MORO, Damiano
MORO, Damiano. – Nacque a Venezia nel settembre del 1431, primogenito di Giovanni, figlio del procuratore Antonio, e di Marcolina Loredan di Marino di Marchesino, sposata da Giovanni in seconde nozze, dopo che era rimasto vedovo di Santa Barbera, di famiglia non patrizia, dalla quale forse aveva avuto un figlio, Alvise.
La prima notizia su Moro è del 15 settembre 1450, allorché afferma di entrare nel ventesimo anno di età e si propone come balestriere per il convoglio di Beirut. Quello della vigilanza armata sulle navi mercantili era un compito per solito assegnato ai giovani nobili, che in tal modo compivano il loro apprendistato sul mare e nei fondachi del Levante. Moro ripetè l’esperienza il 21 giugno 1451, quando si presentò agli avogadori di Comun per essere imbarcato nelle galere dirette a Tana, in Crimea, e ancora il 23 agosto 1452, di nuovo per la muda di Beirut. Negli anni che seguirono è probabile che abbia continuato a dedicarsi alla mercatura, nonostante la paralisi dei traffici con il Mar Nero causata dalla caduta di Costantinopoli nel 1453.
Quando Venezia si apprestava ad assalire Maometto II nel Peloponneso (maggio 1463), il suo nome compare tra i sopracomiti, o comandanti di galera, nominati dal Maggior Consiglio l’8 gennaio 1463 nel quadro di un rafforzamento dell’armata marittima. Tuttavia, dopo un favorevole inizio, le operazioni militari volsero male per la Serenissima e forse per questo Moro optò per la carriera politica in ambito civile: il 21 aprile 1468 entrò a far parte degli ufficiali ai Dieci uffici, una magistratura deputata a rivedere la contabilità di varie cariche giudiziarie, ma con competenza anche sul contrabbando della dogana da Mar. La relativa tranquillità derivante dalla permanenza in città gli consentì di sposare, nel 1469, Andriana Dolfin di Giovanni di Domenico, che gli avrebbe dato due figli maschi, Sebastiano e Giovanni, e quattro femmine. Ma non era temperamento portato all’attività politica e tanto meno ai dibattiti di Palazzo ducale, e così, appena un anno dopo il matrimonio, assunse il comando del convoglio mercantile diretto ad Aigues-Mortes, cui era stato eletto il 14 gennaio 1470.
Sul finire dell’estate del 1471 comandò una piccola squadra di galere sottili inviata nel Po per difendere Ercole d’Este, succeduto al defunto fratellastro Borso, il cui avvicendamento alla signoria ferrarese era minacciato dal nipote Niccolò, che poteva contare sull’appoggio dello zio Ludovico Gonzaga, marchese di Mantova. L’anno seguente, il 2 settembre 1472, Moro rifiutò l’elezione a provveditore di Scutari, in Albania, che fu invece accettata da Antonio Loredan, cui sarebbe toccato l’arduo compito di sostenere il lungo assedio posto dai turchi nel 1474. In tale circostanza, peraltro, Moro fu nominato, il 16 giugno 1474, capitano delle navi armate destinate ad appoggiare la flotta che operava alle foci della Bojana, sulla costa albanese, contro i turchi, che anche per questo decisivo apporto furono costretti a desistere dall’impresa di Scutari. Qualche mese dopo, tuttavia, rifiutò la nomina, avvenuta il 17 novembre 1474, a provveditore di Cipro, non già per la delicata e complessa situazione dell’isola, dove Caterina Cornaro regnava da sola dopo la repentina morte del marito Giacomo II Lusignano, quanto per l’imperversare di un’epidemia pestilenziale che ormai si protraeva da tempo.
Esecutore delle deliberazioni del Senato nel gennaio 1475, il 7 aprile successivo assunse la carica di provveditore sopra le Camere fiscali della Terraferma; dopo questo intermezzo nell’ambito delle magistrature cittadine, tornò a solcare il mare e il 1° maggio 1477 fu eletto capitano della muda di Fiandra, il convoglio mercantile di maggior impegno e prestigio organizzato dal governo marciano. Nell’ottobre 1479, quando era ormai finita la lunga guerra contro gli ottomani e la Repubblica poteva rivolgersi al riassetto amministrativo dello Stato, e a contrastarvi con maggior forza taluni pericoli, fu inviato in Dalmazia come provveditore generale.
Ancora una volta il Senato temeva collusioni antiveneziane fra la nobiltà zaratina e il regno d’Ungheria, pertanto il capitano generale da Mar, Antonio Loredan, aveva inviato alcune galere alla custodia di quel porto. Dei loro equipaggi Moro si valse per attuare una drastica repressione sulla popolazione locale, culminata nell’arresto dei nobili maggiormente sospettati di simpatie filoungheresi, che furono inviati a Venezia per essere giudicati dal Consiglio dei dieci.
Qualche mese dopo, a fine gennaio 1480, risultò eletto comandante di una squadra di quattro navi destinate alla custodia di Veglia, nel Quarnaro, ma rifiutò e al suo posto subentrò il senatore Troilo Malipiero; accettò invece di porre la sua esperienza di uomo di mare al servizio dell’Arsenale, dove entrò come patrono, ossia quale responsabile del grande complesso, il 7 marzo 1481. Ricopriva ancora la carica, e quindi conosceva bene le condizioni della flotta e delle singole navi, quando fu nominato (13 aprile 1482) comandante della squadra di galere grosse destinate a operare sul Po. Era infatti imminente lo scoppio della guerra di Ferrara e Moro avrebbe dovuto combattere contro Ercole d’Este, lo stesso uomo che qualche anno prima aveva contribuito a insediare nel piccolo ducato padano. La guerra ebbe inizio il 2 maggio 1482, tra l’entusiasmo del popolo che prevedeva una facile vittoria. Pochissimi conflitti suscitarono, infatti, altrettanto consenso in tutti gli ordini sociali: con la Serenissima stava il papa Sisto IV, con l’Estense erano schierati Milano, Firenze e Napoli.
Mentre il comandante delle truppe venete, Roberto Sanseverino, varcava l’Adige nel basso Veronese, avendo come provveditore in campo il coraggioso difensore di Scutari, Antonio Loredan, e otteneva ben presto la resa di Ostiglia, Badia e Lendinara, Moro entrava nel Po di Fornace con 13 galeoni e un buon numero di imbarcazioni d’appoggio. Da altra bocca del fiume risaliva nel contempo una squadra minore, affidata ai vicecomandanti Cristoforo Da Mula e Giovanni Manolesso; queste operazioni congiunte portarono ai primi successi con la presa di Corbole e Papozze, così che a Ficarolo l’armata navale e quella terrestre poterono unirsi nell’intento di muovere alla conquista di Ferrara. Tuttavia, anche questa volta come nella precedente guerra di Morea, i veneziani avevano sbagliato le previsioni, illudendosi di poter giungere a una rapida conclusione. La percezione che qualcosa non andasse per il verso giusto si ebbe proprio a Ficarolo, dove i ferraresi opposero una strenua resistenza.
Il Sanseverino e Moro ricorsero non solo alla forza militare ma a vari espedienti, deviando l’acqua del Po prima a Ficarolo, poi sopra Ferrara, ma inutilmente. Per più di un mese e mezzo, fino alla metà di giugno, durò l’assedio, al cui fallimento contribuirono peraltro imprevisti tradimenti e avversità meteorologiche; dopo di che Moro, visti inutili gli sforzi, si volse verso Polesella, dopo aver inviato il Da Mula ad assicurarsi di Adria.
Polesella, posta su un’ansa del fiume tra Rovigo e Ferrara, era stata fortificata con tre torri, una delle quali collocata nel mezzo del Po, le altre ai lati; a presidiare quello strategico complesso il duca Ercole aveva inviato il fratello, Sigismondo d‘Este, con 600 cavalli e altrettanti fanti. Fu questo il maggior successo militare di Moro, che riuscì a impadronirsi delle fortificazioni lasciando liberi i suoi uomini di devastare il territorio circostante.
Moro non riuscì ad assaporare a lungo l’euforia della vittoria, perché si ammalò di febbri per via dell’aria malsana che causava vuoti nell’una e nell’altra parte; il 21 giugno gli fu concesso il rimpatrio, mentre gli subentrava nel comando Girolamo Malipiero.
Morì a Venezia, probabilmente nella seconda metà di agosto del 1482.
Qualche giorno dopo, il 4 e il 10 settembre, il Senato, considerando che Moro era morto al servizio della Repubblica lasciando sei figli, «tutti di anni X in zoso, li quali sonno in gran miseria» (Sanudo, 1989, p. 292), deliberò provvedimenti in loro aiuto; nessun cenno alla moglie, probabilmente già defunta.
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