Lean, David
Regista cinematografico inglese, nato a Croydon il 25 marzo 1908 e morto a Londra il 16 aprile 1991. Avvicinatosi al cinema a diciannove anni, L. esordì nella regia nel 1942 in collaborazione con il commediografo Noël Coward, un sodalizio che lo portò a firmare nel 1945 uno dei film più celebri della storia del cinema inglese, Brief encounter (Breve incontro), vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1946, e a essere considerato il portabandiera del realismo intimista britannico. Autore sensibile e con uno stile orientato a una minuziosa osservazione ambientale e psicologica e dalle evidenti sfumature melodrammatiche, con The bridge on the river Kwai (1957; Il ponte sul fiume Kwai), che vinse sette Oscar nel 1958, e con i successivi Lawrence of Arabia (1962; Lawrence d'Arabia), che ottenne ancora sette Oscar nel 1963 (in entrambi i casi compresi quelli per il miglior film e la regia), e Doctor Zhivago (1965; Il dottor Zivago), vincitore di cinque Oscar nel 1966, L. cominciò a essere considerato il prototipo del regista europeo abile nel tradurre testi letterari nelle forme del kolossal ma privo di una precisa personalità autoriale, quasi una sorta di sintesi dello stile accademico del cinema inglese. Una fama che L. non merita, perché in realtà nella prima parte della sua carriera aveva dimostrato di possedere un universo poetico e visivo di notevole originalità, che riemerge soltanto a tratti nei progetti superspettacolari realizzati dalla metà degli anni Cinquanta in avanti.
Amante del cinema fin dall'infanzia, un amore interdetto dai genitori quaccheri, L. fece una lunga gavetta come montatore negli anni Trenta e Quaranta. Spinto alla regia da Coward, con il bellico In which we serve (1942; Eroi del mare ‒ Il cacciatorpediniere Torrin), ambientato negli spazi ristretti di una nave, riuscì a fondere il suo interesse per l'eroismo della gente comune con l'attenzione 'psicologica' della macchina da presa per gli elementi dell'ambientazione. Due tratti d'autore che, do-po le successive collaborazioni con Coward (This happy breed, 1944, La famiglia Gibson, e Blithe spirit, 1945, Spirito allegro), raggiunsero la piena espressione in quello che resta il suo capolavoro, Brief encounter. Storia dell'amo-re illecito tra due piccolo-borghesi coniugati, stretto tra la malinconia di una Londra segnata dalla guerra e lo squallore di stazioncine suburbane, il film fu subito considerato un caposaldo del realismo e del pudore britannici. Ma Brief encounter è soprattutto un grande mélo sull'impossibilità amorosa e sulla distruzione dell'istinto messa in atto dalle norme sociali. Profondamente britannico in questo senso, ma tutt'altro che convenzionale e freddo: raccontata in flashback, la vicenda acquista intensità proprio attraverso le fisionomie 'banali' e antidivistiche dei due protagonisti (Celia Johnson e Trevor Howard) e attraverso la drammaticità dei primissimi piani, dei grandangoli deformanti e di un montaggio visivo e sonoro esemplare. La passione di L. per i dettagli abnormi ed 'espressivi' dell'ambiente emerse nelle due successive riduzioni da Ch. Dickens: Great expectations (1946; Grandi speranze) e Oliver Twist (1948; Le avventure di Oliver Twist), dove balza in primo piano l'anima gotica britannica. Great expectations, soprattutto nella scena d'apertura nel cimitero e in quelle in casa di Miss Havisham, rasenta l'horror senza perdere di vista l'ampiezza del romanzo di formazione dal quale è tratto. A un passo dal gotico, anche grazie alla loro apparente freddezza, sono i due melodrammi costruiti da L. sulla bellezza algida di Ann Todd (che era allora sua moglie), The passionate friends (1948; Sogno d'amanti) e Madeleine (1949; L'amore segreto di Madeleine). Del 1953 è l'ultima, sapiente divagazione vittoriana: Hobson's choice (Hobson il tiranno), tratto dalla pièce di H. Brighouse, storia semicomica di un tiranno domestico (Charles Laughton in una delle sue interpretazioni più debordanti), un po' lontana forse dallo spirito malinconico di L., ma esemplare della sua cifra stilistica. Dopo il successo di Summer-time, noto anche come Summer madness (1955; Tempo d'estate), prima coproduzione anglo-statunitense del regista, interpretata da Katharine Hepburn e Rossano Brazzi e girata a Venezia, L. venne coinvolto, su suggerimento della stessa Hepburn, nel progetto di The bridge on the river Kwai, tratto dal best seller bellico di P. Boulle e prodotto dallo statunitense Sam Spiegel. Il film narra un'impresa epica e anacronistica: la costruzione, durante la Seconda guerra mondiale, di un maestoso ponte in Birmania da parte delle truppe giapponesi e di un gruppo di prigionieri britannici. Costoso, interpretato da un cast internazionale (ma L. non cedette sul nome del protagonista inglese, Alec Guinness), esotico e sontuoso, in realtà il film è amaro e disperato: racconta la fine inappellabile di due imperi (quello britannico e quello giapponese) ormai anacronistici e dominati da un malinteso senso dell'onore, l'assurdità della guerra e l'inutilità di certe conquiste e di finte vittorie. Il suo enorme successo consolidò la collaborazione tra L. e Spiegel, che realizzarono cinque anni dopo un film ancora più ambizioso: Lawrence of Arabia. Ispirato all'autobiografia di Th.E. Lawrence, è la storia dell'enigmatico agente britannico che intorno al 1916 guidò la rivolta antiturca degli arabi. Dominata dal carisma ambiguo del quasi esordiente Peter O'Toole, l'opera è più problematica di quanto non appaia a una prima lettura e in essa L., oltre a farsi portavoce dell'idealismo di Lawrence e a tratteggiarne con finezza le contraddizioni personali e politiche, trasmette il fascino del deserto e quella 'malattia d'esotismo' che tanta parte ha avuto nella cultura britannica. Con questi due film, nei quali l'autore infonde la sua visione di un mondo in estinzione e di una realtà che non si concilia mai con l'ideale, il kolossal trova un equilibrio esemplare tra spettacolarità e profondità d'intenti. Equilibrio che non riesce a raggiungere il successivo e più manierato Doctor Zhivago, malgrado la bellezza visiva di certe scene (il palazzo ghiacciato) e l'intensità di alcune sequenze. Nel 1970 la pessima accoglienza di pubblico e di critica riservata a Ryan's daughter (La figlia di Ryan) fece adirare L., che si ritirò dall'attività per molti anni. Tornò alla regia nel 1984 con A passage to India (Passaggio in India), tratto dal romanzo di E.M. Forster, un colpo d'ala, che concilia ancora una volta lo spettacolo, la suggestione sensuale dell'esotismo e il ritmo interiore del racconto.
S. Ross, In defense of David Lean, in "Take one", 1972, 12.
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