DAL LEGNAME, Giovanni Battista
Nacque a Padova da Leonardo, gentiluomo di quella città, probabilmente tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo. Era suo fratello il celebre Francesco Dal Legname, vescovo di Ferrara prima, di Feltre e Belluno successivamente, che "istette con papa Eugenio, ed ebbe grandissima condizione colla sua Santità", come narra Vespasiano da Bisticci (Vite di uomini illustri, a cura di P. D'Ancona ed E. Aeschlimann, Milano 1951, p. 142): nella sua ombra visse il D., dividendo con lui, seppure in tono minore, il favore papale.
Conseguito il dottorato in diritto presso il ginnasio patavino, dopo il marzo 1431 - e cioè successivamente all'elezione di papa Condulmer - dovette trasferirsi con Francesco presso la Curia romana, accumulando secondo quanto testimonia il Querini diverse cariche: fu infatti nominato canonico del duomo veronese, decano della cattedrale torcellana e, in seguito, di quella bresciana. Nel 1437 il D. era comunque "clericus Camere Apostolice", ruolo che rivestì ancora per l'intero anno successivo: con questa qualifica, l'11 nov. 1438, compare infatti tra coloro che parteciparono ai tumultuosi lavori della sesta sessione del concilio di Ferrara, allora in procinto di trasferirsi a Firenze. Nel luglio 1443 è a lui che venne conferito il vescovato di Concordia, resosi vacante per la morte, avvenuta l'11 del mese, di Daniele Scotto, tesoriere papale. Significativa la delibera adottata il 27 luglio dal Senato veneziano, che registrava la voce diffusa - "per ea que sentiuntur" - circa la volontà papale di concedere il titolo "uni fratri domini Francisci de Padua": sconosciuto in sé il futuro vescovo, contava il solo fatto della sua parentela con un potente personaggio della corte romana (Cenci-Piana, p. 380 n. 1). Il D. non dovette venir ordinato immediatamente, così come non dovette prendere subito possesso della diocesi che gli era stata affidata: era infatti vescovo semplicemente "electus" - e dunque non ancora consacrato - nel luglio del 1444, quando; il papa Eugenio IV, dopo averlo nominato nunzio ed oratore pontificio, lo inviava in Inghilterra (pur nominando il mandato anche Germania e Olanda, oltre ai regni britannici) assieme col protonotario apostolico e futuro vescovo di Coutances Giovanni Castiglioni, con l'incarico di raccogliere una decima straordinaria destinata a finanziare la lotta contro la montante e minacciosa marea ottomana; ciò in esecuzione dell'enciclica, di poco precedente, emanata dallo stesso papa nel tentativo di risuscitare uno spirito di crociata ormai da tempo languente. Nell'autorevole ruolo di collettore papale - mal mascherato da quello di generoso dispensatore di benefici, prebende e larghe indulgenze d'ogni tipo - al D. toccava lo scabroso compito di convertire in quieta accettazione un'imposizione che non giungeva affatto gradita al clero inglese, e in special modo alle comunità monastiche dell'isola sempre assai restie a piegarsi alle disposizioni romane. Umori ricalcitranti o aperta scontentezza, ma anche reali difficoltà economiche ed un'incerta situazione politica - un re appena uscito di tutela, la guerra con la Francia ancora perdurante, York e Lancaster ai primi scontri - impedivano un sostanzioso contributo inglese alla decima, come lamentò l'autorevole commissione - composta da Thomas Bekynton, segretario del re e vescovo di Bath, dall'abate di Gloucester e da quel "master" Vincent Clement negli anni seguenti tramite fra Londra e Roma - che s'incontrò col D. alla fine del 1444 per consegnargli i frutti della raccolta, 6.000 ducati appena, una grossa fetta dei quali dovuta, oltretutto, a regale generosità. Il D., tuttavia, mostrò di apprezzare lo sforzo, dichiarando alla commissione, in toni assai concilianti, di ben comprendere la natura delle difficoltà inglesi e mostrando anche l'assoluta certezza della comprensione pontificia (Concilia ..., p. 547). Mal gliene incolse: insoddisfattissimo del risultato conseguito dai suoi inviati il papa nel luglio 1446 rinnovò all'arcivescovo di Canterbury le disposizioni circa la decima. Conclusa in tal modo senza grande successo la missione, il 20 giugno 1445 il D., dopo aver ricevuto l'ordinazione episcopale, si insediava in Concordia: un ingresso solenne, coi signori di Cordovado conducenti per mano la mula del vescovo - "mulani altam pili nigri" - fino alla radura dinanzi alla cattedrale dove attendevano canonici e clero (Degani, 1924, p. 240).
Nei secoli precedenti, la sede concordiense aveva fruito di prestigio ed autorità notevoli nell'ambito del patriarcato di Aquileia, disponendo quel vescovo di un cospicuo patrimonio goduto a titolo feudale, nonché di ampia giurisdizione temporale oltre alla spirituale. Fra i secc. XIV e XV, però, la diocesi conobbe un periodo d'inarrestabile decadenza, dovuta a un lento immiserirsi del territorio provocato da epidemie, da guerre, da saccheggi e dal progressivo impaludamento dell'area intorno a Concordia. Né la conquista veneziana aveva potuto modificare la situazione. A rendere ancor meno appetibile la diocesi, si aggiungeva anche il fatto che essa era divenuta nodo di inestricabili conflitti giurisdizionali: da un lato il Comune di Concordia, in lotta per la conquista di una totale autonomia nei confronti del potere vescovile; dall'altro, il conflitto sordo tra vescovo e capitolo canonicale (che in Concordia deteneva la giurisdizione spirituale e temporale di pieve e ville annesse, con relativo godimento di beni), coi ripetuti tentativi vescovili di riappropriarsi delle prerogative capitolari.
Alla luce di questo conflitto vanno visti, come suggerisce il Cessi, episodi quali la strenua opposizione del capitolo al trasferimento della sede episcopale da Concordia a Portogruaro, trasferimento che, sancito da Martino V e revocato precipitosamente da Eugenio IV, veniva interpretato dal capitolo come sicura perdita dei propri privilegi; o quale la riedificazione del palazzo vescovile, effettuata dal vescovo D. a proprie spese nel 1444. Sempre alla luce di questo tenace scontro, il Cessi vede la celebrazione . del solenne sinodo generale, tenutosi il 4 ag. 1450 nel corso del quale furono promulgati dal D. gli statuti, "tam in spiritualibus quam in temporalibus", conclusione di un secolare lavorio tendente a redigere "un ordinamento giuridico disciplinato da norme di diritto" (Cessi, p. 127).
Compilati da dottori padovani e friulani in uno sforzo di rielaborazione organica della precedente statuizione e di sfrondamento di "multa et diversa scandala et erores" (Degani, 1883, p. 46), gli statuti si compongono di una parte civile e di una criminale, per un totale di duecentosettantacinque articoli, preceduti dall'elenco delle consuete quarantaquattro principali festività religiose annuali, durante le quali "iuditium non fiat nec in causis procedatur" (ibid., p. 47). Tra le norme penali sono da ricordare quelle contro i "maleficia" e i loro esperti, maghi e incantatori d'ogni tipo. Pene severe sono previste per i fornitori di mandragola, gli adulteri (ma se l'uomo paga un'ammenda, la donna "fustigata mittatur in monasterio", perdendo dote e donazioni), gli stupratori (per i quali è comminata la decapitazione); mentre sodomiti, incendiari e falsari finiscono direttamente sul rogo, scontando con la condanna più grave la pericolosità sociale del loro delitto, poiché, come è detto per i falsari, "crimen omnibus est nocivum".
Escluso quest'ampio lavoro di sistemazione giuridica, al quale lo stesso D. forse non fu estraneo vista la sua preparazione in materia, la sede concordiense non sembra aver impegnato di più e per molto tempo il suo presule, più felicemente occupato in incarichi curiali: si sa, ad esempio, che nel 1446 il D. esercitava le funzioni di luogotenente del tesoriere papale, che era, in quel periodo, il fratello Francesco: da questo, anzi, fu nominato proprio "suffraganeus" - cioè, coadiutore - in Ferrara, successivamente all'agosto 1446, data in cui il fratello aveva ricevuto quel vescovato, del quale però non aveva preso possesso. Di altre incombenze curiali parla la letteratura storica, ma di esse non si trova conferma nelle fonti coeve: come di una legazione "in Hispaniam" per conto di Niccolò V, condotta a termine, si dice, con buon successo (cfr. Scardeone, p. 133, O. Ughelli-Coleti, V, col. 363).
Singolari - stando alle scarne versioni in proposito - le circostanze della sua morte. Destinato nel 1455 a Venezia da Niccolò V per un'imprecisata missione diplomatica ("ad Venetos... cum maxima potestate itidem missus"), mentre partecipava ad un sontuoso banchetto, "retardato... sibi prae pudore ventris onere", si sentì male (Scardeone, p. 133). Trasportato in gran fretta a Ferrara, vi morì il 6 aprile dello stesso anno.
Il suo corpo venne sepolto in cattedrale, presso l'altar maggiore. Sulla tomba un epitaffio dettato dal fratello Francesco: "Qui quidem Hesperium legatus viderat orbem/hic Baptista iacet Francisci antistitis, illum/huc illexit amor fratris, quem Borsia patrem/ Ferraria observat, Concordia presule moesta est/ ammissum civem urbs Anthenoris inclita luget" (Guarini, p. 21). Generosi i legati testamentari del defunto vescovo: alla sacrestia della cattedrale di Concordia, circa 500 ducati in paramenti sacri, messali, oggetti di culto in argento, tappeti, candelabri, arazzi; 100 ducati al capitolo, per celebrare ogni anno delle messe "pro anima sua et remissione peccatorum eius" (Ughelli-Coleti, V, col. 363). Esecutore testamentario era stato nominato il fratello, che però, costretto, di lì a pochi giorni, a recarsi a Roma per la morte di Niccolò V, nominò suo procuratore il dotto canonico padovano Jacopo da Lionessa, uomo di legge ed umanista di discreta fama (cfr. N. Comneno Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, p. 224; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI,2, Modena 1790, pp. 621 s.). Il D. lasciò pure in eredità al capitolo (sempre "pro... anima") parte della propria biblioteca che, dal lascito di due preziosi codici alla patavina Congregazione dei canonici lateranensi di S. Giovanni in Verdara, s'indovina di gusto moderno e "umano": accanto all'Ethica Nicomachea e a varie operette di Agostino, figurano il De amicitia coi Paradoxa ciceroniani e il De vita solitaria, seguito da altri scritti petrarcheschi. Un notevole amore per la cultura e forse proprio per Petrarca, che il D. dovette condividere col fratello "assai bene litterato", il quale, racconta Vespasiano da Bisticci, si purgò dalle dissolutezze giovanili grazie alla lettura del Secretum (Vite..., p. 142). S'è già detto che soggiornò per incarichi curiali nella festosa e quietamente erudita Ferrara, terreno di fertilissima coltura umanistica egemonizzato - a fronte di decine di più o meno oscuri maestri e pedagoghi gravitanti sulla corte estense ad appagare la sete di istruzione della famiglia estense - dalle forti personalità del Guarino e dell'Aurispa. Con essi sicuramente il D. dovette essere in contatto, specie col Guarino, che era assai legato al fratello. Così, non si fatica ad immaginarlo nella ricchissima biblioteca pomposiana (cfr. G. Baruffaldi, Della biblioteca pubblica ferrarese. Commentario istorico, Ferrara 1782, pp. V s.): "Cura", gli scriveva infatti Francesco Barbaro, "ut illa vetus expositio Psalmorum, de qua mihi spem dedisti, ex abbatie illius Ferrariensis tenebris veniat in lucem" (Querini, p. 201; ed erano forse, sostiene lo stesso Querini, i Commentarii di s. Ilario di Poitiers che anche Tommaso Parentucelli, futuro Niccolò V, attendeva ansiosamente: ibid., p. CCCCXLIX). Allo stesso modo, si può agevolmente immaginare il D. a suo perfetto agio nella Curia romana, al seguito dei fratello "litterato" e nella ristretta cerchia d'amici del colto Eugenio IV, se è vero che quest'ultimo, come scrive Platina, "hebbe molto pochi familiari, ma huomini dotti" (B. Platina, Delle vite de' pontefici, Venetia 1565, c. 368v). Di tali contatti e della trama di studi che li incornicia, rimane sola testimonianza l'amicizia con Francesco Barbaro attraverso due, uniche superstiti, lettere che questi scrisse al vescovo di Concordia: l'una, del 23 ott. 1447, in cui lo ringrazia del sollecito invio d'un giureconsulto, accompagnato da un fratello del D. di nome Bernardino; l'altra, del 29 genn. 1452, ancora di ringraziamento per le congratulazioni da Battista fattegli in occasione della nomina a procuratore di S. Marco: ma stavolta sono righe affettuosamente velate dal ricordo dell'amico lontano ("... literas tuas, quae testes sunt mutui amoris nostri"; cfr. Querini, p. 201). Una terza lettera, del 6 maggio 1449, sempre diretta al D. dal Barbaro, è citata, ma non pubblicata, dal Sabbadini (p. 140).
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. dei Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3061/VII: Elenco di vescovi; Ibid., Mss. P.D. 286 c: Notizie varie su Concordia; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Lat. V, 14 (=2873), c. 271r; Mss. Lat. VI, 44 (=2846): Miscell., c. 141v; Ibid., Mss. Lat. VI, 85 (=2668): Miscell., c. 109v (su questo ed il precedente manoscritto, cfr. P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, pp. 221 s.; il D. vi è erroneamente indicato come "Bartholomaeus"); Concilia Magnae Britanniae et Hiberniae 446-1717…, a cura di D. Wilkins, III, Londini 1737, pp. 547 s.; A. M. Querini, Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolae, Brixiae 1743, p. 201; Appendix, pp. VI, 19 s.; Statuti civili e criminali della Diocesi di Concordia. MCCCCL, a cura di E. Degani, Venezia 1882, pp. 1-124; R. Sabbadini, Centotrenta lettere inedite di F. Barbaro, Salerno 1884, pp. 44-55; Calendar of entries in the Papal Registers relating to Great Britain and Ireland, Papal Letters, VIII, a cura di J. A. Twemlow, London 1909, pp. 291 ss., 305, 308; IX, ibid. 1912, p. 571; X, ibid. 1915, p. 27; Acta Cam. Apost. et civitatumVenetiarum, Ferrariae, Florentiae, in ConciliumFlorentinum, a cura di G. Hoffmann, s. A, III, 1, Roma 1950, pp. 12, 24 s., 31, 34-40, 42 s.; Fragmenta protocolli, Diaria privata, Sermones, a cura di G. Hoffmann, s. A, III, 2, Roma 1951, p. 17; C. Piana-C. Cenci, Promoz. agli ordinisacri a Bologna e alle dignità eccl. nel Veneto nei secoli XIV-XV, Florentiae 1958, p. 380, n. 1 (da correggere la collocaz. archivistica dei documento pubblicato, in quanto non è in Archivio di Stato di Venezia, Collegio Notatorio, r. 7, c. 102r, bensì, Ibid., Senato Terra, r. 1, c. 102r); B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii, Basileae 1560, p. 133; M. A. Guarini, Compendiohistorico dell'origine, accrescimento e prerogativedelle chiese, e luoghi pij della Città, e Diocesidi Ferrara, Ferrara 1621, p. 21; A. Portenari, Della felicità di Padova, Padova 1623, p. 397; G. F. Tomasini, Prodromus Athenarum Patavinarum ad cives Patavinos, Patavii 1633, c. 6v; Id., Bibliothecae Patavinae manuscriptae publicaeet privatae, Utini 1639, pp. 10 ss., 15 ss., 29-32; G. F. Palladio degli Olivi, Historie della Prov. dei Friuli, Udine 1660, pp. 27 s.; A. Liba nori, Ferrara d'oro imbrunito, II, Ferrara 1667, p. 97; G. Salomonio, Urbis Patavinae Inscript. sacrae et prophanae, Patavii 1701, p. 111; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra sive de episcopisItaliae…, II, Venetiis 1717, coll. 552 s.; V, ibid. 1720, col. 363; L. Schrader, Ferrariaeurbis descriptio et monumenta, in J. G. Graeve, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, VII, 1, Lugduni Batavorum 1722, p. 78; N. Comneno Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, II, Venetiis 1726, p. 168; A. M. Querini, Diatriba praeliminaris ... ad Francisci Barbariet aliorum ad ipsum epistolas, Brixiae 1741, pp. CCCCXLVIII s.; G. Degli Agostini, Notizieistorico-cronologiche intorno la vita e le operedegli scrittori veneziani, I, Venezia 1752, p. 239; G. A. Scalabrini, Memorie istoriche delle chiesedi Ferrara e de' suoi borghi, Ferrara 1773, p. 24; F. S. Dondi dall'Orologio, Serie cronologico-istorica dei canonici di Padova, Padova 1805, p. 109; G. Manini Ferranti, Compendio dellastoria sacra e Politica di Ferrara, III,Ferrara 1807, p. 108; A. Zambaldi, Monumenti storicidi Concordia ed Annali della città di Portogruaro, San Vito 1840, pp. 107 s., 218 s.; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia, IV,Venezia 1846, p. 136; X, ibid. 1854, pp. 449 ss.; D. Bertolini, Portogruaro, Origini e nome, in Archivio veneto, VIII (1874), p. 254; Id., Statuti della città di Concordia del 1349, in Arch. stor. ital., s. 5, I (1888), p. 147; E. Degani, La diocesi di Concordia, Udine 1924, pp. 155, 240 s.; P. Paschini, Lodovico cardinal camerlengo e i suoi maneggi sinoalla morte di Eugenio IV (1447), in Memoriestor. forogiuliesi, XXVI (1930). p. 42; Id., Lodovico cardinal camerlengo (†1465), Romae 1939, pp. 108, 234; G. Speranza [G. Lozer], La sede vescovile e il seminario a Portogruaro e a Pordenone, Pordenone 1945, p. 120; R. Cessi, Concordia dal medio evo al dominio veneziano, in Iulia Concordia dall'età romana all'età moderna, Treviso 1962, pp. 228, 230; Annuario della diocesi di Concordia, 1969, p. 20; A. Scottà, Storia portogruarese. La sede vescovile e il suo trasferimento, Portogruaro 1979, p. 60; C: Eubel, Hierarchia catholica…, II, Monasterii 1901, p. 149; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., XIII, coll. 422 s.