PEREZ, David
PEREZ, David (Davide). – Nacque a Napoli nel 1711 (Burney, 1789, p. 570), figlio di Giovanni e di Rosalina Serrari.
Ebbe almeno una sorella, Olimpia, nata nel 1715; rimasto celibe, il compositore l’avrebbe designata erede universale (Enciclopedia della musica, 1960, p. 406).
Nel 1722 entrò al Conservatorio di S. Maria di Loreto, dove fu allievo di Francesco Mancini per il contrappunto e la composizione, Francesco Barbella per il violino, suo strumento principale (Barbella elogiò Perez a Charles Burney come «suonatore difficilissimo di violino»; cfr. Burney, 1789, p. 570) e Giovanni Veneziano per il canto, il clavicembalo e l’organo (nel 1735 Perez si dichiarava, non si sa con quanto fondamento, allievo di Leonardo Vinci: cfr. Holmes, 1993, p. 94).
Completati gli studi nel 1733 (la serenata Questo è il grato e ameno giorno «per uso del Regal Cons.o di S. M. S. L.» è il suo più antico lavoro datato), Perez si recò a Palermo al servizio di Baldassarre Naselli, principe d’Aragona (cfr. Pagano, p. 8, e Tedesco, p. 36, entrambi in David Perez tra Sicilia, penisola iberica e Nuovo Mondo, 2002) il cui figlio Diego, dilettante di musica e compositore, divenne suo allievo. Nel 1734 il compositore propose al Collegio dei gesuiti di Palermo, in occasione delle cerimonie di laurea, le cantate latine Ilium palladio astu subducto expugnatum e Palladium (quest’ultima ripresa nel 1738). Con l’avvento di Carlo di Borbone, di cui l’Aragona divenne maggiordomo maggiore, nel 1735 Perez debuttò sulle scene di Napoli con il dramma per musica La nemica amante (ignoto il librettista), interpretato da Caffarelli e da Angelo Monticelli prima a Palazzo reale per l’onomastico del sovrano, poi al teatro di S. Bartolomeo.
Sebbene in quell’occasione l’impresario Angelo Carasale l’avesse proposto come uno dei «buoni virtuosi di questa città» (Prota-Giurleo, 1923, p. 10), l’anno successivo la Corte si dimostrò restia ad affidare la programmazione del cartellone operistico alla scarsa esperienza di Perez, il quale «puede no salir bien, pués se duda, que de óperas enteras aya compuesto pocas» (dispaccio del 12 ottobre 1735, in Cotticelli, 2004, p. 469).
A Palermo, in mancanza di una stagione teatrale regolare, Perez, che pure poté allestire sulle assi del teatro di S. Lucia tre commedie musicali (L’errore amoroso, carnevale 1745; L’amor fra congionti, carnevale 1746; e un Demetrio del tutto indipendente dal dramma metastasiano, 23 giugno 1746: cfr. Tedesco, 2002, pp. 41, 45), si concentrò sul genere sacro (la prima messa datata risale al 1736). Grazie al viceré Bartolomeo Corsini e a Naselli, che stipendiava un’orchestra «bellissima», con «molti e buoni strumenti d’arco e di fiato» (così il 30 maggio 1738 il viceré; Holmes, 1993, p. 212), diede al Palazzo reale di Palermo almeno una serenata all’anno per il compleanno della regina e altre occasioni dinastiche. Nel 1738 fu nominato vicemaestro di cappella a palazzo (tale risulta ancora nel libretto del Siroe, novembre 1740). Nel 1741 fu promosso a primo maestro (così compare nel libretto del Natale di Giunone, novembre 1742). La notizia di un incarico in Cattedrale è probabilmente frutto di un equivoco (cfr. lettera di Girolamo Chiti a padre Martini del 1° marzo 1749, in Settecento musicale, 2010, p. 472).
Nel 1740 Perez aveva tentato di proporsi sulla piazza romana (l’8 marzo Pier Leone Ghezzi ne fece la caricatura; cfr. Rostirolla, 2001, pp. 191, 385), ma invano, a causa del lutto per la morte di Clemente XII; a Napoli, dove tornò il 16 marzo, mise in scena in pochi mesi I travestimenti amorosi (commedia di Antonio Palomba, giardino di Palazzo reale, 10 luglio, e teatro Nuovo, autunno), il componimento drammatico L’amor pittore (Niccolò Giuvo; Palazzo reale, 24 luglio) e il Siroe re di Persia (Metastasio; S. Carlo, 4 novembre), interpretato da Caffarelli e da Giovanni Manzuoli (entrambi collaborarono poi ripetutamente con Perez a Lisbona). Con il Siroe inizia una lunga teoria di ben diciotto testi metastasiani (quindici drammi, alcuni in due versioni, e tre azioni teatrali), che costituiscono i titoli più fortunati della produzione di Perez, attestata a una cinquantina di lavori: tra questi Demetrio (prima versione Palermo 1741, in occasione dell’arrivo di due galee da Malta; cfr. Sorge, 1926, p. 226, e Tedesco, in David Perez tra Sicilia, penisola iberica e Nuovo Mondo, 2002, p. 44; seconda versione, Lisbona 1766), Alessandro nell’Indie (prima versione Genova 1744, accanto alla Merope; seconda, Lisbona 1755), L’isola disabitata (prima versione Palermo 1748; seconda, Lisbona 1767), Ezio e Zenobia (entrambi Milano 1751), Didone abbandonata (Genova 1751), Demofoonte (Lisbona 1752), L’Olimpiade (Lisbona 1753) e L’Ipermestra (Lisbona 1754). Perez intrattenne rapporti cordiali con il poeta cesareo, che incontrò a Vienna nel 1749. Autorizzato dal viceré Eustachio de Laviefuille il 9 marzo 1748, Perez si fece sostituire a Palermo da Salvatore Bertini e lasciò la città, dove non avrebbe più fatto ritorno, benché continuasse a ricevere vita natural durante metà dello stipendio. Da quell’anno, cominciando con l’Artaserse in scena alla Pergola di Firenze nell’autunno e con il fastoso Alessandro nell’Indie allestito al S. Carlo di Napoli il 4 novembre 1749, il compositore si dedicò alla carriera d’operista, producendo a ritmi serrati fino a quattro lavori all’anno, tra cui andranno citati la Semiramide riconosciuta (Metastasio, 1749) e il Farnace (Zeno, 1750) allestiti a Roma, piazza dove egli godette di una certa fortuna, testimoniata, oltre che dalla presenza di musiche sue negli archivi, anche dalla popolarità delle sue sinfonie d’opera eseguite autonomamente (cfr. Bacciagaluppi, 2010, p. 91). Perez coltivò peraltro anche la musica sacra (fu prolifico autore di messe, antifone, responsorii, salmi; cfr. in particolare Salmi brevi di vespro, a cura di N. Maccavino, Palermo 2003; un suo Requiem risuonò nel 1747 a Palermo in suffragio di Filippo V: cfr. Tedesco, in David Perez tra Sicilia, penisola iberica e Nuovo Mondo, 2002, p. 40), benché nel 1749 non poté ottenere il titolo di maestro coadiutore della cappella Giulia in Roma (gli venne preferito Niccolò Jommelli).
Tra il 1739 e il 1753 Perez scrisse, soprattutto per la Capella della Soledad e altre sedi palermitane, una decina di drammi sacri, di cui sopravvivono solo la metastasiana Passione di Gesù Cristo (1742) e Il martirio di san Bartolomeo (scritto a Roma per i filippini nel 1749 e ripreso a Padova ancora nel 1779; ed. moderna a cura di N. Maccavino - G. Collisani, Palermo 2003).
Il 7 dicembre 1749 (cfr. Tutte le opere di Pietro Metastasio, III, 1951, p. 448) Perez raggiunse Vienna in compagnia di Diego Naselli, raccomandato a Metastasio dalla principessa Anna Francesca Pignatelli di Belmonte; a corte fu ben accolto (p. 471), e nel 1750 vi allestì i drammi per musica Andromaca, ad apertura di stagione, e Vologeso; l’ingaggio fruttò complessivamente 825 fiorini (cfr. Zechmeister, 1971, p. 218).
Nel 1752 avvenne la svolta decisiva nella carriera di Perez, chiamato alla corte del re di Portogallo, Giuseppe I, in qualità di compositore (e di fatto direttore musicale) e maestro di musica della principessa del Brasile e delle infante (non tuttavia come maestro della cappella reale: cfr. de Brito, 2002, p. 18). Pur conservando i contatti con la madrepatria – carteggiò con padre Martini; provvide per conto della Corona alla formazione di alcuni studenti portoghesi, tra cui Jerónimo Francisco de Lima e João de Sousa Carvalho (poi suo successore come maestro di musica della famiglia reale), al Conservatorio di S. Onofrio di Napoli (cfr. Sigismondo, 1820) – non lasciò più Lisbona, dov’era tenuto nella più alta stima: «qui è considerato come l’Achille de’ bimmolli e de’ biquadri», annotò Giuseppe Baretti (1763, 1836, p. 182), il 13 settembre 1760 anno in cui Perez venne consultato sulla costruzione degli organi nel convento di Mafra; il collega Giuseppe Scolari dedicò proprio al «rinomatissimo» Perez l’Arcifanfano allestito a Lisbona, probabilmente nel 1768. Gratificato dal generoso stipendio di 50.000 franchi, Perez godette nei primi anni della ricca vita teatrale sul Tago, promossa con entusiasmo dal sovrano che, nelle tre sale dell’Opera do Tejo, dell’Ajuda e della reggia di Salvaterra, realizzò allestimenti grandiosi affidati ai massimi virtuosi sulla piazza, fino al nefasto terremoto del 1° novembre 1755. Perez sfuggì al sisma – si trovava a Belem con la corte (cfr. Prota-Giurleo 1923, p. 17) –, che segnò comunque il termine di un decennio di intensissima attività operistica: a Lisbona aveva dato sette opere, allestite con scenografie mirabolanti e cast strepitosi (il solo Gioachino Conti, detto il Gizziello, interpretò quattro suoi titoli, per essere poi nominato virtuoso di camera del re), culminanti nell’Alessandro nell’Indie che nel fatidico 1755, con le voci di Anton Raaff, Gregorio Babbi e Caffarelli e le scene di Carlo Sicinio Galli Bibiena, inaugurò il teatro dos Paços da Ribeira (l’Opera do Tejo, costruita dallo stesso Bibiena: diverse sue scenografie per l’Alessandro nell’Indie, L’Olimpiade del 1753 e altri allestimenti lusitani sono riprodotte in de Brito, 1989; I Bibiena, 2000; Dottori - Jackson, 2001; de Brito, 2002; Verardo Tieri, 2004).
Ridottasi drasticamente la vita teatrale, stretto tra la concorrenza dell’opera buffa e di quella seria di Jommelli, nei vent’anni successivi Perez propose soltanto altri tre drammi: la seconda versione del Demetrio metastasiano, 1765; il celebrato Solimano, 1768 (non già nel 1757), tratto dal dramma di Giovanni Ambrogio Migliavacca per Hasse (ed. facsimile con introduzione di H.M. Brown, New York-London 1978); Creusa in Delfo, 1774, del poeta di corte Gaetano Martinelli. Cospicua la fama del compositore a Londra, dove, tra il 1755 e il 1764, andarono in scena almeno un dramma originale (Ezio, 1755) e diversi pasticci con musiche sue (Attalo, Solimano, Farnace, Vologeso, Arminio, Didone abbandonata, Nerone, Senocrita: cfr. Sartori, 1993; Burden, 2000 e 2013); l’editore Walsh gli dedicò una decina di raccolte a stampa di arie, e Bremner pubblicò nel 1774, forte di 173 sottoscrittori, un’edizione in folio, con il ritratto del compositore intagliato da Francesco Bartolozzi, del Mattutino de’ morti, unica composizione completa pubblicata in vita di Perez, che sempre nel 1774 venne affiliato all’Academy of music.
Lo spartiacque del terremoto di Lisbona implicò l’intensificarsi dell’impegno nella musica da chiesa. Animato da sincero spirito religioso – già il 28 ottobre 1750 Metastasio si rallegrava che «fra le jaculatorie, le astinenze, i digiuni, le discipline e le altre vostre religiose occupazioni avete pur trovato un momento per darmi nuove di voi» (Tutte le opere…, III, 1951, p. 581) – Perez alimentò in termini cospicui il repertorio della cappella reale e del Seminario de Musica da Patriarcal, sviluppando uno stile maturo che si distanzia dalla produzione italiana degli anni Trenta-Quaranta. Dal 1774 la salute del compositore iniziò a declinare: benché ormai cieco, continuò a comporre, fino al componimento drammatico metastasiano La pace fra la virtù e la bellezza, del 17 dicembre 1777. Il 1° maggio aveva diretto il Te Deum per l’acclamazione della regina Maria I, sua allieva, che lo insignì dell’Ordine di Cristo (cfr. de Brito, 2002, p. 22).
Morì a Lisbona il 30 ottobre 1778.
Gli furono tributati funerali solenni a spese della corte. Presso i contemporanei Perez godette di grande stima: fu accostato da Jean Jacques Rousseau a Corelli, Vinci, Jommelli e Durante tra gli autori che il «genio» ha guidato «nel santuario dell’armonia» (Dictionnaire de musique, 1768, s.v. compositeur, p. 109); indicato tra coloro che «hanno portata la musica in questo secolo al suo scopo, che è l’espressione de’ più teneri affetti e delle più violente passioni del cuore umano» (Eximeno, 1774); nominato con Johann Adolf Hasse e Jommelli nel triumvirato degli autori viventi «più insigni per le loro opere di sacra musica vocale coniunta agli strumenti, ed i più degni perciò da imitarsi da chi si accinge a scrivere una tal sorta di musica» (Gerbert, 1774, pp. 354 e 376, che riferisce l’opinione di Giuseppe Santarelli, già interprete di opere di Perez e poi cantore e maestro in S. Pietro), ambito nel quale verrà portato a modello per le nuove generazioni ancora al principio del secolo nuovo (Choron, 1808; Gianelli, 1820). Se Burney (1789, p. 571), che al Perez operista riconosce «the elegance and grace of his melodies, and expression of the words», vi rilevava minor scienza contrappuntistica che in Jommelli, ancora Francesco Florimo (1869, p. 388; e così Fétis, 1878, p. 484) giudicava la musica da chiesa di Perez «severa, devota e sempre adatta alle parole» e «più originale di quello che sia nella musica drammatica». La popolarità di questa produzione è testimoniata dalla cospicua diffusione in archivi e biblioteche soprattutto d’Italia, Portogallo e Germania: Ernst Ludwig Gerber (1792) osservò che il compositore era noto e apprezzato oltralpe già attorno al 1766. Come operista Perez rientra, con Francesco Corselli e Jommelli, in quel novero di autori impegnati, nel cuore del secolo, in una rigenerazione del melodramma metastasiano: i drammi portoghesi culminanti nel Solimano e nella Creusa in Delfo esibiscono in particolare una spiccata versatilità formale cui contribuiscono il ricorso al recitativo accompagnato e la concatenazione ingegnosa di diversi numeri musicali, l’impiego del coro, i balli, l’adozione di stilemi buffi, la complessità dei finali, una scrittura più calligrafica e galante, un’orchestrazione scaltrita. Se assai ridotta è la produzione strumentale (alcune sonate e una raccolta di concerti trasmessa incompleta; cfr. Maccavino, 1990, pp. 85-88), Perez fu anche didatta influente (tra i suoi allievi il mezzosoprano Luisa Rosa Todi d’Aguiar e il compositore Antonio da Silva), presente nella celebre serie parigina dei Solfèges d’Italie avec la basse chiffrée, la cui sezione quarta (1772) è interamente dedicata ai suoi dodici Solfeggi a due voci.
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