Da Giulio Cesare Gigli a Luigi Lanzi
Le opere del Lomazzo ebbero una notevole risonanza ben al di là dei confini della cultura lombarda, in cui erano tanto radicate, divenendo assai familiari alla letteratura artistica anche dell’Europa settentrionale. Ed esse rimasero ben presenti (magari attraverso la chiave d’accesso dei loro ricchi indici: cfr. Le tavole del Lomazzo, 1997) alla coscienza culturale italiana ed europea anche dopo l’esaurimento del periodo manierista: è, per es., significativo che ne dipenda per certi versi strettamente la Pittura trionfante (1615) di Giulio Cesare Gigli (1570 ca.-1640 ca.).
Il Trattato (uscito quattro volte tra il 1584 e il 1585) fu ristampato nel 1844, ed è importante segnalarne la precocissima traduzione inglese (1598) e quella francese (limitata al I libro, e merito di Hilaire Pader), del 1649.
Nel 1753 The analysis of beauty di William Hogarth rimetteva il vecchio nome del Lomazzo al centro del dibattito estetico europeo (e l’Idea del Tempio della pittura fu ristampata a Roma nel 1785). Nel clima esplicitamente ‘neomanierista’ che caratterizzava il rococò al suo apice, il mito della figura serpentinata diventava così un topos-chiave, di cui tracciare la seguente fortuna internazionale:
Molti scrittori, da Lomazzo in poi, hanno coll’istesse parole raccomandato l’osservanza di questa regola ancora, senza comprenderne il significato. Imperciocché, seppure non si sapeva sistematicamente tutta l’importanza della grazia, non era intelligibile (W. Hogarth, The analysis of beauty, 1753; trad. it. 1761, p. 8).
Dal punto di vista, retrospettivo, di Hogarth è possibile ricostruire la diffusione della «linea della bellezza» codificata da Lomazzo. Se Peter Paul Rubens indugia in «troppo arditi e gonfi serpeggiamenti», Pietro da Cortona, invece, «formò di questa linea un bellissimo gusto ne’ suoi panneggiamenti». Ma l’apice della linea serpentina va cercato ancora al culmine del Rinascimento: «Non veggiamo meglio inteso questo principio che in alcune pitture del Correggio».
Mezzo secolo dopo, il rifondatore della storia dell’arte italiana Luigi Lanzi (Montecchio 1732-Firenze 1810) non leggeva più il Lomazzo come trattato di estetica, ma come preziosa (ancorché farraginosa) fonte storica direttamente collegata al Rinascimento maturo in Lombardia:
I suoi trattati […] ridondano non pur di notizie istoriche interessanti, ma inoltre di ottime teorie udite da que’ che conobbero Leonardo e Gaudenzio, di giuste osservazioni su la pratica de’ migliori maestri, di molte erudizioni circa la mitologia e la storia e gli antichi costumi. Preziose specialmente sono le sue regole di prospettiva compilate da’ manoscritti del Foppa, dello Zenale, del Mantegna, del Vinci, oltre le quali ci ha conservato pure dei frammenti di Bramantino che fu in quest’arte spertissimo. Per tali cose, e per certa andatura di scrivere, se non piacevole come quella del Vasari, non geroglifica almeno come quella dello Zuccaro, né volgare come quella del Boschini, è il trattato del Lomazzo (Storia pittorica della Italia, 1795-1796, ed. 1962-1974, 2° vol., p. 317).