SEREGO, da
SEREGO (Sarego, de Seratico, de Saratico), da. – Famiglia che prese il nome dal castello e villaggio di Sarego, ubicato nel territorio vicentino ai margini occidentali dei colli Berici (alcuni chilometri a nord di Lonigo, non lontano dal confine con il territorio veronese).
Sin dalle prime attestazioni, i da Serego, che pure erano legati alla Chiesa episcopale vicentina, apparvero orientati anche verso Verona: Milo de Saratico fu vassallo del vescovo di quella città e gestì per suo conto, nel 1046, una permuta di beni con Cadalo, vescovo di Parma e futuro antipapa con il nome di Onorio II (ma già visdomino della Chiesa veronese e radicato patrimonialmente nel territorio fra Verona e Vicenza). Mezzo secolo più tardi, un Ottone de Seratico, comparve nel 1097, a Borgo San Donnino in Emilia, come testimone a un diploma di re Corrado (filoromano, in quel momento ribelle al padre, l’imperatore Enrico IV) che concesse un’esenzione a Folco d’Este (che con il fratello Ugo e il padre Adalberto Azzo II si era schierato con lui).
Il suo legame con la famiglia marchionale fu dunque stretto, ed è stato ragionevolmente ipotizzato (Castagnetti, 2001, p. 382) che dagli Estensi egli avesse ricevuto il castello di Serego; da ciò derivò presumibilmente la qualifica di capitanei che connotò i da Serego. Un Ottone da Serego, forse il medesimo del 1097, fu detto infatti capitaneus nel 1123 quando presenziò in Verona, a un placito del duca di Carinzia, insieme con tutta l’aristocrazia (d’ufficio e non) della Marca di Verona. Altrettanto prestigioso il parterre di un placito imperiale cui aveva presenziato nel 1116 a Padova.
A questi legami importanti Ottone (o il figlio omonimo) affiancò la condizione di fidelis del vescovo di Vicenza, attestata nel 1131, mantenendo nel contempo beni e relazioni in Verona (ove verso la fine del secolo XI Adelasia, figlia di Erizo da Serego, aveva sposato un Turrisendi).
Questa politica dei due forni fu seguita anche dalla generazione successiva; nel 1132 i figli di Leuterio da Serego, Ariprando e Alberto, con Uberto e Ottone II da Serego assoggettarono la Chiesa castrense al capitolo di Vicenza. Ottone comparve nel 1139-40 anche nella documentazione del capitolo veronese, e nel 1142 un Guiberto da Serego ottenne dal vescovo di Verona Tebaldo la conferma di alcune investiture decimali date a Ottone da Bernardo, il predecessore di Tebaldo.
Nel 1168, un Guarnerio da Serego era tutore dei figli di Alberto Tenca, autorevole esponente dell’élite consolare del Comune di Verona; nei decenni successivi, un altro da Serego, Odolrico, fu menzionato come proprietario di beni nell’area gardesana (a Bussolengo e Sandrà, 1197) e risulta comunque implicato nella vita politica veronese, visto che nel 1201 sollecitò (per conto di Briano da Castelbarco, vassallo del vescovo di Trento ma alleato del Comune di Verona) il vicentino Rubeo da Breganze a occupare militarmente Trento.
Nel periodo delle lotte di fazione, almeno una parte dei da Serego sembrava concentrata piuttosto sull’esercizio dei diritti signorili nell’area di radicamento e sui rapporti con Vicenza, gravitando comunque sulla pars Marchionis. Come riferisce il cronista Gerardo Maurisio (Gerardi Maurisii Cronica..., a cura di G. Soranzo, 1914, p. 10), nel 1204 un loro esponente, Andrea da Serego, fu ucciso in combattimento «proeliando pro illis de Castignonculo et illis de Monticello» (due famiglie signorili dell’area; questa seconda, di livello capitaneale e titolare per qualche tempo dell’avvocazia dell’episcopio vicentino) contro i conati antiaristocratici del Comune di Lonigo. Nel 1213 Alberto da Serego fu presente a Ferrara al codicillo del giudice vicentino Pilio di Vincenzo. Un altro da Serego invece, Federico figlio del sopra menzionato Odolrico, cedette nel 1228 i suoi diritti sul castello di Sarego e su altri luoghi, compresi i diritti di giurisdizione. I diversi rami fecero dunque probabilmente scelte diverse, che allo stato attuale non è possibile seguire nei particolari.
Anche nella seconda metà del Duecento i da Serego agirono tra la loro base signorile ai margini dei colli Berici – ove consolidarono i rapporti con il convento di S. Eusebio di Sarego (Gerardo del fu Pietro, 1279), esercitarono collegialmente il patronato sulla chiesa di S. Maria di Serego e si accaparrarono una parte dei beni incolti della vicina località di Meledo (1296) – e Vicenza. In questa città ebbero case nella zona di San Francesco, ma erano (secondo lo Statuto del 1311) nel novero dei cives aristocratici autorizzati a risiedere nei castelli. Si distinse in quel torno di tempo Giordano (da Serego, fideiussore negli anni Ottanta con un Antonio) per i debiti che il Comune cittadino contrasse nei confronti degli Scrovegni, ma soprattutto protagonista nel 1291 di un clamoroso episodio che ebbe larga eco cronistica a Vicenza (Nicolò Smereglo, Ferreto de’Ferreti) e che testimoniava la sopravvivenza presso i da Serego di attitudini di insopprimibile, tradizionale violenza aristocratica. Per vendicare il conte Beroardo Maltraversi, suo cognato, protagonista di una (probabile) rivolta contro l’oppressione padovana su Vicenza, Giordano fece infatti irruzione con i suoi armati nella piazza del Comune cittadino; ma finì a sua volta giustiziato. Ancora attorno al 1310-11, inoltre, alcuni da Serego uccisero un Enrico di Meda e furono banditi, per essere poi prosciolti dal bando grazie a un provvedimento ad hoc di Enrico VII, dato durante l’assedio di Brescia (18 agosto 1311; Henrici VII. Constitutiones, a cura di I. Schwaln, IV, 1, 1906, p. 624, n. 655).
Fra Due e Trecento, con la Signoria scaligera (cui Vicenza fu soggetta dal 1311) fu trovato da parte dei da Serego un modus vivendi senza eccessivo coinvolgimento, forse in conseguenza della radicata tradizione ‘guelfa’ e filoestense della casata. I rapporti con Verona sembrarono inizialmente limitati al rinnovo delle investiture decimali di Mezzane e Lavagno (a Enrico detto Marasso da Serego, 1296). Nel 1323 il vescovo filoscaligero di Vicenza rinnovò comunque l’investitura di 1/3 dei diritti di piccola giurisdizione (iura et maringancie) ad Andrea e Uguccione Filippo del fu Filippo da Serego e i diritti di decima su Sarego e Meledo. Alcuni da Serego investirono anche nel lanificio, allora agli albori in Vicenza.
I rapporti con Verona mutarono decisamente nella seconda metà del secolo, e quella dei da Serego è una delle tante testimonianze del lungo crepuscolo dell’aristocrazia signorile vicentina, che progressivamente abbandonò i castelli del contado e si orientò definitivamente al mondo urbano. Nel 1357 la consorteria dei da Serego appare suddivisa in tre ‘colonelli’ o linee di discendenza (quello dei ‘de Marassis’, quello dei della Costa, quello dei della Porta); è ormai innescato un ménage à trois tra i signori, il Comune rurale e il governo cittadino.
In tale data, agli occhi dei rappresentanti del Comune di Sarego che ricorrono al Comune cittadino i da Serego, «consortes dicte ville», appaiono ancora come una «antiqua domus et nobilis», «homines magni et potentes in villa de Seratico et circumstantibus», «potentes amiciciarum et personarum et amicorum» (Varanini, 2005, p. 584). «Tanta est et fuit nobilitas et potencia suprascriptorum», che hanno occupato «omnem iurisdictionem marigantiam et honorem spectantem dicto comuni et hominibus de Seratico [...] pro libito voluntatis sue» (ibid.). Ancora nel 1384 il Comune di Serego fu costretto a cedere «per vim» (Mantese, 1982, p. 676) a Simone da Serego alcune sue prerogative.
Il salto di qualità, che condusse i da Serego a un ruolo più incisivo e appariscente nella vita politica e militare della regione veneta (e non solo in essa, almeno per qualche tempo), si ebbe negli anni Sessanta e Settanta, verosimilmente in conseguenza dell’attenzione con la quale Cansignorio Della Scala (1359-75) investì nel consolidamento dei rapporti con l’élite vicentina e nella costruzione di uno Stato ormai non più che ‘bicefalo’ (Verona e Vicenza con i relativi distretti), dopo i fallimentari esiti dell’espansione regionale e sovraregionale promossa da Cangrande I e Mastino II.
Diversi rami dei da Serego strinsero ora i rapporti con Verona. Piosello di Paolo da Serego, giurisperito nel 1363 deputato ad utilia del Comune di Vicenza, nel 1369 risiedeva sulle rive dell’Adige (forse già nella contrada di San Fermo e San Andrea, poi stabile sede della casata) e fu teste a un importante atto pubblico il 16 luglio 1369, con i più stretti collaboratori di Cansignorio Della Scala (Azzo da Sesso, Guglielmo Bevilacqua). Nel 1375 fu inoltre testimone al testamento di Cansignorio; ma si trovò forse a disagio nell’entourage dei nuovi signori, Bartolomeo II e Antonio, e nel 1379 risulta trasferito in Lombardia, ove fu vicario di provvisione di Giangaleazzo Visconti. Piosello, che nel 1384 aveva ottenuto anche la cittadinanza veneziana de intus, fu capostipite di un ramo lombardo dei da Serego (denominato erroneamente de Seraticho nella storiografia contemporanea) che espresse nella prima metà del Quattrocento uomini d’arme e funzionari come Gabriele di Piosello, castellano di porta Giovia a Milano (1416), e Niccolò e Leonardo, padre e figlio, castellani di Pavia; ma anche nella generazione successiva un umanista, Niccolò di Leonardo, e altri castellani. Nel 1401, il ramo di Piosello risultava aver ceduto i diritti sulla villa di Serego al ramo rimasto stabilmente in Veneto.
Dal 1364 erano attivi a Verona Bonifacio e Antonio del fu Uguccione da Serego, che anche a nome di Filippo e Giordano da Serego, e del tutore di Iacopo e Pietro del fu Corrado da Serego – «omnes de progenie et parentella nobilium de Seratico» (Varanini, 2007, p. 600) – ricevevano la conferma delle investiture decimali da Giovanni Sordi, il vescovo di Vicenza che risiedeva a Verona. Fu soprattutto Bonifacio, del colonnello dei Marassi, a stringere in modo incisivo i rapporti con la società locale grazie ai matrimoni di due sorelle con l’autorevole giudice Alberto della Legge (presso il quale Cortesia, suo figlio, si addestrò come paggio; l’altro figlio, Bonifacio, ne fu esecutore testamentario) e con Benedetto da Malcesine, uomo di corte presso Cansignorio. Tra il 1377 e il 1380 Cortesia di Bonifacio acquistò dalla fattoria scaligera la possessione di Meledo, ceduta da «tri soy çermani cosini» degli altri rami (ibid., p. 601), evidentemente in difficoltà economiche. Nel 1381 suo fratello Simone da Serego «habitat in Suape» (Soave, al confine veronese/vicentino). Conseguenza del consolidamento economico di questo ramo dei da Serego fu infine la richiesta di cittadinanza veneziana de intus da parte di Bonifacio da Serego, allo scopo di poter acquistare titoli del debito pubblico, secondo una prassi diffusa tra le élites italiane in quegli anni; e anche Cortesia qualche anno più tardi (1386) consegnò oltre 2000 ducati a Gabriele Emo «ad operandum et mercandum» (Biadego, 1903, p. 21).
Cortesia da Serego, in particolare, ebbe stretti rapporti con Antonio Della Scala (1381-87), del quale fu definito cugnatus (ma il rapporto di parentela non è documentato). Fu sospettato di esser complice del giovane signore di Verona nell’assassinio del fratello maggiore e cosignore Bartolomeo, nel 1381: sospetti alimentati dalle cospicue donazioni di beni della fattoria scaligera che Antonio gli elargì tra il 1381 e il 1382, e tra di essi anche una «domus magna» a Vicenza in contrada Piancole. Nel 1383 Cortesia sposò Iacopa Bevilacqua-Lazise, appartenente a una famiglia mercantile in ascesa; la sua carriera politica non ignorò il versante diplomatico (è probabile una sua legazione presso Gian Galeazzo Visconti), ma piegò poi sul versante militare e, dopo una prima positiva prova, fornita con una campagna contro Siccone da Caldonazzo e i da Beseno in Valsugana e nelle Prealpi tra Vicenza e la Vallagarina (1385), Cortesia fu designato capitano generale dell’esercito scaligero (veronese e vicentino; di Popolo e di professionisti salariati) in vista della guerra contro Francesco da Carrara, il Vecchio, nel 1386.
Prima della campagna militare, fece testamento (8 maggio 1386), stabilendo la propria sepoltura nella chiesa domenicana di Verona (S. Anastasia) e l’erezione di una cappella in quella omologa di Vicenza (S. Corona). Eredi universali furono il figlio Bonifacio e un nascituro, poi chiamato Cortesia junior; tutori, la moglie, il fratello Simone e due nobili vicentini.
Catturato dopo la sconfitta subita alle Brentelle presso Padova (25 giugno 1386), Cortesia fu incarcerato per un anno e si riscattò con ben 9000 ducati, da pagarsi all’arrivo sul territorio estense ove fu obbligato a recarsi; ma morì durante il trasferimento a Ferrara e fu poi sepolto a S. Anastasia (ma provvisoriamente, come si dirà). La moglie seguì Antonio Della Scala nell’esilio veneziano, per giunta finanziandolo. I beni veronesi dei da Serego furono almeno in parte venduti e/o confiscati. Ma Simone, il fratello, mantenne una solida posizione presso Gian Galeazzo Visconti, ora al potere in Verona e Vicenza, tanto che ottenne, nel 1389, dal Comune vicentino l’autorizzazione a predisporre una sepoltura per sé e per i suoi discendenti, nonché una decorazione pittorica, nella chiesa di S. Vincenzo ubicata nella piazza principale di Vicenza (ove attualmente si trova l’arca di lui, morto post 1401, e quella del figlio Gentile, morto post 1423). Per la sorella Cunizza, infante nel 1393, fu combinato un matrimonio con Marsilio Cavalcabò.
Anche la posizione economica e sociale della discendenza di Cortesia – assicurata da Cortesia junior (Bonifacio morì ante 1424) che nel 1404, diciottenne, partecipò al tentativo di restaurazione scaligera in Verona compiuto da Guglielmo Della Scala con l’appoggio carrarese e fu armato cavaliere nell’occasione – non subì scosse.
Nel 1402-03 il suo asse ereditario era debitore di ben 12.000 fiorini alla tesoreria viscontea, ma la somma fu anticipata dal banchiere Antonio Maffei e garantita da illustri fideiussori veronesi e vicentini (Maffei, Bevilacqua, Guarienti, da Quinto, e soprattutto da Thiene).
Cortesia junior, che a Verona risiedeva presso San Sebastiano (in una dimora di prestigio, ove nei primi anni Trenta fece eseguire lavori consistenti allo scultore Pietro Lamberti), figura infatti sin dal 1409 nel Consiglio del Comune, per conto del quale svolse un ruolo di rappresentanza nel 1423 al momento dell’elezione del nuovo doge, Francesco Foscari; nel 1434 fu nominato conte da Sigismondo d’Asburgo. In questo contesto ben si inserisce la sua prestigiosa committenza artistica nella chiesa domenicana di S. Anastasia (della quale fu dal 1428 uno dei nove fabricatores); nel testamento del 1429, rivedendone uno precedente del 1424, deliberò la costruzione di un’arca scolpita in onore del padre (ancor oggi esistente) e successivamente l’esecuzione di un’ancona (perduta) per l’altar maggiore (1440). Il fatto che egli abbia acconsentito tardi e di malavoglia alle richieste dei domenicani vicentini del convento di S. Corona, che rivendicarono da lui l’adempimento degli impegni previsti dal testamento di Cortesia senior (1386), indica che ormai gli interessi di questo ramo dei da Serego si erano spostati definitivamente su Verona.
Nel corso del Quattrocento e del primo Cinquecento, i da Serego di Verona – residenti nelle contrade di San Andrea e San Fermo, divenute loro sedi definitive (in precedenza, anche San Quirico oltre a San Sebastiano), distinti in due rami – mantennero una solida posizione sociale, conducendo un’accorta politica matrimoniale (stringendo ad esempio legami con i Gambara bresciani e i da Sala milanesi). Sul piano patrimoniale, le loro fortune erano basate sugli estesissimi possessi fondiari concentrati nella parte orientale del distretto veronese, nella pianura tra l’Alpone, il Guà e l’Adige (Beccacivetta, Coriano, Cucca, Cavalpone, Miega, Rivalta, Albaredo d’Adige, ove esercitavano anche i minori diritti giurisdizionali e detenevano taluni giuspatronati) e in minor misura in collina.
Più avanti nel tempo, nei decenni centrali del Cinquecento, un’ulteriore valorizzazione del patrimonio fondiario, con avvio di iniziative di bonifica in pianura, fu opera di Marcantonio Serego di San Fermo, figlio di Brunoro (di Antonio Maria di Pandolfo di Cortesia II) e di Massimilla Martinengo, che tra l’altro ingaggiò Palladio per il progetto di una villa a Santa Sofia di Valpolicella. Marcantonio sposò Ginevra Alighieri (1549), con la quale si estinse la linea dei discendenti veronesi di Dante; suo figlio Pieralvise ereditò dal canonico Francesco Alighieri le sostanze familiari, con l’obbligo di mantenere il cognome, e iniziò così la linea Serego Alighieri. Conservarono invece il cognome Serego gli altri figli di Antonio Maria, Bonifacio e Alberto (con i figli Antonio Maria e Federico). Anch’essi furono forse in contatto con Palladio.
Nelle generazioni successive, ad esempio, Ludovico di Bonifacio Serego fece una buona carriera ecclesiastica tra fine Cinque e inizi Seicento (governatore nello Stato pontificio, nunzio in Svizzera, vescovo di Adria), ma nel complesso i Serego e i Serego Alighieri non espressero nei secoli XVII e XVIII grandi personalità (oltre a contrarsi come numero dei fuochi). Anche nella generazione vissuta fra Sette e Ottocento, Federico Serego Alighieri (1766-1846) è noto più che altro per il matrimonio con la contessa (di sentimenti liberali) Anna da Schio, dal quale nacque Maria Teresa (1819-1881) sposata all’archeologo bolognese Giovanni Gozzadini, e Piero (1815-1872), deputato al Parlamento e padre di Dante Serego Alighieri (1843-1895), sindaco di Venezia negli anni 1880-89.
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