CUTINI, Daria
Nacque a Livorno il 16 marzo 1835 da Luigi, commerciante, e da Elisabetta Casali. Dopo alcune esperienze tra i dilettanti della sua città, venne scritturata da Antonio Feoli, nella cui compagnia conobbe e sposò il generico Ludovico Mancini. Nel 1854 passò, insieme con il marito, alla Compagnia reale sarda su invito, del direttore, Francesco Righetti, che aveva udito la C. ad Alessandria l'anno precedente ed era stato colpito dall'arguzia e dal brio della sua recitazione. Per averla con sé - testimonia il Rasi - il Righetti fu costretto a pagare la penale alla società Arnaud e Carrani, presso la quale la C. era scritturata e ad assumere il Mancini col ruolo di secondo amoroso.
La C. entrò nella nuova compagnia in un momento di crisi, economica (le sovvenzioni statali avevano subito un brusco calo e minacciavano di finire del tutto) e di profonde trasformazioni nell'organico. Il primo attore Giuseppe Peracchi si allontanava, per dissidi incorsi con l'altro primo attore, Ernesto Rossi, che diventava cosi primo attore assoluto, e la prima attrice Antonietta Robotti formava - ditta, portando via con sé la, sua - numerosa famiglia, e veniva sostituita da Adelaide Ristori. La C. subentrava. a sua volta alla famosa "servetta" Rosa, Romagnoli Pasini, che abbandonava le scene dopo oltre trenta anni di attività. Con la Pasini si chiudeva il regno della servetta goldoniana, sostituita, nelle commedie più moderne, da un ruolo di seconda attrice ancora troppo poco caratterizzato; al personaggio la C. portò, fin dalle sue prime prove, il contributo di un'elegante civetteria e di una raffinata malizia superando il confronto con. l'amatissima Romagnoli e creando in qualche modo un nuovo tipo nel teatro italiano con la sua grazia mordente e la sua recitazione appassionata. Insieme con Adelaide Ristori, Ernesto Rossi, Gaetano Gattinelli, Gaetano Woller, Leonilde Velli, Gaspare Pieri, Pietro Bocconcini, la C. prese parte nella stagione 1854-55 all'allestimento di numerose novità italiane (quasi una a settimana per sopperire alle crescenti difficoltà economiche) - Vittorio Alfieri e Luigia d'Albany di Gattinelli, Il regno di Adelaide e Amante e madre di Dal Testa, La poltrona storica di Ferrari. Mantenere le promesse e morire di Peracchi - riscuotendo un grande successo di pubblico e di critica.
Nell'estate del 1854 a Pisa, a causa di una malattia del Pieri., la C. recitò insieme con il Rossi anche nelle commedie e nelle farse: "quelle benedette farse - ricorda il Rossi - io le recitavo con la Daria Cutini Mancini che era proprio un folletto per grazia vivacità e spirito" (Rossi, p. 89). Molto lusinghiero è il giudizio dell'attore sulla C. "una bellezza piccante, giovanissima, ella pure di ventidue-ventitré anni appena: svelta della persona, elegante nei movimenti, con una pronunzia aperta e correttissima, qualità principale nel disimpegno delle parti brillanti e di servetta" (ibid., p. 79).
Nel 1855 la compagnia sostò a Torino solo per il carnevale, per spostarsi poi nei maggiori teatri della penisola e, infine, in Francia in occasione dell'esposizione di Parigi. La C. seguì il Righetti e la Ristori in questa tournée in cui vennero rappresentate opere classiche di Alfieri, Pellico e Goldoni e, allo scioglimento di quella compagnia, entrò nella formazione del Pieri, anch'egli proveniente dalla Reale Sarda. Fu "un anno malauguratissimo in cui s'ebbe malanni d'ogni sorta un po', colera, leve, carestia, imprestiti ed altro" (Rasi, II, p. 281). Quando il Pieri accettò la scrittura come attore e direttore dall'Astolfi, la C. colpita da tisi non lo seguì e si ritirò, salvo qualche beneficiata in suo onore, dalle scene.
In occasione di una beneficiata con La cameriera astuta di Riccardo Castelvecchio a Torino, una gazzetta locale - testimonia il Rasi - la definì: "delizia di ogni pubblico per quel brio e naturalezza onde sa improntare le parti di servetta nella quale è veramente l'erede della esimia Romagnoli" e lo stesso Rasi, che vide la C. nella stessa commedia alla Accademia fiorentina de' Fidenti, conferma l'eccezionalità della interpretazione: "Non era una donna, ma uno spiritello, che correva per le scene con movenze birichine, d'una galanteria indicibile, con una vocina d'argento che si insinuava ne' cuori, con una dizione limpida e netta, che afferrava lo spirito. Si pendeva intenti dal tutto di quel frullino, dinanzi a cui non si osava lasciarsi andare a una matta risata, per paura di perdere una mossa, un'occhiata, una sillaba" (I, p. 735). Nonostante la brevità d'ella sua presenza sulle scene, la C. riuscì a introdurre nel teatro una comicità più concreta e il tipo della donna emancipata, spesso vedova, desiderosa di nuove nozze, bandolo della matassa nelle commedie d'intreccio della metà del secolo.
A Roma, negli ultimi anni della sua vita, diresse il circolo filodrammatico cittadino. La C. morì a Roma il 16 apr. 1881.
Bibl.: Roma, Bibl. teatrale dei Burcardo, ms. 3.15.3.19: A. Colomberti, Diz. biogr. dei comici nostri, p. 123; E. Rossi, Quaranta anni di vita artistica, I, Firenze 1887, pp. 79, 89; G. Costetti, La Compagnia reale sarda e il teatro italiano dal 1821 al 1855, Milano 1893, pp. 202 s.; L. Rasi, I comici ital., Firenze 1897, I, pp. 733-735; II, p. 281; G. Costetti, Il teatro del 1800, Rocca San Casciano s. d. [1901], p. 284; G. Deabate, I comici di Sua Maestà, Torino 1905, p. 35; Id., Le ultime servette goldoniane, in Nuova Antologia, 16febbr. 1907. p. 7; N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, I, Milano 1940, pp. 271 s.; Encicl. dello Spett., III, coll. 1525 s.