DĀR al-ḤARB
Espressione araba divenuta tecnica nel diritto musulmano, la quale significa "sede della guerra" e designa il complesso dei territorî soggetti a dominio non islamico e non abitati da musulmani; il resto del mondo costituisce il dār al-islām (v.) o "sede dell'islamismo". L'infedele del dār ḥarb, cioè non suddito dello stato musulmano, si chiama (ḥarbī (vocabolo tradotto con hostis nelle versioni ufficiali francese e italiana del Codice dello statuto personale musulmano egiziano del 1875); i suoi beni e la sua persona sono fuori legge e quindi leciti a qualsiasi musulmano, a meno che egli penetri in territorio musulmano munito di amān (v.) o salvacondotto; in questo caso diventa musta'min "che ha ricevuto sicurtà", ma se prolunga senza interruzione per oltre un anno la sua dimora in terra islamica si trasforma in dhimmī (v.), ossia infedele suddito dello stato musulmano. Il dovere del capo dello stato islamico, quando abbia la forza necessaria, è di muover guerra ai territorî del dār al-ḥarb e conquistarli, salvo che con essi esista trattato di tregua; la pace perpetua con essi è inammissibile. Se un territorio abitato da musulmani cade in potere definitivo degl'infedeli, senza che vi sia speranza di riscossa, esso diventa dār al-ḥarb e i suoi musulmani hanno l'obbligo di emigrare, secondo il diritto classico; ma, dopo l'occupazione europea di territorî musulmanî in Asia e in Africa nel sec. XIX, alcune fatwà compiacenti, provocate dai governi francese e inglese, hanno mitigato questa teoria e affermato che un territorio del dār al-islām occupato permanentemente da infedeli non diventa dār al-ḥarb finché ai musulmani vi sia lasciata la libertà di culto e l'osservanza del loro statuto personale (famiglia, successioni, waqf e materie connesse). Le molte questioni concernenti il dār al-harb sono trattate nei libri giuridici musulmani nel capitolo sul gihād (v.) o guerra santa.
Bibl.: D. Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita, Roma 1926-1931, I, pp. 64-68, 76; W. Heffening, Das islamische Frendenrecht, Hannover 1925; ‛Abdu 'r-Raḥīm, I principî della giurisprudenza musulmana, trad. di G. Cimino, Roma 1922, pp. 481-484 (utile per la giurisprudenza ḥanafita tarda). Per una speciale dottrina ḥanafita sul "divario fra i due territorî", che ha curiosi riflessi sul diritto successorio e su alcune moderne scappatoie giuridiche in materia di contratti altrimenti illeciti, C.A. Nallino, Delle assicurazioni in diritto musulmano ḥanafita, in Oriente moderno, VII (1927), pp. 446-471.