RANZONI, Daniele
– Nacque a Intra, sul lago Maggiore, il 3 dicembre 1843 da Francesco e da Elisabetta Franzosini, quartogenito di sei figli, in un’umile famiglia alla quale rimase sempre profondamente legato, come rivela la corrispondenza con i fratelli (Quinsac, 1997, pp. 20-22 e passim).
L’inclinazione artistica precoce convinse alcuni signori di Intra a fargli studiare disegno con il pittore Luigi Litta dal 1853 al 1856, e quindi a mantenerlo a Milano alunno della Regia Accademia di Brera nella classe di Giuseppe Sogni. Nel 1859-60 fu a Torino presso l’Accademia Albertina, 'pensionario' del collegio Caccia di Novara (a cui lasciò il ritratto della sorella Virginia, ora alla Galleria Giannoni). Ma la sua formazione si definì a Brera, dove ebbe dal 1860 maestro Giuseppe Bertini, che favorì il suo estro grafico e l’avviò alla sperimentazione cromatica.
Il distacco dalla famiglia risultò amaro per il giovane fragile, di affetti delicati e di umore mutevole: già negli anni felici di gioventù soffriva di turbe ipocondriache, accusava frequenti mal di capo, e spesso riparava a casa per necessità di salute.
Nel 1864 rientrò a Intra e si legò all’aristocrazia cosmopolita che frequentava il lago Maggiore, assiduo alle 'nobili dimore'. Riunì con il pittore fotografo Giacomo Imperatori un gruppo di artisti e intellettuali locali nel Circolo dell’armonia. Dipingeva ritratti di famiglia, affreschi per chiese, insegne per osterie. La fotografia gli suggeriva inquadrature inedite di paesaggi e gli comunicava l’angoscia del vero e insieme la sensazione dell’invisibile. Il disegno divenne per lui un esercizio continuo, fonte di appunti per lineamenti di volti e altresì invenzione di effetti di luce da tradurre in pittura: il catalogo dell’opera grafica (Quinsac, 1997, pp. 221-323) è ricco ed essenziale per penetrarne i segreti dello stile.
Sgomento per l’alluvione dell’ottobre 1868, fece ritorno a Milano. Conobbe il pittore Tranquillo Cremona e prese a frequentare altri artisti, gli scultori Giuseppe Grandi e Medardo Rosso e i pittori Emilio Longoni, Filippo Carcano e Mosè Bianchi: con loro condivideva non solo prospettive estetiche, ma fervori risorgimentali e progetti sociali innovativi. Si immerse nella bohème ‘scapigliata’. Il nuovo romanticismo braidense riuniva intellettuali e scrittori quali Cletto Arrighi, Giuseppe Rovani, Vittorio Imbriani, Giovanni Camerana, Arrigo Boito, Iginio Ugo Tarchetti, Emilio Praga e Carlo Pisani Dossi. La compagnia si incontrava in via Vivaio, allora circondata dalle cosiddette ortaglie, all’Osteria della polpetta. Oltre che di vivaci contatti e scambi culturali, Ranzoni sentiva estremo bisogno di amicizie, nutriva una necessità profonda di presenze umane e si trovava in difficoltà a creare in solitudine.
Si è insistito sulla dipendenza rispetto al geniale ed estroso Cremona, ma in verità Ranzoni sviluppò il suo stile in originale autonomia, ammirando le atmosfere soffuse di Giuseppe Carnovali, detto il Piccio, le ombrose passioni di Federico Faruffini, i colori e i contrasti drammatici di Domenico Morelli. I suoi esordi come pittore sacro nelle chiese del Verbano (Predica del Battista, 1867-68, Intra, S. Vittore) o come interprete di storie e soggetti letterari nella moda dell’epoca (Dante e Virgilio, 1864; Beatrice Cenci o Effetto di sole, 1867-68), o come testimone di temi risorgimentali nella linea di Eleuterio Pagliano (Roma o morte, 1863-64; Il garibaldino Filippo Erba, 1873), promettevano veri sviluppi, per la carica di fantasia e il fuoco emotivo che si manifestava in un colorismo acceso, frantumato, vibrante e vivo di luci balenanti. Ben presto tuttavia si affermò quale autore di ritratti eccellenti.
Presentato da Cremona alla famiglia Greppi, ne eseguì ritratti (mirabile quello di Maria Padulli Greppi, 1869; Quinsac, 1997, pp. 89 s., n. 90; Grubicy, 1890) che suscitarono sorpresa per l’intensità della resa psicologica e la modernità della materia pittorica: Vittore Grubicy vi riconobbe «l’impronta della più elevata distinzione» (1890, p. 7). Divenne ospite fisso nelle case della nobiltà e dell’alta borghesia. Sì legò in particolare ai Troubetzkoy, e nel 1873 si trasferì nella dimora di Ghiffa che il principe Pyotr aveva appena fatto costruire sulle rive del lago Maggiore, circondandola da un giardino di piante rare. A villa Ada, ebbe l’incarico di educare all’arte i figli del principe; il piccolo Paolo sarebbe divenuto un notevole scultore della belle époque. Ranzoni rimase affascinato dalla principessa Ada: la Winans, prima di sposare Pyotr, era una cantante e allietava le serate con un repertorio romantico, predilette le musiche di Donizetti. Ranzoni la scelse come musa, la ritrasse più volte, tra il 1871 e il 1875, e la rese un’icona di bellezza: così appare, gentildonna conturbante nel ritratto del 1875, o madre affettuosa con il figlio Gigi, o mitica nella personificazione di Flora (Vicenza, collezione privata): «fiorente e materna, e pur tuttavia carica di sensualità gioiosa nelle forme piene e nella carnagione bianca e rosea» (Quinsac, 1997, p. 28). L’attenzione ad Ada si estese a tutto il suo ambiente, ai figli (I ragazzi con il cane San Bernardo, 1874; Gigi nella serra, 1873-74), al barboncino (1878-79) e alla scimmietta (ne esiste un divertente schizzo ad acquerello e matita), al paesaggio di lago e alle atmosfere d’incanto delle località vicine: le montagne di Laveno, il bosco di Antoliva, Belgirate, Loggio e il lago di Lugano e la Valsolda. Mecenati i principi, la villa di Ghiffa divenne un ritrovo di artisti (oltre a Cremona e a Grandi vi soggiornava il compositore Alfredo Catalani), un cenacolo dove giungevano in visita personaggi celebri e si riunivano persone di spicco della cultura, Cesare Correnti e Benedetto Cairoli (che fece conoscere a Ranzoni Giuseppe Garibaldi), Eugenio Torelli Viollier, fondatore del Corriere della Sera, e la moglie, sensibile e geniale scrittrice, Maria Antonietta Torriani (Marchesa Colombi), Emilio e Giuseppe Treves con Virginia Dolci Tedeschi (Cordelia), Eleonora Duse. Ranzoni collaborava con Pyotr nel disegno del giardino, divenne esperto botanico e artefice di giochi d’acqua.
Il lago incantato richiamava una ricca altolocata clientela, e numerosi erano gli inglesi. In questo clima cosmopolita, Ranzoni acquisì fama come society painter. La sua vocazione al ritratto maturò, ed egli si affermò quale interprete d’eccezione di un mondo e della sua visione, capace di renderne la bramosia di piacere e insieme il malessere, il sottile disagio. Era attratto dalla bellezza femminile, e le immagini di donne sono di certo le sue opere esemplari. Nei loro volti, febbrile è la ricerca di lineamenti e di vissuti da esplorare e riscoprire nell’immaginario: è come se sentisse su di sé l’attrazione e anche l’invasività di una simbiosi originaria. Paolina Viani Rigoli, la cantante Ravené, la signora Franzosini, Elisa Pariani Boletti, Carolina Aliprandi, Savina Moletti, Margherita Brunelli Tacchini: sguardi acuti, penetranti, rapporti costruiti attraverso il contatto visivo. Dipingeva le donne, e le amava, cercava di afferrare l’immagine di una bellezza che l’attraeva e l’inquietava. La bellezza era ideale ed enigma, conflitto insolubile.
Con attenzione guardava e studiava anche i bambini, quasi a scoprire in loro complessità emotive che celava nel ricordo e gli appartenevano: Pierino Erba, Ettore e Aristide Nicò, il bambino Francfort. E poi quei signori committenti, che lo stimavano e posavano con sussiego, e rispetto ai quali non riusciva a sciogliere una distanza. Come i grandi interpreti della tradizione lombarda, Ranzoni fissò dei volti la cui bellezza e volontà di vivere era insidiata dalla malinconia, dal presentimento di un pericolo imminente. Il suo spirito rivoluzionario, il suo giudizio morale rimasero tuttavia sospesi, nella convinzione di partecipare in misura eguale e non scindibile ai destini dei committenti.
Ben presto vennero le nubi: i sospetti riguardo all’accesa consuetudine con la principessa (ritratta insieme con lui negli stendardi processionali per la Collegiata di S. Vittore a Intra), la rovina economica del principe Pyotr, i rovesci delle fortune Franzosini, il suicidio dell’industriale Eugene Francfort. Ranzoni si convinse, su consiglio di Mervyn Bradford Medlycott, di partire per l’Inghilterra, dove rimase negli anni 1877-79. Gli inglesi avevano una passione nel farsi ritrattare, per aggiungere le loro immagini alle gallerie degli avi. Spesso i loro sembianti dovevano figurare come companion pieces di antenati ritratti, secondo i modelli stabiliti da Antoon Van Dyck, nel secolo precedente, e forse la strana occasione di frequentare esempi di Joshua Reynolds e Thomas Gainsborough finiva per ricordargli Fra’ Galgario e la sua analisi critica della nobiltà lombarda. Ranzoni si concentrò sui rappresentanti di una gentry che gli appariva chiusa e distante nella cornice delle splendide dimore. Erano membri di una nobiltà terriera o rampanti protagonisti della finanza. Tutti animati da un piglio altezzoso: il capitano Mervyn B. Medlycott (1877); Lady Caroline Surtees Paget e sir Richard Horner Paget (1878). Toccanti le immagini d’infanzia e adolescenza dei dandies in erba, sempre del 1878: le tre figliole Paget; i bambini Nevill; Ralph Wiliam Plantagenet e Mary Francis Nevill con il cane (I tre amici, collezione Marzotto).
Le atmosfere fredde gli mettevano tristezza, e le splendide campagne del Dorset, del Kent e dello Staffordshire non alleviavano il disagio. Rientrò brevemente a Milano per la morte di Cremona nel 1878, e si acuì la nostalgia. In Inghilterra, nel giro di due anni, Ranzoni riscosse successo, lavorò a Londra, i prezzi delle sue opere erano alti (da 30 a 60 sterline), e riuscì a mandare denaro alla famiglia e ai Troubetzkoy, e a finanziare l’infelice idea di una fabbrica di cappelli aperta dal fratello Remigio con il principe Pyotr. Eppure non riuscì a crearsi un consenso di critica. Nel 1879 si vide rifiutati i dipinti preparati per l’esposizione annuale della Royal Academy, e amareggiato rientrò a Milano in settembre. Visse a Milano e a Monza presso i Pisani Dossi. Nonostante la delusione, l’esperienza inglese aveva fatto di lui un pittore di livello internazionale, come sarebbero stati James Whistler e John Singer Sargent.
Il rimpatrio fu lieto e ricco di promesse. Il 1880 trascorse intenso, rappresentò forse il momento di massima creatività. Dinnanzi a lui ripresero a posare personaggi dell’alta società: la baronessa Anna Francfort, già ritratta nel 1877, Luigia Pisani Dossi, la signora Rosnati contessa Arrivabene (Milano, Civiche Raccolte d’arte), la signora Luvoni, giovane moglie di Luigi Luvoni, il pittore e critico Virgilio Colombo (Athos), e poi le sorelle Vercesi (1882).
Ritratti di intensità morbosa, figure avvolte in un pulviscolo di luce e insidiate dall’ombra, nella sequenza incalzante si allineano come tante immagini riflesse lungo una fuga di specchi. Ranzoni seguiva febbrilmente nei volti e negli incarnati sensuali, nel riverbero dei tessuti degli abiti, il nucleo del suo innamoramento, qualcosa che cercava di afferrare e si smarriva nel contatto, un palpito che si risolveva in un fruscio. Contatto di pelle, di velluti e di sete, armonie di azzurri, argentei e viola, palpiti e sospiri che il colore aveva l’ambizione di fissare.
Fu il momento di un amore folgorante: s’invaghì di Flora Biraghi, una storia di sentimenti contrastati come in un classico feuilleton, o forse, come ha sospettato Annie-Paule Quinsac (1997, p. 28), questa storia mascherava e mise a silenzio la tormentata e chiacchierata attrazione per la principessa Troubetzkoy, ormai separata da Pyotr. Delusi gli amori, opacati gli ideali scapigliati di gioventù, lontane le aspirazioni al successo dopo il rifiuto inglese, iniziarono le turbe psichiche (1882-85). Il disturbo dell’umore si fece drammatico, allagò il suo animo, il male di vivere lo attanagliava, si sentiva addosso tutte le malattie. Il secondo taccuino Pompili, redatto da Ranzoni tra il giugno e il novembre 1881 (il primo risale agli anni 1869-71, entrambi, contenenti schizzi e appunti, già in collezione Pompili, sono conservati in collezioni private; Imbrico, 1953; Ferro, 1994; Quinsac, 1997, pp. 274-289, 305-320), illumina i moti della vita interiore, l’oscillazione paurosa di emozioni e pensieri, una scena dove «pezzi di buio» (Ferro, 1994) convivono con seduzioni allucinate. Nel vincere dell’ombra, la grande ansia si accompagnava a un drammatico approccio con lo spazio, lo spazio si rinchiudeva sui volti. Dipinse una mirabile Testina femminile (datata 1884 da Enrico Somaré, 1928, tav. 121), la Meditabonda, e i sembianti plumbei della signora Spinelli Ambrosini Ruffati e di Leopoldina De Lorenzi Sordelli, quest’ultima con l’ombra che si serra sullo sguardo ossessivamente intenso e pungente, «quasi in lei fosse rimasta soltanto la consapevolezza della propria mortalità» (Quinsac, 1997, p. 204; Pigozzi, in Dalla Scapigliatura al Futurismo, 2001, pp. 78 s.).
Tra il 23 marzo e il 6 maggio 1885 venne ricoverato «maniaco e abulico» (Morselli, 1967; Ferro 1994) presso l’ospedale psichiatrico di Novara. Dimesso, eseguì due capolavori: Il ritratto del bambino William Morisetti (noto anche come Willy; A.-P. Quinsac, in Divisionismo, 2019, p. 64) e la Giovinetta in bianco malata (Milano, Galleria d’Arte Moderna). La malinconia si era però infiltrata nella sua vita. Ultima stagione brillante fu il soggiorno alle isole di Brissago, ospite di una nobile russa, Antonietta Tzikos di Saint-Léger, donna di grande cultura, eccentrica e votata all’avventura. La colse in abbandono sulla sedia a sdraio e ne fece il ritratto tra il 1885 e il 1886 (collezione Jucker), assaporandone il fascino e il segreto: un capolavoro intriso già di un delicato sapore proustiano. La stessa atmosfera anima la struggente Veduta di lago (1886) che Antonietta Saint-Léger appese nel salone della sua villa, un paesaggio interiore, un autentico luogo dell’anima. A Brissago, oltre alla principessa di Saint-Léger, una giovane inglese, forse ospite in villa, gli apparve in una tonalità soffusa, simbolo di poesia decadente e nostalgico trionfo scapigliato (Giovinetta inglese, 1886). Ranzoni ancora immerse in un colore svaporato, e le accarezzò di nostalgia, due signore di Ghiffa, Luisa Torelli e Luigia Ruffati Crosti. Ed espresse la sua estetica dell’incompiuto, lasciando parte della tela vergine, nell’immagine di Giulia Tacchini La fanciulla col cappello di paglia (1886), un dipinto caro al pittore Arturo Tosi.
Dopo una sosta a Miazzina, ospite del pittore Camillo Rapetti, s’isolò a Intra. Trascorreva lunghe ore al Caffè Verbano. Si congedava dal mondo, e i volti sui quali gli riuscì ancora di concentrarsi, e che dipinse nel 1889, i cugini Tonazzi, in particolare la signora Delfina e le figlie, le sartine di Pallanza, o il fantasma del padre ripreso da una fotografia, rivelano un’espressione straziata, la rifrazione del colore consumato in un impalpabile luccichio. Osservò Carlo Pisani Dossi: «I confini vaporosi delle immagini sue – Si confusero con la notte» (Boccardi, 1911, p. 24). In riva al grigio lago, attendeva 'Flora', Flora Biraghi o forse lo sguardo mai scordato di Ada Troubetzkoy, e solo lo animava una promessa d’amore impossibile, eppure inseguita, allucinata, sperata sino all’ultimo.
In solitudine si spense a Intra il 29 ottobre 1889. Due mesi dopo scompariva l’amata madre.
Commentò Raffaello Giolli: «E quando gli mancò l'amore, morì» (R. Giolli, in Daniele Ranzoni, 1911, p. 41). Nel 1890 Giovanni Segantini scrisse a Grubicy: «Moriva vivendo» (cit. in Daniele Ranzoni, 2017, p. 85).
Fonti e Bibl.: V. Grubicy, Catalogo della esposizione postuma delle opere di D. R., 1843-1889, Milano, 1890; R. Giolli, Medaglioni: D. R., in Verbania, II (1910), 3, pp. 45-49; R. Boccardi, Per D. R., in Verbania, III (1911), 4 e 9; D. R., Ottanta riproduzioni delle sue migliori opere, Milano 1911; E. Somaré, Mostra di D.R., in L’Esame, II, febbraio 1923; C. Carrà, D. R., Roma 1924; R. Giolli, R. 24 riproduzioni, Milano 1926; E. Somaré, Storia dei pittori italiani dell'Ottocento, Milano 1928, I, p. 196 ss.; U. Ojetti, Ritratti d’artisti italiani, seconda serie, Milano, 1931, pp., 50-67; C. Carrà, Pittori romantici lombardi, Roma 1932, pp.n.n. [ma pp. 4-8], tavv. 19-21; R., D., in U. Thieme - Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934, p. 13; P. Bucarelli, R., D., in Enciclopedia Italiana Treccani, XXVIII, Roma 1935, p. 831; M. Sarfatti, D. R., Roma 1935; E. Somaré, Pittura italiana dell'Ottocento, Novara 1944, pp. XV s., tavv. 24-26; P. Imbrico, Disegni inediti di D. R., in Bollettino storico per la Provincia di Novara, XLIV (1953), 1, pp. 58-61; S. Pagani, La pittura lombarda della Scapigliatura, Milano 1955, pp. 141-164 e passim; L. Caramel, D. R., in Mostra della Scapigliatura, Milano 1966, pp. 49-61 e passim, tavv. V-VI; G.E. Morselli, Malinconia e romanticismo nella pittura di D. R., in Annali di Freniatria e scienze affini, LXXX (1967), 2, pp. 99-102; A. Cavalli Dell'Ara, Dalle Memorie di Luigi Troubetzkoy, in Verbanus, 1981-1982, n. 3, pp. 181-211; Id., ibid., 1985, n. 6, pp. 241-273; P. Imbrico, R., Intra 1989; D. R. (catal.), a cura di A.P. Quinsac, Milano 1989; F.M. Ferro, Pezzi di buio. Note in margine a un taccuino di disegni del pittore D. R. (1843-1889), 1994 (ora in Id., L’anima dipinta. Scritti d’arte lombarda e piemontese da Gaudenzio Ferrari a Ranzoni, Novara 2010, pp. 247-257); A.P. Quinsac, D. R., catalogo ragionato dei dipinti e dei disegni, Milano 1997; Dalla Scapigliatura al Futurismo (catal.), a cura di F. Caroli - A. Masoero, Milano 2001, pp. 25, 72-81; G. Bora et al., I luoghi dell’arte, 5. Dall’età neoclassica all’Impressionismo, Roma 2003, pp. 144, 207; M. Isnenghi, Villa Ada rifugio d’artisti, in Milano verso il Sempione, a cura di R. Cordani, Milano 2006, pp. 436-439; Il segno della Scapigliatura. Rinnovamento tra il Canton Ticino e la Lombardia nel secondo Ottocento (catal., Rancate), a cura di M. Agliati Ruggia - S. Rebora, Cinisello Balsamo 2006, pp. 41-44, 112-117, 142-163; A.P. Quinsac, Dal "pandemonio per cambiare l'arte" all'accademismo, in Scapigliatura (catal., Milano), a cura di A.P. Quinsac, Venezia 2009, pp. 27-49 e passim; D. R. lo scapigliato maudit (catal.), a cura di A.P. Quinsac, Milano 2017; I volti e il cuore (catal.), a cura di E. Pontiggia, Verbania 2017, passim; M. Pavesi, Le storie e i luoghi più strani di Milano, Roma 2018, pp. 307 s.; Divisionismo. La rivoluzione della luce (catal.), a cura di Annie-Paule Quinsac, Novara 2019, p. 64.