla base dei dati disponibili non è credibile l'attribuzione al D. della Madonna con il Bambino dei santuario di S. Francesco a Paola (Di Dario Guida, 1976) e tanto meno quella della guastissima e scadente Crocefissione e santi di Bovolenta presso Padova (Lucco, 1979) che pare piuttosto da collegare all'attività svolta nel Veneto da Pietro de Saliba. Anche l'ipotesi ricorrente che sia sua la Madonna del Rosario del museo di Messina con la straordinaria serie dei ritratti dei membri della Confraternita, dipinta intorno al 1489, non trova spazio, anche per l'accertata precocità della sua morte e dovrà essere riconsiderata nell'ambito dell'attività a più alto livello di Salvo D'Antonio. Lo stesso si dovrà dire per la Madonna con il Bambino dell'arcivescovado di Siracusa che coinvolge il rapporto tra lo stesso Salvo e il siracusano Marco Costanzo. Consistenza e limiti del rapporto di lavoro che ha legato il D. al padre attendono ancora elementi più certi per essere definiti: all'impostazione del problema ha dato un solido contributo il Previtali (1980).
Fonti e Bibl.: F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, Venezia 1581, II, c. 49a; F. Susinno, Le vite del pittorimessinesi [1724], a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, p. 17; G. La Corte Cailier, Antonello da Messina..., in Arch. stor. messinese, IV (1903), pp. 428-33; G. Di Marzo, Nuovi studi e app. su Antonello da Messina, Messina 1905, pp. 124-58; Id., La vedova di Antonello da Mesnna, in La Sicile illustrée, V (1908), 4, p. 8; P. Toesca, Un dipinto di I. di Antonello da Messina, in Rassegna d'arte, XIII (1911), p. 16; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, 4, Milano 1915, pp. 90 ss.; B. Berenson, The Study and Criticism of Italian Art, III,London1916, pp. 91-95, 109; G. Vigni-G. Carandente, Antonello da Messina e la pittura del Quattrocento in Sicilia (catal.), Messina 1953, p. 79; R. Longhi, Frammento sicil, in Paragone, IV (1953), 47, pp. 38 ss. (rist. in Opere complete, VIII, Firenze 1975); S. Bottari, La pittura del Quattrocento in Sicilia, Messina-Firenze 1954, pp. 58-62; M. P. Di Dario Guida, Arte in Calabria (catal.), Cosenza 1976, pp. 45-48; M. G. Paolini, Antonello e la sua scuola, in Storia della Sicilia, V, Napoli 1979, pp. 50 s.; F. Rossi, Accademia Carrara, Bergamo. Catalogo dei dipinti, Bergamo 1979, p. 45; M. Lucco, Due problemi antonelliani, in Antologia di belle arti, 1979, 9-12, pp.27-31; G. Molonia, Gaetano La Corte Callier-Gioacchino Di Marzo: una polemica su Antonello, in Arch. stor. messinese, s. 3, XXX (1979), p. 197; G. Previtali, Da Antonello da Messina a L di Antonello, II, Il "Cristo deposto" del Museo del Prado, in Prospettiva, 1980,21, pp. 45-57; F. Cicala Campagna, in Antonello da Messina (catal.), Roma1981, pp. 212-16 (V. Indice, s. v. Jacobello, Jacopo d'Antonio detto); F. Sricchia Santoro, Antonello e l'Europa, Milano 1986, pp. 137-150.