CRIVELLI, Danese
Nacque dopo il 1210 dal milanese Landolfo, che fu podestà di Brescia nel 1251. Mentre combatteva con suo padre in difesa di Milano fu fatto prigioniero nel 1239 da Federico II, che lo portò con sé a Pisa, da dove lo inviò, via mare, nel Regno di Sicilia, affinché fosse affidato ad Ettore di Montefusculo, in un castello della provincia beneventana. Non è noto quando si concluse la prigionia, ma il C. non fu liberato con suo padre Landolfo, giacché non è mai ricordato nelle lettere imperiali che trattano dei possibili scambi dei prigionieri. Forse dovette attendere la morte di Federico II per poter ritornare a Milano.
Nel giugno del 1256 fu eletto podestà di Como, carica che mantenne sino all'estate del 1257. In questo difficile periodo la politica del C. dovette più volte cambiare indirizzo di fronte alla complessità degli eventi milanesi. Al momento di raggiungere Como, per esercitare la podestaria, il C. aveva seguito la posizione delle grandi famiglie aristocratiche milanesi, che si erano poste in contrasto con Martino Della Torre. Giunto a Como favorì l'affermazione dei gruppo nobiliare aderente alla famiglia dei Rusconi e a capo dei militi comaschi il C. sostenne i capitanei milanesi che si erano rifugiati nella rocca di Castelseprio durante l'estate del 1257. Quando il 29 agosto dello stesso anno si raggiunse un accordo fra i Tornani e i capitanei milanesi, ai Crivelli fu vietato il ritorno in città.
Questo fatto spinse il C. ad avvicinarsi a Martino Della Torre, aderendo al partito del popolo. Concluso l'anno di podestaria a Como ed inserito con i Della Torre nelle società della Motta e della Credenza, il C. si prodigò per ottenere la pacificazione delle parti a Milano. La complessa carta di concordia, sottoscritta tra nobili e popolari il 4 apr. 1258 nella basilica di S. Ambrogio, contiene ben tre clausole relative al C., dalle quali è facile cogliere il suo contrastante atteggiamento politico.
In primo luogo si stabilì che fossero abolite tutte le concessioni date dal Comune di Milano al C., sia per favorire la parte dei capitanei, sia quella del popolo. Inoltre furono abrogati tutti i bandi che il gruppo politico milanese aveva promulgato a partire dal 10 giugno 1257 contro i Comaschi ed il loro podestà, Danese Crivelli. Infine fu concordato che Martino Della Torre ed i suoi alleati del ceto signorile, fra cui il C. e suo padre Landolfo, potessero ritornare al partito dei nobili senza dover pagare alcun carico, salva la liquidazione dei tributi arretrati al Comune di Milano.
Rinsaldata in questo modo la posizione della famiglia all'intemo della città, il C. accettò la podestaria del Comune di Firenze per il 1259. Nella città toscana il C. si distinse per le azioni militari intraprese al fine di arginare l'espansione politica del re Manfredi. Il Villani ricorda che nel febbraio fu assediato e distrutto dai, Fiorentini il castello del vescovo di Arezzo, posto nella località di Gressa, mentre da altre fonti sappiamo che furono realizzate spedizioni anche contro il contado senese. Svolse pertanto una politica antighibellina sino al termine del mandato, nell'estate del 1259. Ritornato a Milano, cambiò nuovamente linea politica ed aderì, contro Martino Della Torre, al gruppo dei capitanei guidati da Guglielmo da Soresina, che segretamente si accordarono, l'8 sett. 1259, con Ezzelino da Romano, il maggior esponente ghibellino nell'Italia Settentrionale. Dopo la morte di Ezzelino egli cercò riparo con gli altri nobili milanesi a Lodi, ma fu ben presto cacciato dall'avvento del nuovo podestà Martino Della Torre, che nel frattempo a Milano aveva conferito il capitanato generale sulla città e sul distretto per cinque anni al marchese Uberto Pelavicino.
Il nuovo rifugio del C. fu Piacenza, ma anche questa città cadde ben presto sotto il dominio del marchese e pertanto egli, con molti altri nobili milanesi, dovette riparare a Bergamo. Da questa città tentò un colpo di mano sul territorio ambrosiano e pose a ferro e a fuoco alcune località in pieve di Vimercate. Questo episodio spinse il Pelavicino ad intervenire seriamente contro Bergamo, che, per evitare una sorte peggiore, si accordò con Martino Della Torre e con il marchese, obbligandosi ad allontanare gli esuli milanesi. Il C., con altri novecento rappresentanti delle più nobili e più ricche casate lombarde, fu costretto a rinchiudersi entro il castello di Tabiago, in Brianza. Assediati dalle forze milanesi, novaresi, bresciane e cremonesi, il 19 luglio 1261 essi furono costretti ad arrendersi. Condotto prigioniero a Milano, il C. riuscì a sfuggire al massacro dei nobili perpetrato dal popolo e fu poi trasportato nelle carceri di Vimercate. Qui il 15 luglio 1262 dettò il testamento: lasciava erede di tutti i suoi averi il figlio Guarazone e, qualora fosse stato maschio, il figlio che stava per nascergli dalla moglie Agnese. I suoi beni erano posti nella città di Milano e nei territori di Origgio, Cantalupo, Cuggiono, Rubono, Bernate, Robecco; ma dopo la sua morte, avvenuta poco tempo dopo, presumibilmente nel carcere di Vimercate (Milano), le proprietà furono confiscate dai Della Torre.
Si hanno notizie di tre figli: Guarazone, Danesia e Floriana. Per Guarazone non si hanno, allo stato attuale delle ricerche ulteriori informazioni. Danesia è ricordata nel 1290 e nel 1294: era nubile e dimorava presso ilmonastero umiliato di S. Maria di Cantalupo, una fondazione di sua sorella. Quest'ultima, Floriana, è notissima nella vita religiosa di Milano della seconda metà del XIII secolo. Il 3 febbr. 1268 divenne, infatti, monaca presso il monastero di S. Agnese, sito nella città lombarda presso la porta Vercellina. Dopo la vittoria di Desio (1277) e l'affermazione di Ottone Visconti, a Floriana furono restituiti i beni paterni, con i quali ella costruì, con il permesso del Visconti e del suo vicario Alberto da Basilicapetri, un monastero femminile, la domus umiliata di S. Maria di Cantalupo (3 ag. 1279). Floriana fu superiora dell'istituzione ecclesiastica sino alla sua morte, avvenuta dopo il 20 dic. 1290.
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