BOMBERG, Daniel
Nacque ad Anversa non prima del 1483, primogenito di un Cornelius, ricco mercante di quella città. Come era consuetudine nelle famiglie dell'alta borghesia fiamminga e vallona, al B. furono dati ottimi maestri che lo iniziarono alle dottrine umanistiche, mentre il padre stesso lo introduceva alla pratica di tutto quanto era pertinente al grande commercio internazionale.
Cornelius aveva relazioni stabili con mercanti veneziani, i quali - al pari dei tedeschi, degli inglesi, dei lombardi e dei fiorentini - andavano abbandonando la vecchia Bruges in declino, per stabilirsi nella fiorente città portuale della Schelda, e nel 1496 aveva fatto stampare a Venezia, da Johann Hertzog, il Breviarium secondo l'uso della chiesa di Nostra Signora di Anversa (unicum oggi noto nella Biblioteca Reale di Bruxelles): il colophon attesta: "Impensis quoque spectabilis viri Cornelij de Bomberga".
Sembra che sia stato lo stesso Cornelius a suggerire al figlio le possibilità grandiose che la nuova industria tipografica prometteva, purché esercitata con capitali adeguati. Non si hanno documenti al riguardo, ma è tradizione che il B. abbia appreso in Anversa - ove la stampa era stata introdotta sin dal 1482 - la tecnica dell'arte. Non vi dovettero essere esitazioni sulla piazza da scegliere come sede per la progettata impresa: per la sua esperienza di grande mercante, per le sue relazioni con i Veneziani, Cornelius sapeva che quella città non era solo la vera e affermata capitale dell'industria tipografica, ma che era la piazza meglio favorita dalla sua posizione geografica. Verso il 1508 il B., divenuto maggiorenne, poteva quindi essere legalmente capo di azienda; tuttavia la sua partenza per Venezia fu ritardata di alcuni anni, forse a cagione della guerra della lega di Cambrai.
Non si hanno documenti che precisino quando il B. sia giunto in questa città: Ghedaliā ibn Jachiā nella Shalsheleth ha-Qabbalāh ("La Catena della tradizione") annota che il B. iniziò a stampare in ebraico nel 1511. La medesima affermazione si trova nello Zemach David ("Il rampollo di David") dello storico David Gans di Lippstadt e in Sederha-Dorot ("L'Ordine delle generazioni") del cronista e letterato rabbinico Jechiel Heilprin, rabbino di Sokolov. Ma essi traggono le loro notizie dalla "Catena delle tradizioni" di Ghedaliā, che alcuni critici severi qualificano come "catena delle menzogne", rigettando non poche parti di quelle memorie, come derivate da tradizioni incontrollate trasmesse oralmente nelle comunità ebraiche di Salonicco e di Alessandria. Joseph ben Joshua ha-Cohen (noto come Joseph ha-Cohen), dotto rabbino cacciato dalla Spagna e rifugiatosi a Genova, nella Dikra ha-Jaminle-Malche Zarefatula Malcha BetOtman ha-Zohar ("Cronica dei re di Francia e degli imperatori ottomani") annota che "nell'anno 1513 aveva cominciato ad esercitare la tipografia Daniel Bomberg traendo dall'oscurità alla luce molti libri nella lingua santa".
Nulla di certo si ricava dai vecchi e recenti bibliografi italiani che trasmettono sul B. poche notizie non accertate, per lo più errate. I documenti non concordano con la tradizione, né le richieste di privilegi avanzate dal B. al Senato veneziano, né le sue edizioni note sono anteriori al 1515. L'Amran tentò di conciliare tradizione e documenti, avanzando l'ipotesi che i primi prodotti del B. fossero andati completamente distrutti "nelle pire della inquisizione inflessibile"; per queste prime, modeste edizioni - stampate forse per avvio della tipografia - il B. non avrebbe ritenuto necessario chiedere privilegio; e così di loro non rimarrebbe ricordo. Ciò è possibile, ma resta il fatto che il nome del B. si trova per la prima volta in un privilegio richiesto al Senato veneziano il 23 apr. 1515, da "Frate Felice de l'Ordine de Heremitani di S. Augustino", che da tempo aveva "tradutto de hebreo in lingua latina due singular opere, zoé Temunoch (sic) et Im ze sepher (sic) et le Regole de la grammatica hebrea cum certo dictionario" per "le quali tutte et parimente la Bibia cum Targon e senza Targon cum li expositori hebrei et in litere hebree lui supplicante cum Daniel Bomberger flandrese" chiede che il Senato conceda privilegio di stampa e vendita per anni dieci. Si aggiunge che "fra Felice è già stato a li piedi" di Sua Santità, ne ha già ottenuto privilegio ed è stato esortato a far stampare quelle opere in Roma, ma lui ha preferito farlo a Venezia. Si fa inoltre presente che per tale lavoro occorre l'opera di almeno quattro dotti ebrei compositori e si chiede per essi la concessione di non portare "bereta zala, ma bereta nera". Il Senato decide: "Quod concedatur ut petitur. Et in quantum ad judeos quatuor intelligatur par menses quatuor": concessione revocabile in ogni momento.
Questo Felice da Prato era un erudito, nato ebreo in Prato, e nominato Daniel; convertitosi e battezzato nel 1513, prese il nome di Felice. Entrato in religione, ottenne i favori di Leone X che gli concesse privilegio di pubblicare una traduzione completa della Bibbia dall'ebraico in latino. A Venezia fra' Felice incontrò il B. sul finire del 1514 o ai primi del 1515. Questo incontro determinò probabilmente tutta la successiva eccezionale attività del Fiammingo. Il van Ortroy pensa che sia stato proprio fra' Felice a spingere il B. a farsi editore esclusivo di libri in ebraico. Certo è che una tale impresa presentava prospettive molto favorevoli commercialmente, perché vi era una richiesta sempre maggiore di tali libri da parte delle ricche comunità non solo d'Italia, ma di tutta Europa e dell'Oriente; inoltre, proprio in quegli anni, il pontefice Leone X manifestava una grande tolleranza verso gli Ebrei - al contrario del suo predecessore Giulio II - tanto da non trovar sconveniente l'impianto in Roma stessa di una tipografia ebraica (le idee del Reuchlin davano i loro frutti) patrocinata anche dal cardinal Egidio da Viterbo. L'attuazione di questo proposito fu offerta a Felice da Prato, che non si sentì di accettare. Girò invece l'offerta al B. che la rifiutò, come era prevedibile, giacché lui intendeva lavorare in proprio, su vasta scala e senza controlli. Tuttavia dovette esserne lusingato, perché - anni dopo - si vantò di essere stato invitato dal pontefice.
Intanto fra' Felice insegnava al B. la lingua ebraica, come si ricava dalla prefazione alla Bibbia edita nel 1517. Il 5 sett. 1515, protetto dagli ottenuti privilegi pontificio e veneziano, vide la luce, stampato con magnificenza dall'abile tipografo Pietro Liechtenstein, il Psalterium ex hebreo... translatum a fratre FeliceOrdinis Heremitarumsancti Augustini..., "Impensis ac sumptibus egregi viri Danielis Bombergi Antverpiensis".
Questo primo libro, ove si trova il nome del B. - ma solo come editore - non esce da una sua stamperia e non è un libro in ebraico. Tuttavia in quei mesi il B. stava attrezzando la sua tipografia o forse già vi lavoravano i suoi compositori. Infatti il 7 dic. 1515 egli rivolge una "suplica" al Senato veneziano, che l'accoglie, affinché gli sia confermato il privilegio ottenuto il 23 aprile (congiuntamente a Felice da Prato) estendendolo a quelle opere che "Dio concedendo possi stampar" e che per dieci anni nessuno ardisca né pubblicare, né vendere, né importare alcuna opera ebrea, né "far contrefar le lettere over caracteri de le lettere hebree cuneate ovver fatte cuneare per lui... sì in rame come stagno o in altra materia improntate".
Con la data "15 tebet 5277" (corrispondente al 30 nov. 1516), il B. licenziò il primo libro stampato in ebraico a Venezia. È il Pentateuco seguito dalle cinque Müǧillüts (Cantico dei cantici, Ruth, Lamentazioni, Ecclesiaste,Ester) con il commento di Rashī e completato dalle Haftarot (parti dei libri profetici che si leggono in determinati giorni festivi) con il commento di Kimhī. Nel Colophon si legge: "Stampato per mano del minimo dei tipografi Daniel Bomberg". Tutta l'edizione fu curata da Felice da Prato, ed era protetta dai privilegi del 1515. Resta tuttavia il dubbio che questa sia veramente la prima edizione in ebraico pubblicata dal B.; dubbio rafforzato da una frase che si legge nella citata "supplica" al Senato del 7 dic. 1515: "ha fatto et fa per zornata stampar libri hebrei in questa vostra cità". Quale che sia stata la realtà delle cose, fatto è che non ci sono pervenuti esemplari di edizioni del B. anteriori a quella citata sopra.
Frattanto Felice da Prato aveva cominciato gli studi preparatori per la pubblicazione integrale della Mikraot Gedolot ("Bibbia rabbinica") secondo le più severe regole della massürāh. Iniziata nel 1517, la stampa di questa grande edizione (quattro volumi in-folio) fu completata nel 1518 e fra' Felice la dedicò a papa Leone X. Ebbe accoglienza entusiastica da parte dei dotti ebrei; il Reuchlin la usava per le sue lezioni a Tubinga.
Durante il sedicesimo anno di dogato di Leonardo Loredano, quando il B. aveva pubblicato i due testi biblici, il Senato di Venezia aveva promulgato una nuova legge sulla stampa: si riconosceva che l'industria e il commercio del libro recavano direttamente e indirettamente giovamento economico alla Repubblica, tuttavia si stabiliva che d'ora innanzi non sarebbero stati concessi altri privilegi agli editori, ma "solum pro libris et operibus numquam antea impressis et non pro aliis". In questo provvedimento il B. vide una minaccia per la sua attività futura; presentò quindi al Senato una nuova "supplica" (15 aprile 1518) in cui chiedeva di "poter stampare in hebreo come li fu concesso". Dai Diarii del Sanuto sappiamo che il Senato confermò al B. - a grandissima maggioranza - il privilegio di stampa del 1515.
Già da un anno almeno nella bottega del B. non lavoravano più i soli quattro compositori ebrei senza "bereta zala" che Felice da Prato aveva reclutati nel 1515. Nel 1519 il B. si assicurò infatti la collaborazione di Bārūk Adelkind e dei suoi figli, egregi compositori e correttori. Il più abile ed erudito fu Cornelio, che divenne proto della tipografia e, più che dipendente, fu collaboratore fedele, amico del B. e suo procuratore dopo il 1546.
Avendo così provveduto alla più sicura efficienza della tipografia, il B. aveva necessità di assumere alcuni dotti grammatici che affiancassero Felice da Prato. Questo non gli fu difficile, perché nella sua casa - racconta Ha-Cohen - "confluivano numerosi uomini ebrei dei più eruditi, dei quali egli assecondava i desideri". Tra questi scelse i suoi principali collaboratori: Ḥiyyā Mē'īr ben David, giudice della corte giudaica di Venezia, gran conoscitore del Talmud e grammatico. Quando questi partì per l'Oriente, prese il suo posto (1520) Jacob ben Ḥayyim ibn Adoniah. Convertitosi al cristianesimo come Daniele da Prato, divenne uno dei più esperti e infaticabili collaboratori del B., presso cui stette sino alla morte (1538). Si deve a lui - oltre che il completamento del Talmud - quell'incomparabile monumento di erudizione critica che è la seconda edizione della Bibbia rabbinica (1524-1525). Il B. ottenne anche la collaborazione del celebratissimo grammatico e fisico Abraham ben Mē'īr de Balmes che da giovane, aveva ottenuto da Innocenzo VIII il privilegio di esercitare la medicina a Napoli; trasferitosi a Padova, divenne lettore acclamato in quello studio; fu protetto dal cardinale Domenico Grimani, che lo tenne come suo medico di fiducia. Tradusse dall'ebraico in latino molte opere scientifiche ed elaborò per il B. una grammatica ebraica (Mikne Abraham) che fu l'ultima sua fatica e fu pubblicata postuma (1523). L'ultimo dei grandi editori di testi che lavorarono per il B. fu Elia Levita lessicografo e grammatico. Dopo aver soggiornato a Roma, protetto dal cardinale Egidio da Viterbo, ne partì a causa del sacco (1527) e fu accolto a Venezia dal B. pel quale lavorò fino alla liquidazione dell'azienda. Oltre a questi maggiori, il B. si giovò, come correttori e preparatori di testi, di Hayyim ben Moses Alton, di David Pizzighettone e di un vero stuolo di rabbini eruditi, diligenti, scrupolosi copiatori e collazionatori di codici, correttori delle prove di stampa. Dal 1518 il B. era esortato dai dotti ebrei - e da qualche umanista come il Reuchlin - a pubblicare integralmente il Talmud (quello di Babilonia e quello di Gerusalemme).
Era un'impresa immensa e rischiosa; inoltre l'edizione avrebbe richiesto un investimento ingentissimo di capitali che sarebbero rientrati con grande lentezza. Tuttavia il B. si accinse ad attuare la grande impresa (senza però osare di chiedere privilegio) affidandone la direzione letteraria e critica a Ḥiyyā Mē'īr ben David, che fu sostituito - dopo la sua partenza da Venezia - da Jacob ben Ḥayyim. La pubblicazione ebbe inizio nel 1519 con il BablīPassahim cui seguirono gli altri elementi del Talmud di Babilonia, che vide il suo termine il 3 giugno 1523 con il Mishnāh Takarot. Sono 15 grossi volumi in-folio magnificamente stampati, con il testo inquadrato dai commenti; caratteri e iniziali ornate sono di finissima fattura. Seguì nello stesso anno 1523 la pubblicazione del TalmudYerūshalmī (editio princeps, ristampata a Berlino nel 1925), anche questo preparato - quanto al testo - da Jacob den Hayyim. Tutta l'opera risultò così perfetta da restare il fondamento di tutte le successive edizioni, anche delle più recenti. Come tipografo il B. fu giudicato "maestro e artefice del quale non è conosciuto maggiore in Israele".
Tra il 1523 e il 1524 il Mikraot Gedolot di fra' Felice era esaurito. Su consiglio di Jacob ben Hayyim, il B. decise di non ristampare semplicemente il testo del 1517-1518, ma di prepararne un altro, secondo le più rigorose regole della massürāh, e con tutti i commenti, i ketib (varianti di grafia) e i keré (varianti di lettura). L'edizione fu completata in 4 voll. in-folio tra il 1524 e il 1525. La nuova Bibbia rabbinica, dopo una introduzione alla massürāh elaborata da Jacob ben Ḥayyim, contiene un indice del medesimo, una introduzione al Pentateuco di Ibn Ezra e di Moses ha-Nakdan, un Trattato degli accenti e varianti occidentali e orientali di Ben Asher e Ben Naftali. Il Pentateuco ha il Targum (traduzione del testo aramaico) e i commenti di Rashī e Ibn Ezra; seguono tutti gli altri libri e i "cinque rotoli" con i commenti dei "definitori della massürāh" Rashī, Ibn Ezra, David Kimhī. Intercalati nella stampa stanno i ketib e keré. È la vera editio princeps della Bibbia rabbinica, monumento di sapienza e capolavoro di tipografia. È rimasta il modello di tutte le edizioni seguenti, sino a quelle dei nostri tempi.
Nel biennio 1524-1525 il B. si trovò a dover risolvere due gravi questioni: l'una finanziaria e la seconda relativa al privilegio di stampa che veniva a scadere alla fine del 1525. La pubblicazione del Talmud aveva assorbito immensi capitali; oltre a quelle per il Talmud vi erano state le spese ingentissime per la Bibbia rabbinica e per altre decine di edizioni. Il patrimonio personale del B. non bastava più per continuare l'impresa. Nel 1524 si venne ad un accordo tra gli otto figli di Cornelio: la ditta divenne comune; tutto il patrimonio famigliare vi sarebbe stato investito; la direzione divenne collegiale nelle persone di Daniele, Antonio e Francesco fratelli. Prova ne è che l'Adelkind, nelle lettere riportate dal Perles, scrive sempre: "li nostri signori Bombergi".
Il 7 dic. 1525 scadeva il privilegio ottenuto dal B. nel 1515; il 16 ottobre fu letta in Senato, secondo il Sanuto, una supplica del B. che chiedeva di poter continuare a stampare libri ebrei. La supplica fu respinta, ed il Sanuto rivendicava a sé gran parte di questa decisione. Ma il B. doveva avere, oltreché avversari retrivi come il Sanuto, anche protettori potenti, giacché il giorno dopo la supplica del B. poté essere presentata nuovamente. Respinta, fu riproposta e rifiutata per la terza volta l'8 maggio 1526. Ma il B. non cede: offre 500 scudi; il Senato discute il 27 maggio e finalmente conferma il privilegio di stampa in ebraico nel territorio della Repubblica.
Non è possibile seguire anno per anno l'attività editoriale del B.; basterà accennare solo ad alcune particolari opere da lui pubblicate tra il 1526 e il 1549, quando l'azienda cessò. Nel 1529 diede in luce quattro raccolte di preghiere particolari ad alcuni riti (karaiti) delle comunità della Crimea, Turchia, Polonia e Lituania, nonché un volume per i fedeli della Germania (già edito nel 1519 e di poi ristampato nel 1549). Dal 1531 al 1533 la produzione è scarsissima e cessò del tutto dal 1533 al 1537; probabilmente perché l'accumulo di libri in magazzino avrà consigliato una sospensione nella produzione. Nel 1538 il B. era ad Anversa - che restava la sede della famiglia - e quando tornò a Venezia, la stampa riprese con buon ritmo. Sono di quest'anno la Massüreth ham- Massüreth (tradizioni massoretiche) e il Tūbh ṭa'am ("Buon giudizio") di Elia ben Asher. Nel 1543 Konrad Gessner, che era a Venezia, scrive (lettera riportata dal Perles): "Venetiis hactenus nemo quod sciam excudit praeter Danielem Bombergum, nunc autem illic officinam extructam audio ex qua Talmud proditurum expectatur".
È la prima notizia sulla tipografia che il patrizio veneziano Marco Antonio Bragadin porrà in attività nel 1545, impunemente copiando opere del Bomberg. Quando il Gessner scriveva, il B. pubblicava una ristampa della sua prima edizione: Pentateuco con le Māgillüth e Haftarot, mentre nel 1544 stampava cinque edizioni e dieci nel 1545. Sono gli estremi sforzi dell'azienda che sta consumando le ultime risorse economiche della famiglia e che è minacciata da un rinnovato impeto di persecuzione contro tutto ciò che è ebreo: a Roma non c'è più il benevolo Leone X, ma vi regna Paolo III, il più implacabile inquisitore, il fondatore del "ghetto romano"; a Venezia il Della Casa ottiene dal Senato l'istituzione di una rigorosa censura sulla stampa, affidata ai tre savi sopra la Bestemmia, mentre l'incarico di rilasciare le licenze era devoluto ai riformatori dello Studio di Padova, che riservavano i loro favori al nobile Bragadin. In quell'anno un veneziano scrive ad Alvise Bragadin (lettera riferita dal Wolf): "il Bomberg vuol smetter di stampare, con danno degli ebrei: le sue edizioni sono eccellenti e quando cessano, cessano i buoni libri e divengon rari".
Nel 1546 il B. non è più giovane; è stanco e deluso; ha perduto i primi tra i suoi collaboratori e sostenitori: ed è morto il suo maestro Felice da Prato. Ha profuso nell'impresa capitali immensi, e sente aumentare attorno a sé la diffidenza e l'ostilità. Torna ad Anversa e decide di liquidare l'azienda. Non rivedrà più Venezia, forse non volendo assistere alla fine del suo miraggio giovanile di una grandiosa impresa commerciale, che si è risolto nel crollo della sostanza famigliare.
La liquidazione della complessa azienda avvenne per gradi: si cercò di far rientrare i grossi crediti che aveva sulle più lontane piazze, mentre si continuava ad utilizzare gli impianti stampando opere di facile smercio (grammatiche, vocabolari, libri legali) e ristampando la Bibbia rabbinica e il Talmud, che il Giustinian aveva cominciato a copiare. Con lo She'ēlüth u-bhedhikāh di Jacob Weil (1549) la tipografia si chiuse. Nel 1553 quello che era stato "l'Aldo dei libri ebrei" concluse la sua vita ad Anversa.
La liquidazione dell'azienda fu terminata nel 1554. Contro ogni legge e giustizia agli eredi del B. furono sequestrati e implacabilmente distrutti tutti i libri che restavano nel loro magazzino, per quanto eminenti patroni avessero perorato la loro causa. Con tutto ciò la famiglia non andò in rovina: nel 1555 gli eredi si divisero un cospicuo residuo di patrimonio. Le stupende serie di caratteri ebraici furono in parte salvate da Cornelio figlio di Antonio Bomberg, che ne dispose per quattro anni e le cedette poi al Plantin. Oggi si possono vedere nel Museo plantiniano di Anversa. Le altre furono sequestrate, ma vennero in mano a Giovanni di Gara, "servus Bombergii a pueritia" che si qualificò come "erede del Bomberg". Passarono di poi a Cristoforo Zanetti. Nelle pubbliche biblioteche d'Italia si conservano pochissime copie di edizioni bomberghiane: E. Pastorello ne ha rinvenute solo cinque (nessuna anteriore al 1523) delle centoventisette elencate dallo Amran, in confronto alle settantacinque possedute dal British Museum.
Fonti e Bibl.: Arch. Stato di Venezia, Notariato di Collegio, 23 apr. 1515; 27 maggio 1515; 16 giugno 1515; Ibid., Atti del Senato, Terra, 15 apr. 1518; Ibid., Consiglio dei X, Comune, reg. II, c. 8; Ibid., Consiglio dei X, Notariato, reg. II, cc. 154, 278; M. Sanuto, Diarii, XXV, Venezia 1889, col. 339; XL, ibid. 1894, coll. 45, 46; XLI, ibid. 1894, coll. 34, 55, 75, 118; D. Gans, Zemach David, Praga 1592, c. 42; I. Ha-Cohen, Dikra ha-Jaminle-Malche Zarefatula Malche Bet Otmanha-Zohar, Sabbioneta 1544, c. 149; J. Heilprin, Seder ha-Dorot, Varsavia 1897, p. 239; Ghedalia ibn Jachiā, Shalsheleth ha-Kabbalāh, Venezia 1587, c. 112; G. C. Scaliger, Epistolae omnes, Lugduni Batavaroum 1627, c. 342; A. De Gubernatis, Matériaux pour servir à l'histoire desétudes orient. en Italie, Torino 1876, p. 37; G. Ottino, D. B., in Arte della stampa, III (1871), p. 33; R. Fulin, Doc. per servire alla storia della stampa venez., in Arch. veneto, XII (1882), pp. 181, 185-186, 191-92; A. F. Didot, Hist. de la typogr., Paris 1882, coll. 636-657; J. Perles, Beiträge zur Gesch. der hebräischen und armäischen Studien, München 1884, pp. 193, 209-10, 212, 226, 230; G. Manzoni, Annali tipogr. dei Soncino, III, Bologna 1885, pp. 4-14, tavv. VII-VIII; H. Brown, The Venetian printing press, New York-London 1891, pp. 63, 74-76, 98, 105; Ch. D. Ginsburg, Hebrew Bible. Introduction, London 1897, pp. 956-974; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, Firenze 1905, pp. 399, 478; A. Berliner, Beiträge zur hebr. typographie, in Jahrbuch der jüd. litt. Gesellschaft, III (1905), pp. 295-305; A. Freimann, Die Soncinaten Drucke in Saloniki und Constantinopel, in Zeitschr. für hebr. Bibliographie, IX (1964), pp. 21 s.; Id., D.B. und seinehebräische Druckereiin Venedig, ibid., X (1906), pp. 32-36, 79-88; D. W. Amram, The makers of Hebrew books inItaly, Philadelphia 1909, pp. 146-224, 351-352; S. Poznanski, Karaische Drucke und Druckereien, in Zeitsch. für hebr. Bibliographie, XXI (1918), pp. 33-35; P. Bergmans, Les imprimeurs belges àl'étranger, Bruxelles 1922, pp. 34, 98; F. van Ortroy, Les van Bomberghen d'Anversim primeurs libraires éditeurs, in De Gulden Passer, Anvers 1925, II, pp. 131-144; Id., Contribution à l'histoire des imprimeurs et des libraires belges établis à l'étranger, in Revue des bibliothèques, XXXV (1925), pp. 408-413; XXXVI (1926), pp. 241 ss.; XXXVII (1927), pp. 128-129; Id., Notice sur les van Bomberghen, Anvers 1924; K. Wolf, Hebräischen Studien, Berlin 1927, pp. 42 ss.; E. Pastorello, Bibl. storico-analitica della stampa in Venezia, Venezia 1933, nn. 6, 116, 421, 443, 842-847; Id., Tipografi, editori e librai a Venezia nel sec. XVI, Firenze 1926, p. 16; A. M. Habermann, Ha' madpisim bnei Soncino, Vienna 1933, pp. 102-108; Id., Toledot Ha' defusHa' ivri, Jerusalem 1945, pp. 210-16; R. N. Rabbinowitch, Maamar al had'pasat ha' talmud, Jerusalem 1954, pp. 84-91; F. Ascarelli, La tipografia cinquecentina italiana, Firenze 1953, pp. 180-182, 209; F. J. Norton, Italian printers: 1501-1520, London 1958, p. 131. Per descrizioni di edizioni bomberghiane si vedano G. B. De Rossi, Annales hebraeo-typographiciab anno 1501 ad 1540, Parma 1760, passim; J. Fuerst, Bibliotheca Judaica, Leipzig 1863, passim; M. Steinschneider, Catalogus librorum haebraicorum in Bibliotheca bodlejana, Berlin 1952, passim.