De Anima
Opera di Aristotele, in tre libri, che nelle raccolte ordinate dagli editori apre la serie degli scritti biologici. Fu tradotta dal greco in latino per la prima volta verso la metà del sec. XII.
Questa traduzione, attribuita a Boezio, ma in realtà opera di Giacomo Veneto (cfr. L. Minio-Paluello, Iacobus Veneticus Graecus, in " Traditio " VIII [1592] 262-304), fu la più diffusa sino al 1270 circa, allorché Guglielmo di Moerbeke la sottopose a revisione, confrontandola con un altro testo greco, e ne ricavò una traduzione denominata translatio nova, in contrapposizione alla precedente, detta perciò translatio vetus. Essa soppiantò quasi completamente quest'ultima. Lo stesso Guglielmo di Moerbeke ne tradusse anche la parafrasi di Temistio e il commento di Filopono ai cc. 4-9 del libro III. A sua volta, già nella prima metà del sec. XIII, Michele Scoto, traducendo dall'arabo il Commento grande di Averroè al De A., aveva fornito una versione latina del testo in esso incorporato. Il De A. fu tra le opere di Aristotele più note e discusse nei secoli XIII e XIV; la sua lettura fu resa obbligatoria nella facoltà delle Arti di Parigi nel 1255 e il suo testo fu commentato, fra gli altri, da Pietro Ispano, Alberto Magno, Sigieri di Brabante e Tommaso d'Aquino.
D. cita esplicitamente il De A. undici volte, dieci nel Convivio e una nella Monarchia. Altre volte, pur senza menzionare l'opera, ne riporta, sia pure liberamente, passi e dottrine. Talora infine si rifà a luoghi comuni derivati da essa. È probabile che egli abbia usato la translatio nova di Guglielmo di Moerbeke, il che fanno credere il passo di Mn III X 13 (videtur enim in patiente et disposito actus activorum inesse), che riproduce quasi alla lettera Anima II 2, 414 a 11, t. c. 24 (" videtur enim in patiente et disposito activorum inesse actio "); Cv III II 11 (lo Filosofo nel secondo de l'Anima... dice che l'anima principalmente hae tre potenze, cioè vivere, sentire e ragionare: e dice anche muovere), che suppone la lettura di Anima II 2, 413 b 11, t. c. 18 (" vegetativo, sensitivo, intellectivo et motu "); Cv IV VII 11 (vivere è l'essere de li viventi), che traduce Anima II 4, 415 b 13, t. c. 37 (" vivere autem viventibus esse est "). Né a ciò si oppone il fatto che il passo di Mn III XV 4 (Et solum hoc contingit separari, tanquam perpetuum, a corruptibili) si discosta dalla translatio nova di Anima II 2, 413 b 26, t. C. 21 (che ha " aeternum " invece di ‛ perpetuum '), per avvicinarsi invece alla cosiddetta translatio Boethii.
Probabilmente D. attinge a Tommaso o ad Alberto Magno, i quali nei rispettivi commenti ad locum hanno ‛ perpetuum ' anziché ‛ aeternum ' (cfr. Tommaso In De Anima 268, Alberto Magno An. II 1 8). Lo stesso dicasi per Mn I III 9 intellectus speculativus extensione fit practicus, che deriva da una lezione errata di Anima III 9, 433 a 1-2 (ἐπιταθέντος τοῦ νοῦ anziché ἐπιτάττοντος), recepita nella stessa translatio vetus, t.c. 47 (" extendente se intellectu "). Infatti, come ha dimostrato L. Minio-Paluello (Tre note alla " Monarchia ", 1, in Medioevo e Rinascimento, Firenze 1955, 503-511), si tratta di un luogo comune, attingibile sia da Alberto Magno (An. III 4 3) che da Tommaso d'Aquino (Sum. theol. I 79 11 e II II 4 2). Nessuna traccia, infine, si trova in D. della versione unita al commento di Averroè, benché questo sia citato tre volte (Cv IV XIII 8, Mn I III 9, Quaestio 12).
Spesso D. sembra usare il De A. senza alcuna mediazione, parafrasando o riassumendo direttamente il testo aristotelico, come in Cv II IX 7 l'atto de l'agente si prende nel disposto paziente, e IV XX 7 le cose convengono essere disposte a li loro agenti, e a ricevere li loro atti, che derivano da Anima II 2, 414 a 11, t. c. 24; Cv IV VII 11 per ciò che vivere è per molti modi, che deriva da Anima II 2, 413 a 22-24, t. c. 13; Cv IV VII 14 le potenze de l'anima stanno sopra sé come la figura de lo quadrangulo sta sopra lo triangulo, che deriva da Anima II 3, 414 a 28-32, t. c. 31, senza bisogno, come osserva Nardi contro il Busnelli, di ammettere alcuna mediazione di Tommaso; Cv III VI 11 l'anima è atto del corpo: e se ella è suo atto, è sua cagione, che deriva da Anima II 4, 415 b 8-15, t. c. 36; Cv III IX 6-12, che deriva, per la dottrina dei sensibili propri e comuni, cui si riferiscono anche Cv IV VIII 6 e Pg XXIX 47, da Anima II 6, 418 a 9-20, t. c. 63-64, e per la dottrina della visione, oltre che dal De Sensu et sensato (v.), da Anima II 7, 418 a 28-b 20, t. c. 66-70; Cv IV VIII 7 lo diametro del sole, che a la sensuale apparenza appare di quantità d'un piede (cfr. anche Ep XIII 7), che riecheggia Anima III 3, 428 b 3-4, t. c. 159; e infine Cv IV XXI 5 lo intelletto possibile; lo quale potenzialmente in sé adduce tutte le forme universali, che si basa su Anima III 4, 429 a 27-29, t. c. 6, e 429 b 30-31, t. c. 14. Quanto all'affermazione che la natura non fa nulla invano (Cv III XV 8, VE I II 2), o non viene mai meno nelle cose necessarie (Pd VIII 113-114, Cv IV XXIV 10, Mn I X 1), benché corrisponda letteralmente ad Anima III 9, 432 b 21-22, t. c. 45, si tratta di un luogo comune.
In altri casi invece il testo aristotelico è interpretato attraverso i commentatori, come appare da Cv II VIII 9 in noi sia parte alcuna perpetuale, che deriva da Anima III 5, 430 a 23, t. c. 20 (" hoc solum immortale et perpetuum est "), interpretato da Alberto Magno An. III 2 18, il quale riferisce l'espressione all'intelletto agente, affermando, contro Averroè, che esso è pars dell'anima, o da Tommaso (Cont. Gent. II 78, e In De Anima 742-743), che la riferisce a tutto l'intelletto, sia agente che possibile, inteso ugualmente come pars animae; da Cv II XIII 29-30 l'Astrologia... è altissima di tutte le altre [scienze], però che... la scienza è alta, che deriva da Anima I 1, 402 a 1, t. c. 1, dove non si menziona l'astronomia, interpretato da Averroè In De An. I 1, o da Alberto Magno An. I 1 2, i quali applicano la tesi aristotelica appunto all'astronomia (ma probabilmente si tratta di un luogo comune, come sostiene B. Nardi, Alla illustrazione del " Convivio " dantesco, in " Giorn. stor. " 95 [1930] 85); da Cv III II 11 e dice anche muovere; ma questa si può col sentire fare una, però che ogni anima che sente... si muove, che deriva da Anima II 2, 413 b 11, t. c. 18, interpretato forse attraverso Alberto Magno An. I 2 5 (" animam moveri e sensibilibus, secundum quod obiecta sunt moventia et sensus patientes "); e infine da Cv IV XV 11 lo nostro intelletto... sano... dire si può, quando... impedito non è ne la sua operazione; che è conoscere quello che le cose sono, sì come vuole Aristotile nel terzo de l'Anima, che non trova un riscontro preciso nel testo aristotelico (il passo più vicino è Anima III 6, 430 b 27-29, t. c. 26), ma sembra derivare da Tommaso, il quale nel commento In De Anima 746, 761-762, spiega che l' " operatio " in cui l'intelletto " non decipitur ", è conoscere " quod quid est ", e nel commento In Eth. VI lect. V, 1179, sicuramente noto a D., attribuisce questa dottrina al III libro del De Anima.
Nel complesso il De A. ha esercitato una notevole influenza sul pensiero di D.: questi lo cita ripetutamente a proposito di una: dottrina che svolge una funzione centrale nella sua filosofia, quella secondo cui l'azione di un agente, per essere efficace, esige la presenza di una disposizione adeguata nel paziente; come a proposito della dottrina delle tre facoltà dell'anima. Direttamente influenzata dalla lettura del De A. appare inoltre la sua teoria della sensazione. Alquanto marginale è invece l'uso che D. fa dell'opera aristotelica riguardo al problema, tanto dibattuto tra i filosofi del suo tempo, dell'immortalità dell'anima intellettiva. Ugualmente marginali, nell'ambito dell'argomentare di D., sono le citazioni della definizione dell'anima come atto del corpo e dell'affermazione secondo cui l'operazione dell'intelletto è conoscere le cose che sono.
Bibl. - G. Lacombe, Aristoteles Latinus, Codices, I, Roma 1939, 58-59; II, Cambridge 1955, 788; L. Minio-Paluello, Le texte du " De Anima " d'Aristote: la tradition latine avant 1500, in Autour d'Aristote, Lovanio 1955, 217-243; H.D. Saffrey, Une brillante conjecture de St. Albert et la ‛ recensio nova ' du De anima, in " Revué des Sciences Philosophiques et Théologiques " XL (1956) 255-263; E. Moore, Studies in D., 4 voll., Oxford 1896-1917; F. Groppi, D. traduttore, Roma 19622, 48-86; B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze 19672, 341-380.