PAPA, Dario
– Nacque a Rovereto il 24 gennaio 1846 da Pietro e da Anna Padovani.
All’età di nove anni, rimasto orfano di entrambi i genitori insieme alla sorella Nina, venne mandato a Vienna presso uno zio materno, dove si trattenne appena un anno. Si trasferì quindi a Venezia da un altro zio che lo fece studiare in collegio prima a Rovereto, poi a Verona, finché nel 1859 fu accolto da una zia a Desenzano. Successivamente si recò a Torino, dove trovò impiego presso l’amministrazione ferroviaria e nel contempo s’iscrisse alla facoltà di matematica, con l’aspirazione di diventare ingegnere.
Nel luglio 1866, già permeato di sentimenti irredentistici e antiaustriaci, abbandonò gli studi e il lavoro per unirsi ai volontari garibaldini nella campagna del Trentino, partecipando alla battaglia di Bezzecca. Finita la terza guerra d’indipendenza, si stabilì a Milano e prese a frequentare gli ambienti della scapigliatura letteraria e artistica. In particolare, strinse rapporti di amicizia con Emilio Praga, con Giuseppe Grandi e con il pittore Tranquillo Cremona, che nel 1874 lo avrebbe effigiato in uno dei suoi ritratti più belli, oggi conservato presso la Civica galleria d’arte moderna di Milano. Sempre nel 1866 a Milano Papa iniziò la sua attività giornalistica collaborando dapprima a L’Italia agricola e poco dopo a Il Sole, due giornali che trattavano entrambi argomenti economici e commerciali. Nel 1872 cominciò a scrivere per un giornale politico, La Perseveranza, quotidiano milanese di orientamento liberal-conservatore diretto da Ruggero Bonghi. Divenne in seguito redattore de Il Pungolo, giornale guidato da Leone Fortis che esprimeva anch’esso opinioni moderate e monarchiche, le stesse in cui si riconosceva in quegli anni Papa, spesso portato a sostenerle in accese polemiche con esponenti dello schieramento democratico. Una di queste, nel 1873, gli costò un duello con Achille Bizzoni, direttore de Il Gazzettino rosa, il foglio che rappresentava in quegli anni una palestra di confronto fra ex garibaldini e internazionalisti.
Nel 1874 gli fu affidata la direzione del giornale L’Arena, che si pubblicava a Verona dal 1866 e che egli volle denominare, nel sottotitolo, «veneto-trentino», a rimarcare fin da subito la sua esplicita adesione ai principi dell’irredentismo. Conservò la carica fino al 1880, segnalandosi per le battaglie in difesa della libertà di stampa e soprattutto per alcune innovazioni nei titoli e nell’impaginazione che miravano a modernizzare la veste grafica del giornale e a favorirne la diffusione e le vendite. Condensò queste sue idee intorno ai cambiamenti di cui necessitava la stampa italiana nel volume Il giornalismo. Rivista estera ed italiana (Verona 1880). Ciò attirò su di lui l’attenzione di Eugenio Torelli Violler, fondatore e direttore del Corriere della sera, che nel 1880 gli affidò l’incarico di redattore capo del quotidiano milanese e nel 1881 lo inviò negli Stati Uniti, insieme all’amico e collega Ferdinando Fontana, per studiare l’impostazione, le tecniche e le modalità di realizzazione dei giornali americani.
Il viaggio negli Stati Uniti rappresentò un’autentica svolta nella vita di Papa sia dal punto di vista personale (a Chicago conobbe Fidelia Dinsmore, musicista e giornalista, che sarebbe diventata sua moglie), sia sotto il profilo professionale e politico. A New York collaborò con il Progresso italo-americano e con il New York Herald, il più importante quotidiano statunitense. Fra i tanti aspetti del giornalismo americano che lo colpirono positivamente e che avrebbe cercato di riprodurre al suo rientro in Italia vi furono quelli riguardanti l’organizzazione del lavoro redazionale, la forma del giornale (abbondanza di notizie e di rubriche, ‘titoli grandi e spettacolosi’, articoli brevi), l’utilizzo massiccio delle inserzioni pubblicitarie, collocate nelle quarte pagine, come fonte determinante di ricavi economici.
Oltre al soggiorno newyorkese, che raccontò nel libro New York (Milano 1884) scritto insieme a Fontana, Papa compì un lungo viaggio dalla costa orientale a quella occidentale, formandosi un’idea approfondita della realtà sociale e politica americana e restandone affascinato. Ne derivò un tormentato percorso di revisione delle sue convinzioni politiche, che nel volgere di qualche anno lo portò a ripudiare le idee monarchiche e a riconoscersi in un repubblicanesimo federalista di matrice cattaneana.
Tornato in Italia, Papa entrò ben presto in attrito con Torelli Viollier sia sul taglio da dare al giornale, sia sulla sua collocazione politica. Lasciò dunque il Corriere e, dopo un breve periodo trascorso all’Arena di Verona, nel 1884 assunse la direzione del quotidiano milanese L’Italia, attestato su posizioni di sinistra moderata. Qui poté dare finalmente piena attuazione alle novità assimilate durante l’esperienza americana, trasformando la veste grafica dell’Italia e facendone un giornale popolare simile a quelli pubblicati oltre Atlantico (titoli della prima pagina su più colonne, largo uso dei neretti o di altri accorgimenti grafici per richiamare l’attenzione del lettore su articoli pubblicati nelle pagine interne, drastica riduzione della lunghezza degli articoli, creazione di nuove rubriche, inserimento di tutte le notizie d’attualità, comprese quelle di cronaca, in prima pagina, ricorso a inusuali trovate pubblicitarie per lanciare alcuni romanzi d’appendice).
Nella seconda metà degli anni Ottanta, mentre si qualificava come il maggiore innovatore del giornalismo italiano, maturò la sua definitiva conversione al repubblicanesimo. Essa poté dirsi compiuta nel 1888, quando Papa, che nel contempo espresse severe critiche verso la politica estera del governo crispino e l’impresa d’Africa, da lui definita un «vero delitto nazionale» (prefazione a G. Chiesi - G. Norsa, Otto mesi d’Africa, Milano 1888, p. 14), in una lettera al suo capo redattore Oreste Cipriani affermò senza mezzi termini che il giornale doveva «essere di tendenze repubblicane» (Confessioni e battaglie, scelte e pubblicate da A. Ghisleri, Milano 1903, p. 9).
Queste nuove posizioni politiche lo portarono su una linea di rottura con Attilio Manzoni, il quale, già detentore dell’appalto pubblicitario dell’Italia, nel 1889 ne rilevò l’intera proprietà. Papa rassegnò le dimissioni e cominciò a pensare a un nuovo giornale, L’Italia del popolo, che fin dal titolo (lo stesso di un quotidiano mazziniano pubblicato anch’esso a Milano nel 1848) doveva rendere esplicita la sua scelta di campo ideologica. Del resto, nel primo numero, apparso il 7-8 giugno 1890, Papa lo scrisse chiaramente: «Il giornale sarà repubblicano-federalista. Tutto il programma sta qui». Sul piano del pensiero e dell’azione politica egli guardava però non tanto a Mazzini, quanto a Cattaneo, così come faceva la maggior parte dei membri di quella Consociazione repubblicana lombarda (Arcangelo Ghisleri, Gabriele Rosa, Gustavo Chiesi, Luigi De Andreis, Eugenio Chiesa), di cui entrò a far parte e della quale nel 1893 L’Italia del popolo diventò l’organo ufficiale.
I molti viaggi compiuti in quegli anni in vari Paesi europei, dei quali rese conto nel libro Viaggi (Lecco 1893), lo rafforzarono nel convincimento che le due repubbliche federali della Svizzera e degli Stati Uniti d’America rappresentassero di gran lunga i migliori sistemi politico-istituzionali esistenti al mondo e sul giornale si batté a fondo perché anche l’Italia abbandonasse la forma monarchica e l’assetto centralistico dello Stato. Senza mai assumere posizioni settarie (perseguì anzi ogni possibile convergenza fra tutte le composite forze della Sinistra, in particolare con i socialisti, al punto che L’Italia del popolo offriva ai suoi lettori un abbonamento cumulativo con Critica sociale), Papa dette largo spazio sul giornale alle tematiche della laicità dello Stato, della diffusione dell’istruzione e dei diritti civili (per esempio sostenne la campagna a favore del divorzio), delle riforme sociali e dell’emancipazione della donna. Su quest’ultimo tema ospitò numerosi articoli della più nota emancipazionista italiana, Anna Maria Mozzoni, ed egli stesso vi dedicò due volumi (La donna in America, Milano 1889; La donna in America e la donna in Italia, Milano 1895).
Papa non rinunciò comunque a trasferire nell’Italia del popolo le innovazioni che aveva sperimentato con successo nell’Italia. Le pagine del giornale furono perciò fitte di cronache e di attualità, comprese le notizie sugli avvenimenti giudiziari di maggior richiamo, annunciate da titoli a caratteri cubitali. Agli interventi di natura politico-sociale si alternavano le notizie minori, spesso scritte in maniera telegrafica e raccolte sotto la rubrica Omnibus, che fu da lui ideata e venne presto copiata da altre testate.
Afflitto da diversi anni da gravi problemi respiratori, Papa morì a Sanremo il 23 gennaio 1897.
Filippo Turati, all’indomani della sua scomparsa, lo definì «incontestabilmente, il più geniale e il più grande – il solo grande – dei giornalisti italiani contemporanei» (L’Italia del popolo, 27-28 gennaio 1897; l’intero necrologio di Turati, D. P., parole dette sul feretro, apparve anche in Critica sociale, 1° febbraio 1897, pp. 34-36).
Altre opere: La diffamazione nel Codice penale e la stampa. Relazione della commissione composta dei soci D. P., avv. Domenico Oliva, avv. Enrico Valdata pubblicisti, Milano 1891; Una gita in Spagna, Lecco 1893; In tedescheria, Lecco 1893; Dai paesi dello stato d’assedio. Un’udienza al tribunale di guerra, Milano 1894.
Fonti e Bibl.: Lettere di e a Dario Papa sono conservate in: Firenze, Fondazione di studi storici Filippo Turati, Archivio Turati; Pisa, Domus mazziniana, Archivio Ghisleri; Milano, Museo del Risorgimento, Archivio Ghisleri; Sondrio, Bilioteca civica Pio Rajna, Fondo Emilio Quadrio. Oltre ai discorsi pronunciati in occasione del suo funerale da Turati, Osvaldo Gnocchi-Viani, Bortolo Federici, Felice Cavallotti e Pio Schinetti, pubblicati su L’Italia del popolo, 27-28 gennaio 1897, si vedano: O. Cipriani, L’anima e la coerenza di D. P., Milano 1898; F. Cazzamini Mussi, Il giornalismo a Milano dal 1848 al ’900, Como 1935, ad ind.; I periodici di Milano: bibliografia e storia, I, 1860-1904, Milano 1956, pp. 132-134; F. Nasi, 100 anni di quotidiani milanesi, Milano 1958, ad ind.; A. Bandini Buti, D. P., in Aspetti e figure della pubblicistica repubblicana italiana, Genova-Milano-Torino 1962, pp. 59-65; F. Nasi, Il peso della carta. Giornali, sindaci e qualche altra cosa di Milano dall’Unità al fascismo, Bologna 1966, ad ind.; R. Rainero, L’anticolonialismo italiano da Assab ad Adua (1869-1896), Milano 1971, pp. 16, 173 s., 176, 320; V. Castronovo, La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Bari 1973, pp. 6, 73, 94, 110-112, 152, 176; P. Calascibetta, D. P. e l’«L’Italia del popolo», in Il Risorgimento, XXX (1978), 3, pp. 125-150; L. Barile, Il Secolo, 1865-1923. Storia di due generazioni della democrazia lombarda, Milano 1980, pp. 19, 92, 120, 149, 190, 207, 217, 219 s., 225, 227, 242; G. Spadolini, I repubblicani dopo l’Unità, IV ed. accresciuta, Firenze 1980, pp. 79, 81, 86, 98-100, 244, 291; A. Colombo, L’avventura di D. P., in Nuova antologia, CXXII (1987), 3, pp. 258-272; M. Ridolfi, Il partito della repubblica. I repubblicani in Romagna e le origini del Pri nell’Italia liberale (1872-1895), Milano 1989, pp. 184, 319; G. Angelini - A. Colombo - V.P. Gastaldi, Poteri e libertà. Autonomie e federalismo nel pensiero democratico italiano, Milano 2001, pp. 13, 35, 79, 111-119, 121; A. Moroni, Alle origini del Corriere della sera. Da Eugenio Torelli Viollier a Luigi Albertini (1876-1900), Milano 2005, pp. 48, 92 s., 113, 125 s.