VITERBO, Dario
Scultore nato a Firenze il 25 gennaio 1890. A 22 anni ottenne il diploma di pittura nell'Accademia di belle arti di Firenze. Coltivò dapprima pittura e musica. Datosi poi alla scultura, venne tecnicamente avviato da A. Rivalta. Espose per la prima volta nel 1914 alla "Secessione" di Roma. Ritornato all'arte dopo la Guerra mondiale, partecipò all'Esposizione primaverile fiorentina (1922) con un gruppo di opere che suscitarono consensi e discussioni. Lo stesso anno fece una mostra a Milano, presso "Bottega di Poesia". Dopo di allora fu presente in varie esposizioni italiane, e alla Mostra internazionale delle arti decorative di Parigi, nel 1925. Trasferitosi da Firenze nella capitale francese, ha preso parte ai Salons d'Automne et Tuileries e vi ha tenuto varie mostre personali (Gall. Durand-Ruel, 1926; Gall. Bernheim Jeune, 1928; Gall. Hebrard, 1934). Nel 1932 ebbe una sala personale all'Esposizione internazionale di Venezia. Nel 1925 venne invitato con un gruppo di opere a una mostra d'arte classica di ogni tempo nella Galleria Sambon. Ha esposto nella Mostra d'Arte ital. dell'800 e '900 a Parigi (1935). Opere di V. si trovano nei musei di Parigi e di Milano, e in collezioni private.
L'arte del V., dipartitasi da un impressionismo introspettivo (Il sorriso interno, La maschera mite, Il ritratto malinconico), per trascorrere verso un espressionismo archetipico (L'incantamento, La regina, L'uomo che sta con sé) si compone e precisa, nelle più recenti opere, in un moderno e originale classicismo (L'ineffabile, L'enigmatica, La regale, Lo scrutatore). Le tre maniere sono egualmente dominate dall'aspirazione a un superamento del "vero" fisico e formale in vista del "vero" metafisico e interiore. L'opera del V., mentre si differenzia nettamente dalla tradizione naturalistica latina e italiana, si connette alle tradizioni orientali e particolarmente a quella egizia. Dall'educazione e dall'ambientalità fiorentine derivano invece al V. la finezza della tecnica e del gusto fabrile, essendo egli da considerare uno dei pochi scultori del nostro tempo che nel lavorare il marmo abbiano ritrovato l'empirica sapienza e la spirituale nobiltà delle più raffinate epoche della scultura; virtù, codeste, che si estendono anche alla sua oreficeria.
Bibl.: Rom Landau, in Acht Uhr Abendblatt, 21 marzo 1923; G. Costetti, in Fantastica, settembre 1924; G. Bal, in New York Herald, aprile 1926; Thiebault Sisson, in Le Temps, 21 aprile 1926, 11 maggio 1928, 22 aprile 1934; P. Fiercus, in Journal des Débats, aprile 1926, 15 maggio 1928; id., Prefazioni ai cataloghi delle esposizioni personali alle gallerie Durand-Ruel, 1926 e Hebrard, 1934; A. Alexandre, in Renaissance de l'art, aprile 1928; P. Santenac, ibid., maggio 1928; M. Tinti, ibid., marzo 1929; id., in Giornale di Genova, 5 luglio 1932; id., Presentazione della mostra industriale di D. V., in Catalogo della XVIII Biennale di Venezia, 1932; A. Donath, in Berliner Tageblatt, 24 febbr. 1931; C. Glaser, in Börsen Curier, 25 febbraio 1931; E. Van Loo, in Clarté, dicembre 1935; R. Vallaud, in L'art et les artistes, gennaio 1936.