DAL PONTE, Iacopo, detto Bassano
Figlio del pittore Francesco il Vecchio e, verosimilmente, della sua prima moglie Lucia Pizzardini, nacque a Bassano del Grappa (in prov. di Vicenza) probabilmente nel 1510 (Ridolfi, 1648).
Francesco, modesto pittore provinciale, addestrò il D. e i suoi fratelli Gianfrancesco e Giambattista a lavorare nella sua bottega dalle svariate attività. Alcune opere giovanili del D. e molte del periodo tardo sono datate e (o) firmate, ma la documentazione sui lavori della bottega per il periodo 1512-1550 si basa soprattutto sul Libro secondo di dare e avere della famiglia Dal Ponte con diversi per pitture fatte, unico sopravvissuto di quattro libri di conti e fonte importante per ogni tipo di informazione riguardante la famiglia. Ancora non pubblicato integralmente, alcune delle notizie sono state resé note nel 1982-1983 dal Muraro e qui utilizzate per gli anni sino al 1550. Anche se. reca annotazioni sino al 1588, pare che sugli ultimi trentotto anni il libro dei conti non faccia riferimento a quadri.
Ad appena 18 anni, il D. rappresentò il padre a Valstagna dove la Natività, che era stata commissionata a Francesco nel 1525 e consegnata tre anni dopo, rivela la sua partecipazione in passaggi minori e nella testa e nel velo della Madonna che presentano un pittoricismo più morbido, contrastante con il rigido linearismo di Francesco il Vecchio. Nel 1531 il D. firma e data la Sacra Conversazione già in coll. Larber a Bassano (Verci, 1775) ora perduta. Qualche tempo prima del 1534 il D. deve aver passato un periodo come socio più giovane nella bottega veneziana di Bonifazio de' Pitati.1 del quale sono evidenti gli influssi nella Fuga in Egitto del 1534 (Bassano, Museo civico) insieme con alcune derivazioni da Tiziano, dal D. ammirato per tutta la vita.
Le pale di altare di Fara, del Museo civico di Vicenza (1534), di Santa Caterina di Lusiana (1534-35), di Pove (153637) e di San Luca di Crosara (1532-38), sono di formato arcaico e presentano qualche segno di collaborazione da parte dei fratelli del D.; lo stesso dicasi per la serie di tre tele, alquanto più originali, del Museo civico di Bassano, che erano státe commissionate nel 1535 dal podestà Luca Navagero per il palazzo comunale, e per la grande pala votiva (oggi nel Museo civico di Bassano) eseguita per il podestà Matteo Soranzo, sempre per il palazzo comunale, nel 1536.
La carriera di frescante del D., cominciata almeno dal 1532 (quando eseguì per la casa di Bassano di Ambrogio Frizier uno stemma con due satiri, oggi perduto) proseguì nel 1535 con la decorazione della facciata, ora frammentaria, della Scuola di S. Antonio a Marostica e raggiunse un alto grado di maturazione tecnica in S. Lucia di Tezze dove, insieme con i suoi fratelli, il D. affrescò l'intera chiesa dentro e fuori. Francesco, il padre, risulta malato nel 1529 e pare che il D. abbia assunto presto la principale responsabilità per pitture importanti commissionate alla bottega di famiglia, ma il suo lavoro consisteva anche in opere artigianali di ogni tipo.
Nel 1535. con due colleghi di Trento, ricevette dal Senato veneziano un "brevetto" per invenzioni idrauliche; all'occasione praticava anche la scultura (esiste ancora un rozzo frammento di un gruppo di Crocefissione a Castel di Godego); né disdegnava di eseguire stendardi processionali in gran quantità (uno nel Vassar College Art Museum di Poughkeepsie, N.Y.), decorazioni per feste, pitture per mobili, armature, ceri pasquali e perfino disegni per figure di marzapane. Dopo il 1539, quando Francesco era già morto, i fratelli del D. si addossarono la maggior parte dell'attività di questo genere, ma dipingevano anche quadri, alcuni dei quali ancor oggi vanno sotto il nome di Iacopo.
Una svolta nello sviluppo artistico del D. si può notare nell'altare ai Borso del Grappa, commissionato nel 1537 e datato 1538, e nella Cena di Emmaus di Cittadella (fine del 1537-inizio del 1539): risposta alle opere tarde del Pordenone che in quegli anni stava concludendo la sua carriera a Venezia. Questa fase raggiunge il culmine nell'ambizioso affresco della facciata di casa Dal Como (ora staccato, è conservato nel Museo civico di Bassano), che dal libro dei conti risulta in lavorazione fra il marzo e il luglio 1539: un complesso intreccio di temi allegorici e biblici, nonché virtuosistica esibizione della sua padronanza del mezzo dell'affresco.
Nel Cristo tra i dottori (Oxford, Ashmolean Museum) della fine del 1539, una tonalità fredda e dissonante e una attenzione acutamente focalizzata alle superfici si sommano a forme di inedita ampiezza, con risultati di realistica nitidezza che ben si prestano al ritratto, come nel Frate francescano con teschio (Bowood House, Earl of Shelburne).
Questa luce fredda acquista intensità lunare nell'altare di S. Anna (Bassano, Museo civico), dipinto tra il febbraio e il settembre 1541, dove compaiono anche evidenti allusioni alle sinuosità del Parmigianino.
Non esiste peraltro molta documentazione su possibili viaggi del D.; mentre è chiaro che allargò il suo repertorio formale e di soggetti attraverso una collezione sempre crescente di stampe dalle quali traeva non solo figure singole e scenari, ma anche numerosissimi dettagli minuti che ricomponeva più e più volte sino a quando aveva assorbito completamente il loro linguaggio formale nel proprio patrimonio stilistico, facendone un tutt'uno strettamente legato al suo amore per il mondo naturale che lo circondava. Stampe e xilografie di o da Tiziano, di Campagnola, Dürer, Cransich, Marcantonio Raimondi, Agostino Veneziano, Girolamo da Carpi e perfino dei Parmigianino gli fornivano una ampiezza di fonti non usuale per un artista veneto, tanto meno per un pittore artigiano di provincia che restava fedele alle sue origini.
Nei primi anni della sua carriera questa massa di materiale grafico ebbe un ruolo primario nella sua assidua autoeducazione, mentre in un secondo tempo, una volta assimilata, avrebbe avuto minore importanza nella sua vorace ricerca di vie personali di espressione.
Il 27 maggio 1541, in considerazione dell'eccellenza della sua arte, il D. fu esentato da tutte le tasse, e da questa data nelle sue opere si nota un lieto sentimento di liberazione e ottimismo, timidamente delicato e lucido nell'altare di S. Orsola per Mussolente (commissionato nel settembre di quell'anno), apertamente fluente nelle grandi figure del Leone andante e del Marcus Curtius affrescate sulla facciata esterna della porta Dieda tra la fine del 1541 e gli inizi del 1542 per ordine del podestà Bernardo Morosini, che posò anche per il Ritratto finemente enigmatico, oggi a Kassel. Più o meno negli stessi anni il D. era a Venezia dove firmava il garbato ritratto di Giovanni Marcello (Memphis, Brooks Memorial Art Gallery) e rinnovava il suo entusiasmo per Tiziano: ne ricevette un possente impulso che, insieme con uno sguardo al Moretto e al Romanino, doveva determinare il ca rattere più veneziano dell'Altare Rasai (giugno 1542-febbr. 1543), oggi nella Alte Pinakothek di Monaco. Questo indirizzo caldo e splendente è evidente nella festosa Adorazione dei Magi (Edimburgo, National Gall. of Scotland), nelle Fughe in Egitto di Toledo (Ohio, Museum of Art) e di Pasadena (Calif., Museum of Art) dove un bel naturalismo agisce in contrasto con supeffici brunite e con una decorativa sinuosità di panneggi ondeggianti, in giustapposizioni di colori clamorosamente dissonanti.
Un forte senso del favoloso informa quadri posteriori come l'Adorazione dei pastori (Hampton Court, coll. reali), La salita al Calvario (Londra, Nat. Gallery), Noli me tangere (Oriago, Venezia; aprile 1543-marzo 1544; danneggiato, è erroneamente attribuito a Francesco Vecellio). Nel Martirio di s. Caterina (Bassano, Museo civico; giugno-agosto 1544), basato liberamente su una xilografia eseguita da Francesco Salviati tre anni prima per Pietro Aretino a Venezia (G.V. Dillon, Le incisioni, in Da Tiziano a El Greco... [catal.], Venezia 1981, p. 300), il favoloso raggiunge il massimo in una stravagante esplosione di motivi formali romani e di colori squillanti.
Il problema del se, per quali strade e in quale grado il D. sia stato manierista, è pertinente più che altro ai suoi quadri del 1538-45, anni nei quali tramite Pordenone, Salviati, Vasari e altri fu introdotta nel contesto veneziano una maniera intensamente drammatica ed enfatizzata, di stampo centroitaliano, che apri la strada verso il parmigianinismo dello Schiavone e la sintesi aggressiva dei veneziano Tintoretto.
Non c'è dubbio che il D., a Venezia, vide queste sofisticate novità e reagì ad esse, ma il suo approccio fu sempre fortemente individuale, personalissimo, e sempre condizionato dalla devozione al "naturale" del mondo che lo circondava. È quindi scorretto considerarlo un manierista che seguiva la corrente, specialmente tenendo conto che a Venezia era ancora molto poco conosciuto. In definitiva proprio il suo isolamento e la sua rara sensibilità pittorica gli permisero audacie che non sarebbero state tollerate tra gli artisti alla moda.
Dopo il 1545 il D. allentò gradatamente il suo confronto con il manierismo; nella piccola Salita al Calvario (Cambridge, Fitzwilliam Museum) e nella variante del Noli me tangere di Onara, prevale una più ordinata spaziosità: ma fu una pausa di breve durata perché, come si può ben vedere nella Decollazione del Battista (Copenaghen, Statens Museum for Kunst), il D. si volse presto a una tecnica duttile, liquida, dove i tocchi spezzati, nervosi, del pennello vibrano intorno a passaggi raggianti di colore. Nel Buon Samaritano (Hampton Court, coll. reali) una tonalità più scura dà luogo a rivoletti argentei di pittura traslucida, mentre nell'Adorazione dei pastori (Venezia, Accademia) vibra un teso gioco reciproco di aspro realismo e stilizzazione lineare che porterà alla potente astrazione della Pesca miracolosa, commissionata nell'aprile 1545, di cui si conserva, in coll. priv., solo una copia danneggiata (Longhi, 1948). Fu probabilmente nell'anno seguente che gli venne ordinata la turbolenta Ultima Cena (Roma, Gall. Borghese) che, come la Pesca miracolosa, per quanto riguarda la composizione si basa, alla lontana, su una invenzione di Raffaello, ma stravolgendo i valori del Rinascimento fino a imporre una compressione claustrofobica alla esuberante massa di figure gesticolanti dove contrasti stridenti sono ottenuti da passaggi di realismo esasperato. Al confronto l'Ultima Cena di Tintoretto dell'anno seguente, a S. Marcuola, sembra una composizione tranquilla. Una monumentalità altrettanto irrequieta caratterizza la pala con La Trinità di Angarano che era stata commissionata a Francesco il Vecchio nel 1533, ma che pare non sia stata iniziata sino a che il D. rifece il contratto nel dicembre 1546 e consegnò l'opera finita nel 1547.
Si è molto insistito (Zottmann, 1908) sulla funzione delle stampe nordiche come fonti iconografiche per quest'opera, ma in realtà esse sono secondarie, dato che oramai il D. non dipendeva più da artisti precedenti. Daltra parte nella Trinità sono adombrati i conflitti tra cattolici tradizionalisti e protestanti della Riforma che turbarono Bassano e il suo territorio durante il concilio di Trento. p. stato ipotizzato (cfr. Rearick, 1978, pp. 331-433 ma non esistono documenti) che il D. accettasse idee protestanti e che almeno in una occasione sia stato costretto ad abbandonare Bassano e a cercare riparo ad Enego nei Sette Comuni. È certo che il D. fu profondamente tormentato da sentimenti contrastanti, alcuni volti a sostenere i principi della Controriforma avanti lettera, e altri tesi ad assimilare una nordica insistenza sulla fedeltà al testo biblico, considerato l'unica fonte autorevole per visualizzare temi religiosi; questa fedeltà fu all'origine negli anni seguenti del naturalismo immediato e antiretorico del Dal Ponte.
Una affettuosa dedizione all'ambiente pastorale nel quale viveva e lavorava era stato elemento costante dell'arte del D. anche nei momenti di complessa sperimentazione manieristica, ma nell'ottobre 1548 troviamo una sorprendente novità in un contratto con Antonio Zantan per dipingere un "Quadro de dui brachi, cioé cani solo"; pare che questo quadro innovativo fosse già finito alla fine del mese ed è probabile che si possa identificare con uno di collezione privata a Roma pubblicato dal Ballarin (1964); in esso non si trova traccia di simboli arcani ma piuttosto una raffigurazione fedele di cani da caccia certamente tenuti in gran conto da Zantan; è forse questo il primo esempio di pittura di animali, genere che sarebbe stato molto popolare nei secoli a venire.
Interno alla metà del secolo le commissioni di quadri e oggetti d'artigianato da parte di laici ed ecclesiastici di Bassano e dintorni, anche fino a Feltre, oltre che di un gruppo di amatori veneziani, erano aumentate al punto che il D. e i suoi due fratelli - che continuarono a lavorare almeno sino al 1550 - ebbero bisogno di aiuti; negli anni tra il 1548 c. e il 1551 il pittore di Feltre Pietro Mariscalchi pare fosse aiutante giovane nella bottega Dal Ponte e che come tale abbia dipinto alcune parti dell'Altare Tomo nel 1548 (Monaco di Baviera, Alte Pinakothek), una gran parte della Salita al Calvario (Glyndeboume, Christie coll.) e praticamente tutta l'Adorazione dei Pastori (Venezia, Accademia) che era stata iniziata nel 1550 per il palazzo dei camerlenghi di Venezia. Poco dopo il 1550 il Mariscalchi si stabilì a Feltre per continuare una carriera indipendente; ma oramai il D. poteva contare sul futuro aiuto dei suoi figli Francesco il Giovane, Giovanni Battista, Leandro e Girolamo, la nuova generazione che avrebbe profondamente modificato la fama della bottega Dal Ponte, aumentandone la produzione e la diffusione.
Il D. era chiaramente in stretto contatto con le correnti artistiche di Venezia e in questo contesto bisogna considerare i suoi quadri del sesto decennio del secolo. Tintoretto, Schiavone, ma più di tutti Tiziano, ispirarono il tono crepuscolare, l'illuminazione aspra, la pennellata sciolta e virtuosistica di quadri di transizione come la Vergine in gloria tra i ss. Antonio abate e Luigi di Asolo, consegnata nell'ottobre 1549, e la Salita al Calvario (Budapest, Sźepmüvészeti Muzeum), di quasi un anno dopo. Nel Miracolo delle quaglie (cfr. Longhi, 1948), nel suo pendant, Lazzaro e il ricco epulone (Cleveland, Museum of Art), come anche nella seconda versione dei Due bracchi (Firenze, Uffizi), forti giustapposizioni di luci e ombre trafiggono le forme gigantesche. La pittura di genere acquista una nuova dimensione nell'Annuncio ai pastori (c. 1556, Washington, National Gallery), un dipinto. che deve esser stato eseguito per un committente di Venezia perché in quella città lasciò segni sensibili, a cominciare da Tiziano e Tintoretto sino al Piazzetta nel Settecento.
Negli ultimi anni del sesto decennio, il D. tornò alla committenza locale affrescando il palazzo comunale di Bassano con un ciclo progettato nel 1558 del quale resta solo la Madonna nella loggia.
Nello stesso 1558 è documentato che eseguì il S. Giovanni Battista del Museo civico di Bassano. e certamente gli è molto vicina nel tempo la Pentecoste dello stesso museo, dove l'uso di una tonalità cinerea produce un effetto visionario unico, ben.descritto dal suo antico ammiratore, Volpato (in Bordignon Favero, 1980-81).
Il S. Cristoforo (Avana, Museo Nacional), pannello centrale del trittico per S. Cristoforo della pace presso Murano, fu, forse, la prima commissione pubblica nella Laguna, ma anche il S. Girolamo (Venezia, Accademia) e l'Adorazione dei pastori (Roma, palazzo Barberini) sembra siano stati dipinti per Venezia verso il 1560. È ancora suggestionato da Tiziano, ma ora per la prima volta si vede che ha conosciuto l'opera di Paolo Veronese: se la Crocefissione di Ancona del Vecellio gli ha suggerito il formato, nella solenne monumentalità della Crocefissione con santi del 1561-63 (Treviso, Museo civico) è riflesso il limpido splendore del colore del Veronese.
Poco dopo, probabilmente nel 1563-64, il D. ricevette una importante commissione a Venezia: il solenne e armonioso dipinto con i SS. Pietro e Paolo (Modena, Galleria Estense) per la chiesa dell'Umiltà. Esso doveva vedersi congiuntamente al grande soffitto del Veronese (ora nella cappella del Rosario della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo), progettato contemporaneamente, nel quale L'Adorazione dei pastori prova come l'ammirazione tra i due pittori fosse reciproca.
Contemporaneamente a queste pitture monumentali il D. stava esplorando modi assolutamente nuovi di trattare temi biblici di tipo intimista e pastorale. Uno dei primi e più bei quadri di questo genere è La parabola del seminatore (LuganoCastagnola, coll. Thyssen-Bornemisza), del 1563 circa, presto seguita dal Viaggio di Giacobbe (Hampton Court, coll. reali), più ricco di personaggi: in questi due quadri elegante stilizzazione e rustica semplicità raggiungono un sottile equilibrio. Cominciò a dipingere anche quadri di formato più piccolo e sempre per collezionisti privati: pendants con ampi paesaggi come Giacobbe e Rachele al pozzo (Baltimora, coll. priv.; Bettini, 1933) e il Viaggio di Giacobbe (già Colonia, Wallraf Richartz Museum) e, anche, serie di tre quadri come le Storie di Tamar (sopravvive una tela oblunga: Vienna, Kunsthistorisches Museum), dando così inizio a un gusto per dipinti in serie, che avrebbe proliferato nel decennio seguente.
Sposò Elisabetta Mezzari e dal matrimonio nacquero diversi figli.
Nel 1566 il figlio Francesco fu incaricato di eseguire repliche di questi e di altri quadri di genere, esercizio che egli praticò con tale precoce capacità che le sue copie e varianti passano ancora per opere del padre. Evidentemente gli amatori veneziani avevano cominciato a comprare tali dipinti in gran quantità così che, il Vasari, che era a Venezia in quell'anno per aggiornare le sue Vite in vista della seconda edizione, appare chiaramente perplesso e un po' scandalizzato quando annota, in un passo incidentale e significativo della vita del Tiziano, a proposito di un quadro della collezione di Matteo Giustiniani del quale non era in grado di stabilire il soggetto: "molto bello; siccome anco sono molte altre opere di esso Bassano, che sono sparse per Venezia, e tenute in buon pregio, e massimamente per cose piccole ed animali di tutte le sorti" (G. Vasari, Le vite..., 1568, a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, p. 455). Ovviamente questo gusto dei Veneti per il genere rurale era una strana aberrazione per il Vasari, anche se non poteva negare la bellezza delle opere (Rearick, 1984).
Il D. tentò una sintesi del genere pastorale e dei requisiti di una pala d'altare monumentale nel S. Eleuterio (Venezia, Accademia) dipinto per Vicenza nel 1566 e nei SS. Nicola, Sebastiano e Rocco (Treviso, Museo civico) di circa un anno più tardi; ma la luce grigiastra e l'attenzione al dettaglio microscopico rendono queste opere statiche e discontinue e non tanto naturalistiche. Riuscì meglio nell'Adorazione dei pastori (Bassano, Museo civico) che nel dicembre 1568 fu collocata nella piccola chiesa di S. Giuseppe: dolce e commovente nel trepido atteggiamento di venerazione di pastori e animali, altrettanto è sontuosa nella ricca, libera pennellata e nel colore; doveva ben presto diventare uno dei capolavori del D. più ammirati e copiati. L'anno successivo, il D. andò un passo oltre dedicando una intera pala alla figura solitaria di S. Girolamo (Venezia, Accademia) immersa in un paesaggio crepuscolare, ma l'intervento di suo figlio Francesco ridusse la qualità del dipinto limitandone il successo. D'altra parte è attraverso il racconto dei fatti della storia sacra che questo elemento nuovo, naturalistico, trovò la più positiva manifestazione, in particolare nella prima di numerose versioni di Cristo che caccia i mercanti dal tempio (1569 circa) e nella prima solenne versione dell'Entrata degli animali nell'arca (1570 circa; ambedue a Madrid, Prado).
Contadini, animali, natura in genere, abbondano in queste pitture e il loro successo ha dato origine ad una illimitata progenie. I rapporti con Tiziano rimasero stretti: l'incisione del Cort da un disegno del vecchio maestro veneto con il Martirio di s. Lorenzo offrì al D. il punto di partenza per la sua pala con lo stesso soggetto (Belluno, duomo, dat. 1571). Al fiammeggiante notturno di Tiziano il D. sostituì una luce diurna estiva che trasforma l'eroica lotta raffigurata da Tiziano in un evento quasi quotidiano che si svolge nella campagna veneta. Non tutti i soggetti risultarono tanto facili a trattarsi e la grande tela votiva di Vicenza, firmata e datata 1573, è episodica e frammentaria nonostante passaggi di grande forza.
Estraneo a questi problemi il Seppellimento dipinto nel 1574 per S. Maria in Vanzo (Padova), dove la forte impressione suscitata dal Tiziano tardo è evidente nella luminosità notturna e nella pennellata libera, un tour de force pittorico nel quale le gravi e nobili figure nella foresta illuminata da torce sono animate da un convincimento profondo quasi del tutto privo di retorica manieristica. Più in là, nello stesso anno, la Predica di s. Paolo (Marostica, S. Antonio) è la prima pala di grandi misure firmata insieme da Iacopo e Francesco, ma l'esecuzione annoiata e dimessa denuncia la prevalenza della mano del figlio. A poco a poco, infatti, Francesco acquistava importanza nella bottega, pari a quella del padre, e presto sarebbe stato raggiunto da Giambattista e Leandro; e assai forte dovette essere l'ansia di uguagliare il livello del padre.
Il D. continuò a dipingere a fresco fino alla mezza età, ma la maggior parte delle sue opere in questa tecnica è perduta, come il grande ciclo di Enego del 1555 circa, che servì in parte da prototipo per il ciclo datato 1575, della tribuna di Cartigliano, dove Francesco il Giovane collaborò dipingendo l'intera parete destra e passaggi minori altrove. Come dimostrano i disegni del Louvre, padre e figlio collaboravano, nello stesso anno, al Cristo sul Monte degli Olivi, drammatico notturno del quale resta solo la replica di Francesco (Bassano, Museo civico). Contemporaneamente, questa tonalità cupa domina composizioni di grande formato quali il Ritorno di Tobiolo, o Gli israeliti che bevono l'acqua miracolosa (entrambe a Dresda, Gemäldegalerie), o anche il Viaggio di Giacobbe (Venezia, pal. ducale), quasi interamente autografo, del 1578 circa, subito dopo la partenza di Francesco per Venezia. Di proporzioni più ridotte sono l'ex voto con il Martirio di s. Sebastiano (dat. 1574, Digione, Musée des Beaux-Arts) e le figure aggiunte all'Adamo ed Eva di Francesco (Roma, Gall. Doria-Pamphili).
È a questo punto, molto probabilmente nel 1576-77. che padre e figlio cominciarono a fissare un modello prestabilito di pitture "di genere" di soggetto biblico, producendo tele di medio formato (ca. 90 × 125 cm), con le firme di entrambi ovviamente destinate al grande mercato attraverso la produzione di repliche dello studio.
Diverse di queste sopravvivono nell'originale: Viaggio di Giacobbe (Bassano, coll. priv., e Berlino, Staatliche Museen); Cena di Emmaus (Crom Castle, Earl of Erne); Visione di Gioacchino (Corsham Court, Methune coll.); Cristo deriso (Firenze, Pitti); Cristo nella casa di Marta e Maria (Houston, Blaffer Foundation); Ritorno del figliol prodigo (Roma, Gall. Doria Pamphili). Queste opere furono riprodotte dai figli e seguaci fino al Seicento inoltrato e in alcuni casi conosciamo sino a cinquanta o più versioni di bottega di uno stesso soggetto. Non abbiamo documentazione che fossero quadri prodotti in serie ma in qualche caso alcune coppie di pendants sono state vendute insieme.
Intorno alla metà del secolo artisti come Bonifazio de' Pitati, Schiavone, Giuseppe Porta o Tintoretto avevano prodotto serie di quattro o più pitture destinate a essere vendute insieme, ma nessuna di queste raggiunse la popolarità internazionale di tre serie inventate dal D. ed eseguite con la collaborazione di Francesco negli anni posteriori al 1575.
La prima e più fortunata fu la serie con le Stagioni (Vienna, Kunsthistorisches Museum) cominciata nel 1575 in piccolo formato, con descrizioni delle attività stagionali dei contadini di Bassano: ciascuna di queste tele include un motivo biblicol situato o nello sfondo o nell'angolo di sinistra in alto, indubbiamente inteso come commento moralizzatore per ogni stagione. La seconda serie, ideata ed eseguita in gran parte dal D. attorno al 1577. fu dedicata alle Storie di Noè in quattro tele di maggiori dimensioni. Della serie originale sopravvive solo un frammento di Noè offre sacrifici (Liverpool, Walker Art Gallery) interamente autografo, ma una replica firmata (Londra, coll. priv.) rivela alcuni interventi di Leandro. Un'altra serie completa (Costruzione dell'arca, Entrata nell'arca, Diluvio, Noè offre sacrifici, Kromericz, pal. arcivescovile) mostra ancora una volta il D. in collaborazione con il figlio Leandro benché la firma sia solo del D., che forse si rendeva sempre più conto che non tutto quello che usciva dalla bottega di Bassano era della stessa qualità. In un primo momento era intervenuto Francesco aggiungendo una quinta tela con il Sogno di Noè (New York, coll. priv.), ma non ottenne successo e ne restano solo poche repliche a confronto delle quasi cento dell'Entrata nell'arca, composizione di cui Iacopo e Francesco diedero una seconda versione (Firenze, coll. priv.; Arslan, 1931).
L'ultima serie, con gli Elementi, è più tarda, del 1583-84 circa, e fu eseguita con l'aiuto, marginale, di Gerolamo: il Fuoco e l'Acqua esistono nella versione originale (Sarasota, Ringling Mus.); l'Aria, già a Berlino (Kaiser Friedrich Mus.), è stata distrutta nel 1945, mentre della Terra resta una replica di Leandro corretta dal D. (Baltimora, Walters Art Gallery). Questa serie degli Elementi, prodotta quando - la bottega era già sulla via del declino sia per organizzazione sia per qualità, non raggiunse mai la fama delle serie precedenti anche se restano numerose modeste repliche di tutte e quattro le composizioni.
Stranamente proprio nel periodo in cui la bottega programmava una specie di produzione di massa di pitture di genere, di carattere più domestico, il D., probabilmente alla fine del 1575, si mise a dipingere una grande pala d'altare per la chiesa di S. Rocco a Vicenza: S. Rocco che visita gli appestati (Milano, Brera). Quasi interamente autografa, la pala è un risonante addio alla fredda, vibrante luminosità dei modi classicisti degli anni di mezzo e offre una sintesi monumentale delle esperienze cosmopolitane e locali dell'artista. Più profetica la serie di quattro quadri di altare con le Tentazioni di s. Antonio, ciascuno con la sua predella, eseguiti per la parrocchiale di Civezzano (Trento, coll. priv.; Borgo, 1976), dipinti probabilmente già nel 1576 con larga partecipazione di vari assistenti della bottega. Qui, e in particolare nella Predica del Battista, viene attuato un compromesso tra il formato della pala d'altare e il genere pastorale. Questo equilibrio fu scosso gravemente l'anno dopo quando il D. e Francesco firmarono insieme la grande Circoncisione (Bassano, Museo civico), unica opera prodotta per il duomo del paese natio; in essa la prospettiva, sempre debole nell'opera del D., vacilla, l'ordine compositivo si sgrana e l'esecuzione è pedestre. Può darsi che questo sforzo troppo ambizioso sia stato suggerito dalla speranza di una nuova opera per Venezia, dove il D. aveva appena eseguito la sua prima commissione ufficiale, il ritratto del Doge Sebastiano Venier (ne resta solo lo schizzo dal vivo, su rame: Stoccarda, coll. priv.); la figura del doge fu inclusa insieme con gli autoritratti degli artisti, nella Circoncisione.
Con il trasferimento di Francesco a Venezia e l'apertura, in questa città, di una specie di filiale della bottega, il rapporto di collaborazione tra padre e figlio non cessò ma cambiò di carattere e il vecchio maestro si recava ora a Venezia per dare consigli al suo beniamino, aiutandolo con bozzetti per commissioni importanti quali il Ratto delle Sabine (Torino, Gall. Sabauda) e, occasionalmente, collaborando con lui come per la Pala Donzelli in S. Giacomo dell'Orio di Venezia.
Già da prima, ma sempre più dopo la partenza di Francesco per Venezia, il D. si rivolse al figlio Leandro.
La sua mano è riconoscibile nella pala d'altare di S. Maria degli Angeli a Feltre dell'estate 1576 e, in minor misura, in quella votiva del podestà Sante Moro di Bassano (Bassano, Museo civico, fine 1576), ma è a fatica, distinguibile nello splendido Battesimo di s. Lucilla (Bassano, Museo civico, 1578circa). Maggiore intervento fu concesso a Leandro nella revisione del Cristo che caccia i mercanti dal tempio (Bassano, coli. priv.; Pallucchini, 1982);ma una sequenza tipica è costituita dall'altare di S. Martino (1578-79; Bassano, Museo civico), dove è evidente solo la mano tremolante del D. nella luminosità evanescente, e dalla sua replica con varianti a Cison di Valmarino (coll. Brandolini) dove è chiaramente presente il tocco più descrittivo di Leandro.
Intorno al 1584 Leandro fu attirato a Venezia dal grande successo ottenuto da Francesco con i dipinti del palazzo ducale e nel 1587 venne richiamato Gerolamo da Padova, dove studiava medicina, perché assumesse il ruolo di primo collaboratore del D.: ma era ormai troppo tardi perché la sua mano fiacca assimilasse lo sperimentalismo pittorico del patriarca. Una generazione ancora più giovane di apprendisti stava emergendo in quafità di sostituti del D., alcuni dei quali, come Luca Martinelli, erano stati formati più da Leandro che dal vecchio maestro: la mano di Martinelli predomina nel S. Rocco e nella Madonna del Rosario (documentata al 1587), ambedue per Cavaso del Tomba. Anche se affidava in misura sempre crescente intere commissioni a questi suoi deboli seguaci, il D. continuò ad aggiungere tocchi finali alla maggior parte delle pitture che uscivano dalla bottega di Bassano, e addirittura si recava presso i figli a Venezia, dove esercitava lo stesso diritto. Anche se è stata giustamente corretta (Ballarin, 1966-67) l'opinione precedente secondo la quale il D. smise di dipingere dopo il 1580 (Bettini, 1933; Arslan, 1960), non è stato ancora adeguatamente osservato che a un gran numero dei prodotti di bottega è stata aggiunta la pennellata dei Dal Ponte.
Lo stile tardo del D., a più di settanta anni, è inimitabile: talmente sfatto da raggiungere l'incoerenza nella Madonna con le ss. Lucia ed Agata del 1581 (Bassano, Museo civico), ma bruscamente correttivo nel SS. Rocco, Giobbe e Sebastiano (Vicenza, pal. della Provincia) che nel 1582 egli firmò insieme con Leandro; ora magicamente luminoso (Susanna e i vecchi, 1585, Nimes, Musée des Beaux-Arts), ora gravemente tetro (Discesa dalla Croce, Chatsworth, Trustees of the Chatsworth Settlement), ora esagitato (Cristo che caccia i mercanti dal tempio, Londra, National Gallery). Nel 1590 i neri vellutati e le luci fiammeggianti del D. raggiungono una incandescenza tizianesca nel Martirio di s. Lorenzo della parrocchiale di Poggiana e una smaterializzazione spettrale nel Cristo deriso delle coll. Tinozzi di Bologna.
All'ultima ora ottenne da Venezia la grande commissione che aveva sempre aspettato: attorno al 1590 circa gli fu ordinata L'Adorazione dei pastori per S. Giorgio Maggiore, che consegnò prima della morte.
L'impasto denso, ripetutamente lavorato, manifesta la profonda concentrazione con la quale il maestro ottantenne affrontò il grandioso compito: solenne commiato ed esortazione per i pittori del secolo seguente. Ma non aveva finito, e nell'inventario del 1592 delle opere che aveva in bottega (Verci, 1775) troviamo ultimo, incompiuto, capolavoro, il Battesimo di Cristo (New York, coll. priv.; Rearick, 1967) aspro, approssimativo, instancabilmente sperimentale sino alla fine. Secondo Ridolfi (1648, p. 402) "ne gli increbbe il morire, diceva egli, che per non poter di nuovo imparare, incominciando all'hora ad apprendere il buono della Pittura...".
Fece testamento il 10 febbr. 1592 (Alberton Vinco da Sesso - Signori, 1979) assegnando la maggior parte dei beni a Giambattista e Gerolamo, meno dotati come pittori, e un'altra parte a Leandro che già aveva raggiunto il successo a Venezia. Non nomina Francesco, forse sapendo che il suo figlio preferito, inesorabilmente oppresso da demenza paranoica, si era ferito mortalmente lanciandosi dalla finestra del suo studio a Biri Grande, nel novembre precedente.
Morì a Bassano il 13 febbr. 1592 e fu sepolto in S. Francesco, dove sarebbe stato raggiunto poco dopo dal figlio Francesco.
Fonti e Bibl.: Per le fonti edite e la bibliogr. sino al 1957 si veda E. Arslan, I Bassano, Milano 1960, pp. 153-60; inedito è il Libro secondo di dare e avere della famiglia Dal Ponte con diversi per pitture fatte, riassunto nelle sue parti principali in Muraro, 1982-83; G. B. Volpato, La Verità pittoresca, ms. esistente in un abbozzo autografo a Vienna, Österr. Nationalbibliothek, ed in copie ottocentesche a Bassano, Biblioteca civica, e Venezia, Biblioteca naz. Marciana (secondo Bordignon Favero fu composto tra il 1670 e il 1679). Cfr. in part.: R. Benedetti, Ragguaglio delle Allegrezze, Solennità, e Feste, fatte in Venezia per la felice Vittoria..., Venezia 1571; L. Marucini, Il Bassano, Venezia 1577; R. Borghini, Il Riposo [1584], a cura di M. Rosci, Milano 1967, ad Indicem; C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte [1648], a cura di D. von Hadeln, I, Berlin 194, pp. 384-412, ma anche, II, Berlin 1924, ad Indicem; M. Boschini, La Carta del Navegar pitoresco [1660], a cura di A. Pallucchini, Venezia-Roma 1966, ad Indicem; G. B. Verci, Notizie intorno alla vita, e alle opere de' pittori, scultori, e intagliatori della Città di Bassano, Venezia 1775, pp. 39-153; L. Zottmarm, Zur Kunst der Bassani, Strassburg 1908, pp. 14-47; B. Berenson, The Venetian Painters of the Renaissance, New York 1894, pp. 64 ss., 82 ss.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, 4, Milano 1929, pp. 1113 ss.; W. [E] Arslan, I Bassano, Bologna 1931; S. Bettini, L'arte di J. Bassano, Bologna 1933; R. Longhi, Calepino veneziano. Suggerimenti per J. Bassano, in Arte venera, II (1948), pp. 43 ss.; L. Magagnato, Mostra dei dipinti dei Bassano (catal.), Venezia 1952, passim; W. R. Rearick, The Burghley House 'Adoration' of J. Bassano, in Arte venera, XII (1958), pp. 97-200; R. Pallucchini, J. Bassano e il mamerismo, in Studies in the History of Art dedicated to W. E. Suida, London 1959, pp. 258-66; Id., Contributi alla pittura venera del Cinquecento, VII, Considerazioni su di un'opera tarda di J. Bassano, in Arte venera, XIII-XIV (1959-60), pp. 58-61; E. Arsslan, I Bassano, Milano 1960; Id., A painting by J. Bassano, in Bulletin of the Wadsworth Athenacum (1960), pp. 1 ss.; R. Pallucchini, La pittura venera alla mostra "Italian Art and Britain". Appunti e proposte, in Festschrift Eberhard Hanfstaengl, München 1961, pp. 13-84; W. R. Rearick, J. Bassano 1568-69, in The Burlington Magazine, CIV (1962), pp. 524-33; A. Ballarin, L'orto del Bassano, in Arte venera, XVIII (1964), pp. 55 ss.; Id., Osservazioni sui dipinti venez. del Cinquecento nella Galleria del Castello di Praga, ibid., XIX (1965), pp. 65-70; Id., Chirurgia bassanesca, ibid., XX (1966), pp. 112-36; W. Krönig, L'Ultima Cena di J. Bassano, in Arte in Europa, Milano 1966, pp. 551 -59; A. Ballarin, La vecchiaia di J. Bassano: le fonti e la crit., in Atti dell'Ist. ven. di sc., lett. ed arti, CXXIX (1966-67), pp. 151-93; E. Arslan, Due storie dell'Arca di Francesco e J. Bassano, in Antichità viva, VI (1967), pp. 3-7; A. Ballarin, J. Bassano e lo studio di Raffaello e dei Salviati, in Arte venera, XXI (1967), pp. 77-101; W. R. Rearick, J. Bassano's last painting, the "Baptism of Christ", ibid., pp. 102-07; A. Ballarin, Aggiunte al catalogo di Paolo Veronese e di J. Bassano, ibid., XXII (1968), pp. 43-46; W. R. Rearick, J. Bassano's later genre paintings, in The Burlington Magazine, CX (1968), pp. 241-49; A. Ballarin, Introduzione ad un catalogo dei disegni di J. Bassano, in Arte venera, XXIII (1969), pp. 85-114; S. J. Freedberg, Painting in Italy 1500-1600, Baltimore 1971, ad Indicem; A. Ballarin, Introduzione ad un catalogo dei disegni di J. Bassano, II, in Studi di storia dell'arte in onore di A. Morassi, Venezia 1971, pp. 138-51; Id., Un ritratto ineditodel Bassano, in Arte venera, XXV (1971), pp. 267-74; I. Smimova, Due serie delle 'Stagioni' bassanesche..., in Studi di storia dell'arte... A. Morassi, Venezia 1971, pp. 129-37; A. Ballarin, Introduzione ad un catalogo dei disegni di J. Bassano, III, in Arte venera, XXVII (1973), pp. 91-124; L. Borgo, J. Bassano's "Temptation of St. Anthony", in Burlington Mag., CXVII (1975), pp. 603-07; I. Smimova, J. Bassano i pozdnee Vozrozdenie v Venecii, Moskva 1976; J. Bialostocki, Le vocab. visuel de J. Bassano et son "stilus humilis". in Arte ven., XXXII (1978), pp. 169-73; L. Magagnato-B. Passamani, Il Mus. civ. di Bassano del Grappa, Venezia 1978, pp. 18-31; W.R. Rearick, Early Drawings of J. Bassano, in Arte ven., XXXII (1978), pp. 161-68; Id., J. Bassano and changingreligious imagery in the mid-Cinquecento, in Essayspresented to Myron P. Gilmore, II, Firenze 1978, pp. 331-43; L. Alberton Vinco da Sesso - F. Signori, Il testamento di J. Bassano, in Arte venera, XXXIII (1979), pp. 161-64; W. R. Rearick, Biblioteca dei disegni: Maestri veneti del Cinquecento, Firenze 1980, pp. 8 ss., 28-32; Id., in Tiziano eVenezia, Vicenza 1980, pp. 371-74; Id., The portraits of J. Bassano, in Artibus et Historiae, I (1980), pp. 99-114; V. Sgarbi, in Palladio e laManiera (catal.), Venezia 1980, pp. 51-99; L. Magagnato, in Da Tiziano a El Greco... (catal.), Milano 1981, pp. 164-79; T. Fomiciova, I dipinti di J. Bassano e dei suoi figli Francesco e Leandro nella collezione dell'Ermitage, in Arte venera, XXXV (1981), pp. 84-94; E. Bordignon Favero, La 'Pentecoste' di G. B. Volpato e il 'Lume serrato' di J. Bassano, in Atti e mem. dell'Acc. Patavina di scienze, lettere, ed arti, III (1980-81), pp. 53-82; R. Pallucchini, Aggiunte all'ultimo Bassano, in Ars Auro Prior Studia Ioanni BialostockiSexagenario Dicata, Warszawa 1981, pp. 271-77; W. R. Rearick, The 'Rape of the Sabines' asconceived by J. Bassano and executed by Francesco, in Per A. E. Popham, Parma 1981, pp. 83 92; R. Pallucchini, Bassano, Bologna 1982; V. Sgarbi, Gli affreschi di J. Bassano a Santa CroceBigolina, in Arte venera, XXXVI (1982), pp. 200-04; M. Muraro, Pittura e società: il Librodei conti e la bottega dei Bassano, Università di Padova, fac. di magistero, a. a. 1982-83, dispense ciclost.; E. Bordignon Favero-W. R. Rearick, Perla dataz. delle opere di J. D. a Enego, in Arte ver., XXXVII (1983), pp. 221 ss.; F. Rigon, Gli animalidi J. Bassano, Bassano 1983; W. R. Rearick, J. Bassano and Mannerism, in Cultura e società nel Rinascimento tra riforme e manierismi, Firenze 1984, pp. 289-311.