BRAGADIN, Daniele
Nato a Venezia il 20 genn. 1682, riuscì ad emergere ancor giovane tra i patrizi della sua generazione grazie ad una buona cultura, nutrita di attente letture degli storici della Repubblica veneta, e alla sicurezza e competenza dimostrate nelle prime cariche rivestite. Savio agli Ordini nel 1708 e nel 1709, provveditore all'Arsenale dal 1713 al 1715, nel settembre 1713 entrò tra i savi di Terraferma e vi fu regolarmente confermato sino al 1721, ricoprendo anche per tre volte la carica di savio alla Scrittura (1717, 1718, 1720). Era dunque già ben introdotto nella vita politica quando una missione diplomatica di rilievo gli offrì l'ambita occasione di imporsi con sicurezza sulla scena politica; l'8 apr. 1721 fu infatti nominato ambasciatore in Spagna, alla corte di Filippo V.
Benché la guerra di successione spagnola avesse ridimensionato il peso della dinastia iberica nel concerto delle potenze, Madrid era pur sempre una della capitali più importanti, centro di maneggi e buona fonte di notizie per il sospettoso governo veneto, che già in occasione dei negoziati di Utrecht aveva temuto qualche segreto accordo in pregiudizio del suo dominio in Terraferma. Il B. si dimostrò cauto ed intelligente, abile ad ottenere informazioni di prima mano sulle trattative in corso dopo il burrascoso tramonto dell'Alberoni e sui progetti spagnoli contro i corsari barbareschi, ma soprattutto sollecito e fortunato garante degli interessi del commercio veneziano in Spagna. Alla sua paziente attività si dovette l'abolizione dei dazi aggiuntivi imposti sulle mercanzie venete; egli riferì anche con prontezza al Senato una preoccupante iniziativa industriale presso Madrid, dove alcuni artigiani francesi avevano impiantato una fabbrica di specchi con l'intento di far concorrenza alla produzione di Murano, ed in questa occasione sollecitò i savi alla Mercanzia a prendere le necessarie misure per prevenire il tentativo di allettare alcuni maestri veneziani soffiatori di vetro a recarsi in Spagna per migliorare la scadente qualità del prodotto.
Quando il 18 nov. 1724 lasciò la capitale spagnola il bilancio della missione era senz'altro positivo e la sua relazione scritta il 30 apr. 1725 (ma presentata il 24 maggio), una delle più belle del '700, dovette confermare la buona impressione suscitata.
Nel solco della tradizione il B. esordisce con un colorito e penetrante profilo della personalità di Filippo V, di cui segue le vicende durante la guerra di successione spagnola, il matrimonio con Elisabetta Farnese e il breve governo dell'Alberoni. Ha parole di sincera ammirazione per il cardinale italiano, la sua fortunata carriera che da umili origini l'aveva portato al vertice del potere e alla cui operosa attività la Spagna doveva "il proprio risorgimento". Analoga acutezza dimostra nella descrizione dei personaggi di corte e dei vari organi di governo, delle risorse della monarchia ed infine dei provvedimenti presi dall'Alberoni per rianimare l'economia del paese.
Al suo ritorno a Venezia lo attendeva una rapida ascesa alle massime responsabilità dello Stato: nel giugno 1725 era già tra i sei savi del Consiglio e, nel gennaio 1726, tra i cinque savi alla Mercanzia dove si adoperò per far ridurre gli aggravi che colpivano le merci in esportazione, secondo una linea già da lui suggerita quand'era a Madrid. Ma fu soprattutto l'ambasceria in Austria, cui fu designato nel novembre 1727, che lo qualificò uno dei più avveduti, colti ed esperti uomini politici veneziani della prima metà del secolo.
Vienna era in quel momento una sede difficile, dopo che i trattati di Utrecht e Rastadt avevano dato all'Austria l'egemonia in Italia e a Venezia un confinante in Lombardia ben più minaccioso della declinante potenza spagnola. Con gli Asburgo Venezia intratteneva da tempo amichevoli relazioni, ma gli attriti di confine in Friuli ed in Dalmazia, eredità delle antiche lotte del '500 e '600, assumevano un diverso rilievo ora che l'Impero circondava per terra e per mare la Repubblica.
Il B. fu subito impegnato in logoranti trattative per risolvere dapprima la questione delle acque del Tartaro, contese tra Mantovani e Veronesi per le esigenze delle risaie, poi per comporre ripetuti incidenti di confine tra Dobbiaco ed Auronzo, sul lago di Garda e a Pisino. Più volte egli dovette riconoscere amaramente l'accentuata aggressività degli Austriaci di fronte alla precisa volontà del Senato di non provocare rotture. Oltre alle consuete informazioni sugli sviluppi del complicato gioco diplomatico negli anni inquieti che precedono lo scoppio della guerra per la successione polacca, la sua attenzione si fermò ancora con particolare sensibilità ai problemi economici.
Gli sforzi di Carlo VI per incrementare il commercio di Trieste e Fiume, nel quadro di un attivismo economico che vedeva ovunque apertura di porti e fiere e introduzione di manifatture, sono seguiti con inquietudine nei suoi dispacci, sempre chiari e precisi, con acuta percezione dei termini tecnici dei problemi. Si adoperò per assicurare la libertà di transito dei vini veneti verso Gorizia e Gradisca, per togliere gli aggravi fiscali che colpivano le mercanzie venete ed intervenne più volte presso il governo imperiale per impedire il ricetto ai legni barbareschi nei porti delle Puglie. Vane invece furono le sue pressioni per evitare il passaggio via mare, con scorta di navi armate, di forti contingenti di truppe tedesche dirette nel Regno di Napoli; la questione della giurisdizione veneziana nel golfo, che il B. sollevò anche in quest'occasione, quasi eco affievolita delle note scritture del Sarpi, era ormai superata dai mutati rapporti di forza che vedevano Venezia in evidente inferiorità. Le rimostranze presso il principe Eugenio, che pure intratteneva con lui cordiali rapporti personali, non dissuasero Vienna dai suoi propositi, anche se riuscì alla Repubblica di ottenere l'impegno che l'Austria non avrebbe fatto scorrere in permanenza l'Adriatico da una flotta armata.
Nel dicembre del 1732 il B. lasciò l'incarico, certo di aver contribuito, anche col suo prestigio personale, almeno al mantenimento dei buoni rapporti di Venezia con l'Impero; il 1º febbr. 1733 presentò al Senato la consueta relazione, meno brillante di quella spagnola, ma pur sempre interessante per le vivaci notazioni sulla scarsa popolarità dell'imperatore, sulla preminenza del principe Eugenio di Savoia nel governo e sul problema del commercio nei porti di Trieste e Fiume.
Col suo ritorno a Venezia si aprono per il B. anni di intensa ed appassionata partecipazione alla vita pubblica in una posizione di chiara preminenza. Rieletto subito, nel marzo 1733, savio del Consiglio, vi fu confermato ininterrottamente ogni sei mesi per 22 anni e il 20 genn. 1734, con la nomina a procuratore di S. Marco de supra, la più alta dignità dopo quella dogale, ebbe anche un ambito riconoscimento esteriore ed il Senato non mancò di inserirlo, il 20 ag. 1740, tra i quattro ambasciatori straordinari inviati a Roma per l'incoronazione del nuovo papa Benedetto XIV. Attivo fin nei suoi ultimi anni, non si limitò ad entrare nel Consiglio, ma si fece eleggere anche in altri organi di notevole importanza, a testimonianza non solo della sua influenza ma anche dell'interesse per i vari settori della amministrazione statale; così fu tra i cinque provveditori sopra i Beni inculti (gennaio 1735-gennaio 1737), tra i tre savi all'Eresia (gennaio 1733-gennaio 1734), i tre savi alle Acque (dal 1733 al 1750), i due provveditori alla Sanità (febbraio 1741-gennaio 1742), i tre riformatori allo Studio di Padova (dall'aprile 1738 alla morte). Ma è soprattutto interessante rilevare l'assiduità con cui entrava nelle magistrature finanziarie, a riprova della sua costante sollecitudine per il buon andamento dell'economia dello Stato: più volte savio alla Mercanzia (1740-42, 1753-55), deputato al Commercio (1750-53), deputato sopra la Provision del denaro (1753-1755) ed infine tra i due aggiunti al magistrato dei cinque savi alla Mercanzia, la cui creazione era stata deliberata, forse anche per suo suggerimento, il 9 apr. 1735.
Era ancora impegnato nelle più importanti cariche dello Stato, con un impegno che il dolore per la perdita prematura dell'unico figlio aveva forse reso più acuto, quando morì a Venezia il 19 luglio 1755.
Fonti eBibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato,Dispacci ambasciatori,Spagna, filze 144, 145; Germania, filze 222, 223, 224, 225, 226; Expulsis papalistis, filze 14, 16, 17, 18; Senato,Relazioni ambasciatori,Spagna, busta 29; Provveditori alla sanità,Necrologi, b. 943; Segretario alle voci,Elezioni del Senato, regg. 21, 22, 23; M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, p. 138. La relazione dalla Germania, conservata dal 1805 a Vienna, è edita in: Die Relationen der Botschafter Venedigs über Österreich im achzehnten Jahrhundert, in Fontes rerum austriacarum, XXII, Wien 1863, pp. 68-79. Orazione panegirica scritta nell'occasione del pubblico ingresso alla dignità procuratoria di sua eccellenza il signor D. B. cavalier,e procurator di San Marco da Francesco Fabris, s.d. [ma Venezia 1735, data a penna nella copia della Bibl. Naz. Marciana di Venezia]; Componimenti poetici raccolti in occasione del solenne ingresso di S. E. Daniello Bragadini Kav. alla sublime dignità di Proc. di S. Marco umiliate al merito di S. E. Cecilia Mocenigo Bragadini, Venezia 1735; E. A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 238 s., 388 s.; G. Soranzo, Bibliografia veneziana, Venezia 1885, p. 333; P. Castagnoli, Il cardinale Giulio Alberoni, I, Piacenza 1929, pp. 149, 150 n. 2, 215; M. Braubach, Gesch. und Abenteur: Gestalten um den Prinzen Eugen, München 1950, p. 406; G. Quazza, Il problema italiano alla vigilia delle riforme (1720-1738), in Annuario dell'Ist. stor. ital. per l'età moderna e contemp., V, Roma 1953, p. 138; G. Tabacco, Andrea Tron (1712-1785) e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, Trieste 1957, p. 107.