D'ENRICO, Antonio, detto Tanzio da Varallo
Figlio di Giovanni il Vecchio del "Riale di Alagna" in Valsesia (cfr. in questo Dizionario la voce D'Enrico, famiglia), se ne ignora la data di nascita, ma è logico pensare che non sia troppo lontana dal 1580, se nel 1600 egli risulta sufficientemente formato per essere considerato "artifex" (se non diversamente indicato, per i documenti si veda Galloni, 1914); sembra certo comunque che la nascita non possa superare il 1582 (Tioli, 1939, p. 242). Nelle "literae testimoniales de probitate artificum qui intendunt peregrinare", concesse dal propretore della Valsesia Fulvio Visconti al D. e a suo fratello Melchiorre in procinto di partire per Roma (11 febbr. 1600), si dichiara che ambedue sono "iuvenes bonae vocis, conditionis et famae" e che il loro viaggio viene effettuato "gratia honestis laboribus et arte sua querendi victus et visitandi limina sanctarum ecclesiarurn urbis Romae pro consequendis indulgentis" (Tioli, 1939, pp. 351 s.). A il primo documento scritto riguardante il D. e purtroppo nulla è emerso finora circa l'effettiva durata del viaggio, il percorso seguito e la eventuale attività romana dei due fratelli; solo di recente si è potuto accertare che il ritorno di Melchiorre precedette di almeno un decennio quello del D. (Melchiorre è verosimilmente citato con l'altro suo fratello Giovanni, a Varallo, in una lettera del vescovo di Novara Carlo Bascapè del 14 sett. 1607: Stefani Perrone, 1984). Per quanto riguarda il soggiorno fuori patria del D., che dovette terminare entro il 1616, alcune opere sono state identificate dagli storici dell'arte negli ultimi quarant'anni, ma molto si dovrà ancora recuperare trattandosi di ricostruire l'attività di un pittore, di eccellente livello, dai venti ai trentacinque anni di età. Presenta, ad esempio, forti caratteri tanzieschi un'Estasi di s. Francesco del Musée des Beaux-Arts di Rouen che potrebbe aprire la serie delle opere romane del Tanzio (catal. della mostra Seicento, Parigi 1988-89, n. 60).
Al momento attuale le attribuzioni indiscusse sono le seguenti: una grande pala ex voto con al centro l'effigie della miracolosa Madonna del Colle nella collegiata di Pescocostanzo (provincia dell'Aquila), che per tradizione risale al 1617 (Longhi, 1943, p. 30; una Circoncisione nella parrocchiale di Fara San Martino, in provincia di Chieti (Bologna, 1953, p. 41); quattro frammenti di una Pentecoste, con un santo vescovo in basso a sinistra, e forse un santo monaco a destra, utilizzati da un restauratore in epoca imprecisabile per allargare tre tele seicentesche nella sala capitolare di S. Restituta a Napoli (il Previtali, 1969, pubblica solo tre frammenti, trascurando quello con la mano di un santo monaco). La successione cronologica di tali opere corre in direzione contraria rispetto alla loro comparsa nell'ambito degli studi. La presenza in Campania e in Abruzzo di opere autografe dei D. databili al secondo decennio del secolo esclude che si riferisca al D. stesso un documento valsesiano che lo indicherebbe presente a Varallo il 13 genn. 1611. Si tratta di un omonimo, come fa sospettare anche la diligenza con cui il notaio Bartolomeo Peterro ne elenca i soprannomi, quasi a sottolineare che non corrisponde a un membro della famiglia D'Enrico di Alagna per la quale aveva stilato altri atti notarili il 7 luglio 1600 e il 6 luglio 1608, senza perdersi in simili dettagli, anzi comportandosi con molta disinvoltura.
La certezza della presenza del D. in patria si ricava da un appunto del cardinale F. Taverna in visita pastorale al Sacro Monte di Varallo il 14 sett. 1617 (Galloni, 1914, p. 261; la Tioli, 1939, p. 359, indica invece la data del 7 ottobre). In tale occasione il visitatore vide in corso di affrescatura, e quasi finita, la cappella della Prima presentazione di Cristo a Pilato (XXVII), dovuta al D. per gli affreschi e al fratello Giovanni per le statue.
Forse un termine post quem per il rientro da Roma potrebbe ricavarsi dal fatto che non sia stata data attuazione al contratto del 14 ott. 1614 con G. Caccia (detto il Moncalvo) per la cappella di Pilato che si lava le mani (XXXIV), affrescata invece dal D. subito dopo la cappella XXVII.
Un altro riferimento cronologico accertato, l'ante quem del 1616 per la pala con S. Carlo tra gli appestati nella collegiata di Domodossola (Rosci, 1958, p. 149), è reso in qualche misura meno determinante dai dubbi espressi autorevolmente circa l'appartenenza di quella pala al corpus autografo del D. (Borea, 1974, p. 52 n. 27; Testori, 1984, p. 561, che riferisco" no un'opinione negativa di Roberto Longhi).
La visita del cardinale Taverna, già citata, costituisce un punto di riferimento cronologico anche per la cappella di Pilato che si lava le mani (XXXIV) ancora "rudis sine pictura", ma le cui statue "nune fabricantur", nel 1617. A verosimile che tale cappella venisse terminata in breve giro di anni, e che a quei lavori alluda un inventario del 24 maggio 1624 accennando al D. "nel tempo che dipingeva sul Sacro Monte". La terza cappella del D. al Sacro Monte di Varallo (la XXVIII, con Cristo presentato ad Erode) è databile quattro anni più tardi, perché ancora in corso di esecuzione al momento della visita pastorale del vescovo Giovan Pietro Volpi, il 22 ag. 1628.
L'uso delle visite pastorali come strumenti di controllo cronologico per i lavori a Varallo (Galloni, 1914) è stato ripreso con importanti risultati per le opere su tela (Rosci, 1958): la Madonna del rosario già nella parrocchiale di S. Cristina presso Borgomanero, purtroppo rubata nel 1971, fu eseguita tra il 1617 (visita Taverna) e l'11 giugno 1626 (visita Volpi) e un arco analogo di tempo è delimitabile per la Visitazione nella parrocchiale di Vagna (tra il 1616 e il 28 luglio 1627). Si può essere più precisi sul conto della Processione del sacro chiodo in S. Lorenzo a Cellio, perché il vescovo Volpi vide la tela del D. in una cornice ancora da indorare il 5 sett. 1628 e, per altra via, sappiamo che per la relativa cappella di S. Carlo vi fu un lascito nel 1626 e che la cornice della pala venne terminata, nella parte strutturale, entro il luglio del 1628 (S. Carlo..., 1984; Testori-Stefani Perrone, 1985, p. 217). Nel donatore della pala di Cellio è stato riconosciuto il personaggio che, in età giovanile, era stato ritratto dal D. in un dipinto ora nella Pinacoteca di Brera a Milano (Rosci, 1958, p. 153).
La fortuna dei D. nella diocesi novarese culminò il 19 febbr. 1627 con il contratto tra il pittore e Ottavio Nazzari per la decorazione ad affresco della cappella dell'Angelo custode in S.Gaudenzio a Novara, terminata nel 1629; la data e la firma sono segnate nella parte interna del pilastro di destra (Viglio, 1922). Questo capolavoro novarese aprì al D. il mercato artistico di Milano, dove gli furono commissionate la decorazione ad affresco della terza cappella a destra in S. Antonio dei teatini e della volta del coro in S. Maria della Pace degli zoccolanti. Va aggiunto all'attività lombarda dei pittore un rovinatissimo affresco strappato, col Crocefisso tra i ss. Barnaba, Ambrogio e donatori, già nella chiesa della Vittoria a Parabiago e ora nell'ospedale Antonini di Limbiate (Gatti Perer, 1966). Le imprese di Milano e di Parabiago sono con tutta probabilità successive alla peste del 1630, anno in cui il D. e la moglie "Maria de Perello q. Antonini de Alagna" sono documentati a Varallo, dove era più facile sfuggire al contagio.
Le date certe per gli ultimi anni di attività sono riassumibili nella seguente successione. Post 1628: Pala di Ognissanti nella parrocchiale di Fontaneto d'Agogna (Novara) e pala già nell'oratorio di Sabbia e ora nella Pinacoteca di Varallo Sesia (Rosci, 1958, pp. 154 s.); 1631: S.Rocco, datato, già nella parrocchiale di Camasco e ora presso la Pinacoteca di Varallo; post 28 sett. 1632: inizio dei lavori ad affresco per la cappella della famiglia Gibellini, dedicata a s. Francesco, nella collegiata di Borgosesia. Tale ciclo sarà portato a termine dal fratello del D., Melchiorre, in base a una concessione del vescovo di Novara datata 29 ott. 1633, da cui risulta che il D. era nel frattempo defunto (Debiaggi, 1976-1977, pp. 89 s.).
Sul tracciato cronologico definito da Galloni (1914), Tioli (1939-40) e Rosci (1958) si è innestata la mostra monografica curata dal Testori nel 1959, e il relativo catalogo resta a tutt'oggi l'intervento critico più convincente sul grande pittore di Alagna. Non appartengono al D. le opere meridionali attribuite dal Calvesi (1967) e dal Rotili (1981), né possono essere accettate altre proposte in suo favore: il S. Giovanni decollato, esposto alla mostra del barocco piemontese (A. Griseri, Pittura [catal.], Torino 1963, p. 50), e il ritratto di Giovan Battista Caccia, in collezione privata (Testori, 1984), vanno restituiti all'ambito dei Della Rovere, mentre il Ritratto femminile passato in un'asta milanese (G. Testori, in Paragone, XXVII [1976], 317-319, pp. 144-146), risponde meglio ai caratteri di Daniele Crespi, come aveva già precisato Longhi nel 1922.
Altre attribuzioni più pertinenti, ma probabilmente legate alla collaborazione con il fratello Melchiorre, sono discusse nella voce dedicata a quest'ultimo in questo Dizionario.
Al punto attuale delle ricerche resta ancora da risolvere un buon numero di problemi che qui vengono richiamati in successione cronologica. Sarà necessario immaginare gli inizi del D. a ridosso del grande affresco lasciato dal fratello Melchiorre sulla facciata della parrocchiale di Riva Valdobbia (Vercelli), nel 1597; è già stato segnalato come tale affresco sia sostanzialmente un centone di citazioni da incisioni nordiche di gusto romanista che possono aver agito in modo determinante sulla memoria figurativa del D., fino a determinarne la costante propensione per certo esibizionismo muscolare, anche in anni ormai caravaggeschi (Romano, 1982).
Per il viaggio romano occorrerà tener conto del fatto che, al momento dell'arrivo nella capitale, i fratelli D'Enrico possono aver trovato un primo lavoro nelle numerose imprese decorative favorite da Clemente VIII per il giubileo, non certo nella limitatissima area di mercato concessa al Caravaggio. L'iniziativa maggiore era la decorazione del transetto di S. Giovanni in Laterano e qui, soprattutto nel grande affresco con Costantino che offre doni al papa, di Giovanni Baglione, sembra di poter riconoscere alcune tipiche invenzioni scenografiche, decorative e di costume comuni ai due fratelli D'Enrico dopo il loro ritorno da Roma. La collaborazione con il Baglione può aver agevolato il successivo accostamento al Caravaggio, tanto più che il D. sembra ricordare nella Battaglia di Sennacherib per la cappella Nazzari in S. Gaudenzio a Novara la grande e famosa (oltre che famigerata) Resurrezione del Baglione per la chiesa romana del Gesù. È parallela a certi esiti del D. appena tornato al Nord la pala di Mao Salini per S. Agostino a Roma, e si tratta anche in questo caso di un accolito del Baglione compromesso con il caravaggismo in data molto precoce. Un'altra esperienza romana che sembra aver contato per la futura attività del D. fu la rivelazione di Rubens, in S.Maria in Vallicella, nelle cui opere dovette apparire chiaro al D. come si potesse adeguare alla moderna libertà pittorica italiana la formazione nordica, ben nota in casa D'Enrico attraverso le incisioni del Goltzius e di altri.
Nessun dubbio può sorgere sui frammenti del D. identificati a Napoli, ma occorrerebbe oggi saper cogliere quanto la sosta napoletana lo abbia coinvolto sotto il profilo stilistico; un punto di partenza potrebbe essere l'attribuzione al D. di un S. Gennaro di collezione privata che va piuttosto accostato a Louis Finson e a Filippo Vitale, in prossimità della sua pala in S. Nicola alle sacramentine di Napoli, per qualche verso tanziesca (E. Borea, Considerazioni..., in Boll. d'arte, LVII [1972], p. 156; Leone de Castris, 1982, p. 58).
Problemi non diversi pone la Circoncisione di Fara San Martino, mentre comporta qualche apparente difficoltà la data tradizionale (1617) della pala di Pescocostanzo. Stilisticamente è in effetti contemporanea agli affreschi della cappella XXVII al Sacro Monte di Varallo, con la Prima presentazione di Cristo a Pilato (1616-1617), e non è quindi da escludere un invio a Pescocostanzo dalla Valsesia, attraverso il canale tradizionale della colonia lombarda in Abruzzo.
A sicuro l'ante quem del 1616 per la pala con S. Carlo tra gli appestati di Domodossola e la si dovrebbe pertanto accettare come quasi contemporanea alle opere di Pescocostanzo e di Varallo, ma lo stile non è del tutto omogeneo, per arcaismi di composizione e di esecuzione e per una controllata misura espressiva che il D. non rivela in alcuna altra occasione. L'esclusione dal corpus autografo della pala di Domodossola è un passo forse eccessivo (Borea, 1974, pp. 50 s.), ma occorrerà esplorare proposte di spiegazione che riescano a superare l'evidente incongruenza stilistica con le opere contemporanee. (1 si trattò di un caso per noi attualmente insolubile di collaborazione ad alto livello (con il nipote Melchiorre il Giovane?) o fu un intenzionale omaggio del D. alla tradizionale pala sacra di Lombardia (tra Figino, Salmeggia e il Moncalvo), per assicurarsi i favori di un ambiente culturale per lui estraneo e certo non preparato alle novità importate da Roma. Problemi affini presenta una bellissima tela nella collegiata di S. Gaudenzio a Varallo, che raffigura i Ss. Gregorio, Nicola e Pantaleone;la collocazione attuale non è quella originaria, come dimostrano le ampie manomissioni ai lati e in alto (Romano, 1982, pp. 266 s).
Per i quindici anni di lavoro successivi al 1617 i problemi cronologici e attributivi sono assai meno imbarazzanti, mentre attendono ancora adeguate indagini il repertorio dei committenti del D. (che conobbe anche un notevole successo come intenso ritrattista) e la situazione dei debiti e dei crediti nei confronti della contemporanea pittura milanese (Cerano, Giulio Cesare Procaccini e Daniele Crespi in particolare).
Un importante filone di ricerca va riconosciuto nel corpus grafico del pittore, trattandosi di un raro caso di personalità coinvolta nella rivoluzione caravaggesca, ma restata fedele a un arcaico modo espressivo rivitalizzato con suprema incisività. 1 problemi sono posti dalla esistenza di copie da disegni del D. realizzate direttamente nella sua bottega: caso tipico un disegno della Pinacoteca di Varallo (M. Rosci, Pinacoteca di Varallo Sesia, Varallo Sesia, 1960, dis. n. 36, p. 111) che deriva da un originale a Berlino, creduto dal Berenson opera di Agnolo Tori, detto Bronzino (cfr. Andrews, 1960). Non è comunque da escludere che esistano copie assai finite del D.. stesso da suoi disegni o da dipinti, destinate a comporre un repertorio d'uso per la bottega o preparate per i collezionisti di grafica, oramai presenti anche a Milano. Il sospetto emerge dal confronto tra un bellissimo disegno preparatorio per la cappella XXXIV del Sacro Monte con febbrili pentimenti (ora a Londra, University College; Ward Neilson, 1970, p. 275) e i disegni assai rifiniti e fedeli alla redazione dipinta conservati alla Pierpont Morgan Library di New York, per la cappella XXVIII (Stampfle-Bean, 1967) e alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, per la cappella XXVII (Ruggeri, 1982, p. 136). Una terza difficoltà interviene per l'ingannevole presenza di disegni di Pier Francesco Gianoli nel cosiddetto "palinsesto valsesiano", sistematicamente attribuiti al D. in persona (Testori, 1964). A proposito del "palinsesto" stesso andrà precisato che la numerazione negli angoli dei fogli comune anche a molti disegni conservati nella Pinacoteca di Varallo, fu segnata tra il 1775 e il 1915 circa, ed è simile a quella riconoscibile su fogli di varia epoca appartenuti alla collezione di Santo Varni, dispersa a Milano nel 1887 presso la casa Sambon. Non è quindi improbabile che proprio in occasione di questa vendita Bartolomeo Avondo (1835-1916) abbia acquistato i disegni da lui poi donati alla Pinacoteca di Varallo poco prima di morire.
Fonti e Bibl.: P. Galloni, Sacro Monte di Varallo..., Varallo 1914, pp. 261, 279 s., 289, 298, 311 ss., 377, 413 s. (per i documenti valsesiani); R. Longhi, Note in margine al catal. della mostra ... del 1922, in Scritti giovanili, Firenze 1961, pp. 500, 511 s.; A. Viglio, Il contratto fra il pittore A. D. (Tanzio) e Ottavio Nazzari per i dipinti della cappella dell'Angelo..., in Boll. stor. per la prov. di Novara, XVI (1922), pp. 116-119; L. Tioli, A. D. (Tanzio), in Boll. della Sezione di Novara d. R. Deput. subalpina di storia patria, XXXIII (1939), pp. 233-248, 351-357, 359; XXXIV (1940), pp. 70-103, 172-186 (con ampia bibliografia delle fonti); R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in Proporzioni, I (1943), pp. 30 s., 53 n. 66; F. Bologna, Altre prove del viaggio romano del Tanzio, in Paragone, IV (1953), 45, pp. 39-45; M. Rosci, Per la cronologia del Tanzio, in Bollett. stor. per la prov. di Novara, XL (1958), pp. 148-156; Id., Two altarpieces by Tanzio da Varallo, in The Burlington Magazine, CI (1959), pp. 182-186; G. Testori, Tanzio da Varallo (catal. della mostra), Torino 1959; K. Andrews, Tanzio da Varallo, in The Burlington Magazine, CII (1960), p. 211; M. Rosci, Pinacoteca di Varallo Sesia, Varallo 1960, pp. 63-68, 108-113;Id., Postille al Tanzio da Varallo, in Emporium, LXVIII (1962), pp. 253-256; G. Testori, Palinsesto valsesiano, Milano 1964; Id., Tre disegni del Tanzio, in Paragone, XV (1964), 173, pp. 45 ss.; M. L. Gatti Perer, La chiesa e il convento di S. Ambrogio della Vittoria a Parabiago, Milano 1966, pp. 75 ss.; F.M. Ferro, Tanzio a Lumellogno, in Paragone, XVII (1966), 191, pp. 45-51; P. Rosenberg, Un dessin de Tanzio da Varallo au Musée de Copenhague, ibid., 199, pp. 54 s.; G. Testori, Una postilla e un inedito, ibid., pp.55 s.; K. 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