DALLAMANO
Famiglia di artisti operosi nei secoli XVII-XVIII.
Pellegrino, nato a Modena nella prima metà del sec. XVII, morto dopo il 1700, ne fu il capostipite: pittore, risulta menzionato dalle fonti locali per una produzione figurativa prevalentemente orientata su temi devozionali. Nella scomparsa chiesa modenese di S. Gerolamo esistevano due suoi dipinti: presso la cappella del Sacramento, ancor prima del 1654, una Pietà, raffigurante la Madonna ai piedi della croce, con il Cristo morto in grembo, tra s. Giovanni e la Maddalena e l'Eterno in gloria, e un S. Antonio da Padova presso l'omonimo altare. Altre due effigi di S. Antonio dovute a Pellegrino si conservavano nella cappella dell'antico Ospizio dei poveri e nel distrutto tempio dell'Annunziata, copia quest'ultima da un quadro del modenese Giambattista Levizzani, già nella chiesa dei cappuccini.
Operoso anche su commissione della corte estense, contribuì ai lavori di riqualificazione pittorica condotti, sotto la reggenza di Laura Martinozzi, nel palazzo ducale di Gualtieri durante il settimo decennio del Seicento, impresa in cui si alternarono artisti quali Sigismondo Caula, il giovane Francesco Stringa, Tommaso Costa, Sebastiano Sansoni, il fiammingo Jan van Ghelder; prese inoltre parte, a fianco del figurista Iacopino Consetti e del plastico Antonio Traeri, agli allestimenti, ideati e diretti dall'architetto e scenografo veneziano Tommaso Bezzi, celebrativi del battesimo del principe Francesco d'Este (futuro Francesco III), che ebbero luogo in Modena dal 17 al 23 febbr. 1700, comprendenti il sontuoso apparato del duomo, un anfiteatro effimero che accolse un torneo e un carosello, oltre a varie rappresentazioni sceniche presso la residenza ducale e il teatro Fontanelli.
Attualmente l'assenza di qualunque testimonianza figurativa di Pellegrino nonché la reticenza delle fonti archivistiche e bibliografiche circa la sua formazione e la sua attività rendono purtroppo impraticabile ogni tentativo volto a individuare le connotazioni del suo linguaggio espressivo.
Giuseppe, figlio di Pellegrino, nacque a Modena il 10 luglio 1679. Spirito irrequieto e bizzarro, poco incline agli studi tanto da rimanere analfabeta, dovette compiere il primo tirocinio con il padre, ben presto affermandosi come peritissimo prospettico. La sua opera - si situa nell'ambito del quadraturismo, l'illusionistica dilatazione spaziale degli ambienti tramite l'affinatissimo strumento della prospettiva architettonica.
Un filone, questo, che si rinviene codificato e diffuso nello Stato estense sin dalla metà del sec. XVII, con l'attività esperita presso le fabbriche ducali da Agostino Mitelli, Angelo Michele Colonna, Gian Giacomo Monti, Baldassarre Bianchi. Si rinnova e si vivifica, tale espressione debitrice sia della cultura architettonica sia di quella scenografica, con l'innesto, nell'ultimo scorcio del Seicento, dei modi dei Bibiena, attivi nella stessa Modena presso il palazzo Campori attorno al 1690, che propongono un dinamismo spaziale ancora del tutto inedito, dove la dimensione immaginaria, vertiginosamente fantastica, convive accanto a un carattere di plausibile verosimiglianza. In tale direttrice stilistica si muove Giuseppe, che elabora un linguaggio quanto mai rispondente all'aulicità degli interni barocchi, sia nell'accezione "propagandistica" e trionfante degli edifici di culto sia in quella della rappresentatività celebrativa delle residenze aristocratiche e sovrane.
Tra le imprese offlatistiche nell'ambito di chiese cittadine si enumerano, nella sagrestia della distrutta S. Margherita, il contorno di un Crocifisso a rilievo, con inserti figuristici di putti spettanti al giovane Francesco Vellani; l'affrescatura, in sodalizio con Sigismondo Caula, di finte architetture sulla facciata dell'antica parrocchiale di S. Erasmo e, al suo interno, i decori a cornice della tela di Bernardino Cervi raffigurante il santo titolare; infine, il "padiglione con colonnati", di chiara matrice scenografica, nel coro di S. Maria delle Assi, cancellato nel corso di un restauro ottocentesco dell'edificio. Opere, queste - nessuna delle quali conservatasi -, tutte scalate nel primo decennio del Settecento. Soltanto parziale traccia rimane dell'apporto di Giuseppe nella galleria del collegio S. Carlo, la cui affrescatura, iniziata agli albori del XVIII sec. e "capricciosamente lasciata imperfetta" - secondo il resoconto del Tiraboschi (1786, p. 406) - venne condotta a compimento dal reggiano Pellegrino Spaggiari, allievo dei Bibiena. Perduto è l'intervento presso il palazzo dei marchesi Carandini, mentre è stato recentemente ricondotto all'artista un ciclo di tre soffitti a quadrature prospettiche nel palazzo già dei conti Galliani, ora Boschetti, a sontuosa cornice delle allegorie della casata committente, eseguite da Francesco Vellani; per raffronti stilistici, l'impresa è databile attorno al quinto decennio del sec. XVIII (Martinelli Braglia, 1983). Così si è riconosciuto l'operare del D. nello sfondato prospettico del soffitto della sala capitolare presso il duomo di Modena (Garuti, in corso di stampa). Altri episodi di decorazioni si ebbero nella cappella maggiore della parrocchiale di Moritegibbio (Modena), nell'atrio e nella biblioteca del soppresso convento di S. Spirito in Reggio Emilia, città ove trovò seguito di discepoli come il prospettico e scenografo Giambattista Fassetti, nonché, oltre i confini dei ducato, in Mantova, nella chiesa di S. Agnese, presso l'altare di S. Nicola.
Nel 1717, seguendo l'itinerario percorso da tanti operatori originari di varie regioni della penisola, Giuseppe si trasferì a Torino, che il disegno politico di Vittorio Amedeo II - insignito dal 1713 del titolo regio - mirava a trasformare in moderna capitale, facendone oggetto di un vasto moto centripeto interessante la dimensione artistica italiana.
Fecondissima fu l'attività ornativa di Giuseppe, per lunghi anni assorbita dal servizio presso la corte sabauda, e quindi sollecitata dalle frequenti commissioni da parte di chiese, confraternite e famiglie patrizie. Lo si rinviene operoso per i Savoia nel 1730 presso il castello reale di Rivoli e nella villa della Regina, in Torino, in quel salone centrale che costituisce la sua realizzazione più nota e qualitativamente più cospicua.
Si assiste qui ad una spettacolare applicazione dei principi dell'illusionismo prospettico, che finge una fantastica architettura barocca a colonne libere, rilievi a stucco, volute, mensoloni, timpani curvilinei con inserti naturalistici e animalistici, ricche panoplie, il tutto reso in quella vivida cromia, trasfigurata sotto il chiaro lume, che emerge quale tratto peculiare del suo linguaggio stilistico; ma dove il virtuosismo tocca gli esiti più mirabili è nel proseguimento figurato e illusorio della balconata, solo parzialmente vera e praticabile.
Ancora in Torino affrescò il presbiterio nel tempio di S. Tommaso e uno sfondato prospettico nel cortile della casa Villanis. Condusse imprese ornative presso la parrocchiale di Carrù accanto ad Antonio Milocco, insieme con il quale, e con i fratelli Giovanni e Antonio Pozzi, lavorò ancora nel tempio della Trinità di Fossano (1728-35). Nella chiesa della Confraternita dell'Annunziata detta La Bianca di Busca (1730 circa) egli diede vita a fantasiose divagazioni quadraturistiche conferenti organica unitarietà all'impianto costruttivo. Fu interpellato per l'ornamentazione dell'ampia cupola nel santuario di Vicoforte (1735). Fu attivo in Cherasco, presso le chiese di S. Martino e di S. Ilfredo; in Racconigi, ove dipinse a fresco una cappella nel duomo e il presbiterio in S. Domenico; in Savigliano, presso il tempio della Misericordia e della Pietà. Nel copiosissimo catalogo delle sue realizzazioni, lasciò esempi ornativi a Caramagna, a Carrù, a Virle, sovente ordinatigli da nobili committenti. La sua maniera, divulgata da un numeroso seguito di allievi, tra i quali Gian Domenico Rossi di Busca, si rinviene in tante dimore gentilizie del Piemonte, come - per citare un caso - nelle sale del castello di Masino.
Operoso fino al 1756, si ritirò presso i filippini in Murazzano (Cuneo) ove continuò a dipingere, benché a rilento per l'età ormai tarda, nell'ambito della chiesa e del monastero.
Giuseppe morì a Murazzano il 1° genn. 1758.
Dal matrimonio con Isabella Galli, defunta nel 1716, Giuseppe ebbe tre figli; il primogenito, Nicolò, seguì le sue orme affiancandolo in diverse imprese piemontesi, tuttavia "senza uguagliare il valor del padre", come riferisce il Tiraboschi (1786, p. 407), ricavando i dati biografici relativi a questa dinastia di pittori dal resoconto di don Giuseppe Dallamano, rettore della chiesa modenese di S. Biagio, e figlio di Nicolò. Nicolò morì a Torino nel 1766.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Camera Ducale, Amministrazione dei Principi, Mandati, 1664-1670, n. 1106 (Pellegrino); Ibid., Registro dei mandati, 1700, I semestre, nn. 132, 209 ss.; voce straordinaria (Pellegrino); M. A. Lazarelli, Pitture nelle chiese di Modena [1714], a cura di O. Baracchi Giovanardi, Modena 1982, pp. 44, 77 (Pellegrino); Modena, Arch. dei collegio S. Carlo: F. Barbieri (attr.), Notizie sopra l'origine... e Progresso della Congregazione della B. V. e S. Carlo in Modena e del Coll. dei nobili [ms. sec. XVIII], passim (Gius.); G. F. Pagani, Le Pitture e sculture di Modena, Modena 1770, pp. 34 (Giuseppe), 61 (Pellegrino); F. Bartoli, Notizie d. pitture, sculture e architetture d'Italia, I, Venezia 1777, pp. 9, 50 s.; 56, 76 s.; 83 (Giuseppe); G. Tiraboschi, Bibl. modenese, Modena 1786, VI, Suppl., pp. 406 s., 411 s., 541; L. Lanzi, Storia pittor. della Italia [1809], a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 219 (Giuseppe); S. Ticozzi, Diz. d. pittori, Milano 1818, I, p. 152 (Giuseppe); M. Paroletti, Turin et ses curiosités, Torino 1919, p. 384 (Giuseppe); C. Campori, Storia del Collegio S. Carlo in Modena, Modena 1878, p. 71 (Giuseppe); M. Degani, Mostra d. scenografi reggiani dal XVII al XX sec. (catal.), Reggio Emilia 1957, pp. 21 s. (Giuseppe); L. Mallé, Le arti figurative in Piemonte, in Storia del Piemonte, Torino 1960, II, pp. 870 ss.; 895 (Giuseppe); M. Bernardi, Tre palazzi a Torino, villa della Regina, Torino 1963, pp. 118, 125 ss.; 142, 146 (Giuseppe); Schede Vesme, II, Torino 1966, pp. 392 s. (Giuseppe e Nicolò); A. Balletti, Storia di Reggio Emilia, Roma 1968, pp. 512, 515 (Giuseppe); N. Carboneri, Antologia artistica del Monregalese, Torino 1971, p. 128 (Giuseppe e Nicolò); G. Soli, Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1974, I, pp. 70 (Pellegrino), 418 s. (Giuseppe); II, pp. 209 (Pellegrino), 384, 434 (Giuseppe); III, p. 413 (Pellegrino); N. Gabrielli, Arte nell'antico marchesato di Saluzzo, Torino 1974, p. 204 (Giuseppe); A. Garuti, Le opere del Fassetti nelle chiese di Carpi in Reggio storia, 1979, n. 5, p. 34 (Giuseppe); A. Lugli, Erudizione e pitture alla corte estense... in Prospettiva, 1980, 21, p. 60 dell'estratto (Pellegrino); A. Boidi Sassone, Il pal. della Cassa di Risp. di Fossano, Fossano 1983, pp. 81, 109; G. Martinelli Braglia, Dal barocco al rococò. Nota su alcuni palazzi modenesi, in Il rinnovamento edilizio a Modena nella seconda metà del Settecento, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1983, III, pp. 181-86 (Giuseppe); Id., Note sullo spettacolo in Modena tra Sei e Settecento: i luoghi e le presenze, in Alessandro Stradella e Modena: Musica, documenti, immagini (catal.), Modena 1983, pp. 52, 59, sch. 74 (Pellegrino); A. Garuti, Dalla scena al privato: testimonianze della decorazione prospettica a Modena nel XVIII secolo, in Atti del Convegno A. Stradella a Modena, in corso di stampa (Pellegrino e Giuseppe); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 298 (s. v. Dallamano Giuseppe, con bibl.).