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FERRARI, Daniele

di Vittorio Caprara - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)
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FERRARI, Daniele (Giulio Daniele)

Vittorio Caprara

Figlio di Giovanni Paolo e di Aurelia Maderna, nacque a Milano il 31 (e non il 14 come afferma il Pirri, 1952, p. 53) genn. 1606 nella parrocchia di S. Raffaele. L'atto di battesimo del fratello Giacomo Antonio del 2 febbr. 1614, in cui il padre risulta essere coniugato con Anna Pedrani, fa presumere che il F. sia rimasto orfano di madre in tenera età; la mancanza, però, dei registri di matrimonio e di morte e degli stati d'anime della parrocchia di S. Raffaele nei primi decenni del sec. XVII impedisce di rintracciare ulteriori dati biografici.

Era comunque già esperto nell'arte dello scolpire il legno quando, il 6 giugno 1632, entrò nell'Ordine dei gesuiti (Pirri, 1952, p. 53). Fu novizio prima nel collegio di Vercelli, poi a Milano, nella casa professa di S. Fedele, dove trascorse quasi tutta la sua vita.

Già nel 1635 ornava la cappella privata dei padri in S. Fedele, ora demolita, con intagli lignei (ibid., p. 54), mentre a testimonianza della fama raggiunta resta un carteggio del dicembre 1640 tra il padre generale e il preposto di S. Fedele in cui si richiedeva una perizia del F. circa alcune opere d'intaglio compiute per Tirano in Valtellina (ibid.). Al 1639 data l'inizio, grazie alla donazione di 600 scudi d'oro da parte di padre Pietro Turato (ibid., p. 57), della sua opera più prestigiosa: l'esecuzione (assegnatagli già dal Torre nel 1674) degli armadi e degli intagli della sacrestia di S. Fedele, le cui mura erano state completate nel 1628 (Baroni, 1940).

In quest'opera, durata decenni e decantata per finezza d'esecuzione e originalità, il F. ha voluto via via introdurre le proprie acquisizioni culturali, rivelandoci il suo iter artistico dall'ultimo manierismo al protobarocco e al barocco.

Nella fase iniziale, da collocarsi nel quinto decennio, l'artista eseguì motivi, cariatidi, erme e così via, di uso frequente nel corso del periodo manierista, ma con alcune differenziazioni. Le file di dischi sovrapposti non sono più formate da unità che vanno rastremandosi, come ad esempio quelle intagliate da Paolo de Gazi per il coro della chiesa milanese di S. Maria presso S. Celso, ma mantengono inalterato il proprio diametro. I giovanetti fungenti da telamoni presentano espressioni dolci e aggraziate, ben lontane da quelle dei loro più corpulenti avi del sec. XVI. Un motivo originale, probabilmente coevo a quelli descritti, è costituito dalle volute a cavatappi quasi precorritrici di quelle che Fabrizio Galliari dipingerà in pieno Settecento: esse ornano le tempie di impassibili erme muliebri. Risale quasi certamente allo stesso decennio, il pannello con Gesù predica alla folla, di discreta fattura, nel quale non si ritrova quell'anacronistico horror vacui proprio di alcuni bassorilievi milanesi dei primi decenni del Seicento (come, ad esempio, quelli che decorano la cinta del coro del duomo).

Leggermente successivi, forse a cavallo tra il quinto e il sesto decennio, riteniamo alcuni motivi intrecciati posti sulle ante che, pur susseguentisi in linea retta, sprigionano un dinamismo potenziale. Il F. sembra ormai essere pronto ad accogliere la nuova cultura barocca: il viaggio romano documentato nel marzo 1652 (Pirri, 1952, p. 55) gli diede certo modo di osservare modelli di quel linguaggio. Lungo il fregio che corre attorno alla sacrestia, si notano ornamenti a linee ondulate, che rammentano i fantasiosi ghirigori borrominiani, mentre tipicamente barocche sono le significative statue nelle nicchie raffiguranti S. Ignazio e S. Francesco Saverio, caratterizzate da un gestire enfatico e da un intenso contrasto di luci e di ombre, lontane tanto dagli anonimi busti di santi gesuiti quanto dai volti impersonali degli angioletti del fregio.

Mentre era impegnato agli armadi della sacrestia il F. eseguì, sempre per S. Fedele, il tabernacolo in legno per l'altare maggiore (Torre, 1674), con al centro la statua della Vergine addolorata, protettrice della Compagnia della Buona Morte (Latuada, 1738).

L'opera fu realizzata, a conclusione dei lavori del coro diretti dall'architetto F. M. Richino, fra il 1º ag. 1643 e il 5marzo 1644, come si ricava da una serie di lettere fra il preposto di S. Fedele e il padre generale (Pirri, 1952, p. 56 n. 114), su disegno forse del Richino stesso (ibid.). Il tabernacolo, a forma di tempietto (ill. a fianco di p. 436 in Latuada, 1738), fu rimosso in epoca neoclassica allorché venne innalzato un nuovo altare su progetto di P. Pestagalli.

Ancora in S. Fedele, dove venivano riposti proprio negli armadi della sacrestia, erano stati intagliati dal F. quattro busti rappresentanti S. Ambrogio, S. Carlo, S. Ignazio e S. Francesco Saverio, fusiin argento (Torre, 1674), non rintracciati. Egli avrebbe inoltre eseguito cinque Sibille in legno dipinto e dorato per l'altar maggiore di S. Maria di Brera (Torre, 1674; Forcella, 1895), andate probabilmente perdute quando la chiesa fu demolita.

Al F. è stata, infine, attribuita in forma dubitativa (Pirri, 1952, p. 59) l'esecuzione del pulpito posto sulla parete sinistra della navata di S. Fedele, ma doc enti de 1590-91, recentemente rintracciati (Della Torre-Schofield, 1994), dimostrano che essa fu opera di R. Taurino. Benché menzionato in diverse occasioni dai contemporanei anche come pittore "mediocris" (Pirri, 1952, p. 53), non essendoci pervenuto alcun suo dipinto, non è possibile verificare tale giudizio.

Si ritiene correntemente che il F. sia morto a Milano l'8 apr. 1684 (ibid., p. 59). La data, però, non trova conferma nei mortuari del Fondo Popolazione p. a. dell'Archivio di Stato di Milano ed è in contraddizione con un documento del 1685 che lo ricorda ancora vivente, sebbene avanti negli anni: "Habet sculpendi satis bonam, pingendi mediocriter, propter aetatem pauca potest, quainvis ad plura esset aptus" (Pirri, 1952, pp. 53 s.).

Scultore pressoché ignorato dalla storiografia, il F., oltre all'indiscutibile maestria nell'intagliare motivi lignei, ebbe il merito di adottare il linguaggio barocco, pur in forma rigorosa, nella città di Milano, dove tale stile ebbe vita breve tra una lunga stagione manierista e un precoce barocchetto.

Fonti e Bibl.: Milano Archivio del Duomo, Parrocchia di S. Raffaele, Battesimi 1573-1609 e 1609-1639; C. Torre, Ritratto di Milano, Milano 1674, pp. 285, 294;S. Latuada, Descriz. di Milano, Milano 1738, IV, p. 438; V, pp. 436, 438; F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture ed architetture ... d'Italia, I, Venezia 1776, p. 186; G.Mongeri, L'arte di Milano, Milano 1872, p. 281; V. Forcella, Notizie stor. degli intarsiatori e scultori di legno che lavorarono nelle chiese di Milano..., Milano 1895, pp. 51 s.; F. Malaguzzi Valeri, Milano, Bergamo 1906, p. 98; C. Ponzoni, Le chiese di Milano, Milano 1930, p. 298; C. Baroni, Documenti per la storia dell'architettura a Milano nel Rinascimento e nel Barocco, I, Firenze 1940, pp. 119 s.; P.Mezzanotte-G. Bascapè, Milano nell'arte e nella storia, Milano 1948, p. 402; P. Pirri, Intagliatori gesuiti ital. dei secoli XVI e XVII, in Archivum histor. Societatis Iesu, XXI (1952), pp. 3, 52-59, tavv. 11 s.; L. Dossi, S. Fedele in Milano, in Diocesi di Milano, IV (1963), pp. 497-505:Id., Il S. Fedele a Milano, Milano 1963, pp. 67, 68;L. Dossi-A. Scurano, Storia e arte in S. Fedele a Milano, Milano 1976, pp. 30-32, 53-55, 81-82;M. T. Fiorio, Le chiese di Milano, Milano 1985, pp. 151 s.; S. Coppa, Fedele, chiesa diS., in Diz. della Diocesi ambrosiana, II, Milano 1988, p. 1192; S. Della Torre-R. Schofield, Pellegrino Tibaldi architetto e il S. Fedele di Milano, Como 1994, p. 237; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 442s.

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