D'AMATO, Giovanni Antonio, detto il Giovane
Documentato a Napoli come pittore tra il 1594 e il 1635 è detto "il Giovane" per distinguerlo da un omonimo pittore che era vissuto in epoca precedente.
Di Giovanni Antonio il Vecchio, però, del quale parlano tutte le fonti napoletane, dal Celano (1692) a tutte le guide posteriori sino al Galante (1872), dal De Dominici (1742-45) al Giannone (1941),non resta nessun documento. Secondo il De Dominici sarebbe stato zio del D. e sarebbe vissuto tra il 1475 e il 1555circa. Secondo il De Dominici nel 1535 avrebbe avuto l'incarico di eseguire alcuni quadri per l'arco trionfale da erigersi per la venuta a Napoli di Carlo V e di sovraintendere a tutte le altre opere di pittura, ma avrebbe rifiutato perché riteneva contrario ai suoi principi morali dipingere favole pagane e ninfe seminude. Se il fatto fosse vero, indicherebbe che, in tempi in cui imperava la maniera raffaellesca di Andrea Sabatini da Salerno, godeva della generale considerazione.
Nel panorama artistico della prima metà del sec. XVI a Napoli doveva essere figura di retroguardia, l'ultimo di quella corrente di gusto umbro-romano, fondata su basi tardo quattrocentesche. Ma la maggior parte delle opere che le guide gli attribuiscono in numerose chiese napoletane, sia di pittura devota in piccolo sia ad affresco, non esistono più perché sostituite da quadri più "moderni", o distrutte o attribuite ad altri artisti dalla critica.
Secondo la tradizione, il D. sarebbe stato indirizzato alla pittura nella bottega di Giovanni Antonio il Vecchio, e poi presso Giovan Bernardo Lama. In effetti il D. recepì presto quel "colorir delicato" che fece del Lama un oppositore deciso al formalismo e al chiaroscuro forzato di Marco Pino; avrebbe ereditato inoltre dallo zio l'ispirazione ai dipinti dedicati alla Vergine e una certa diligenza nella composizione. Nonostante le fonti ascrivano al D. parecchi dipinti, la maggior parte di essi è andata perduta nel rifacimento sei-settecentesco di molte cappelle, o nella distruzione di alcune chiese.
Oltre a ciò, i riferimenti documentari sono relativi per lo più alla fase seicentesca del pittore, mentre poco o nulla si conosce degli anni giovanili in cui mise a punto la sua personale interpretazione della maniera, lontana dalla "furia" di Marco Pino e dalle esaltazioni del manierismo internazionale, e a favore di una religiosità più domestica e raccolta, senza complicazioni intellettualistiche.
In seguito il suo nome cominciò a diffondersi e si allargò il giro delle committenze: secondo le antiche guide avrebbe eseguito opere per varie chiese napoletane, ma, se non sono andate distrutte, vengono attualmente attribuite ad altri pittori.
Nel 017 il D. è documentato (D'Addosio, 1919) per avere eseguito una grande "cona" d'altare con la Vergine ed il Bambino coi ss. Rocco e Antonio di Padova, destinata alla cappella di casa Scoppa nella chiesa di S. Maria Casa-Festini a Massalubrense.
Il quadro fu trasportato nella parrocchiale di S. Maria delle Grazie a Sant'Agata dove si trova tuttora sopra un altare dedicato a s. Antonio. È un'opera ben conservata, carica di ricordi classicheggianti maturati in arca napoletana, soprattutto nel gruppo centrale dal colore caldo e dorato. La mancanza di una cultura fondata su valori plastico-disegnativi si fa sentire: le parti disegnate sono le più deboli, le fisionomie dei santi improntate ad un pietismo generico.
Negli stessi anni il D. dette il suo contributo per la coloritura di figure da presepe. Nel presepe cinquecentesco e nel primo '600, i personaggi erano in legno intagliato, poi venivano interamente dipinti, imitando la ricchezza delle stoffe del tempo con la rabescatura e l'indoratura. Per questi lavori venivano chiamati artisti di nome, come e il caso del D. che dipinse e indorò il presepe delle suore del monastero di S. Giuseppe (D'Addosio, 1919; Banco della Pietà, 17 dic. 1616, e Banco del Popolo, 24, dic. 1616).
Per la cappella Spatafora nella chiesa dei padri dell'Oratorio, il D. dipinse, come risulta dai pagamenti nel 1621-22, un Martirio di s. Orsola, un Martirio di s. Cordula (fino a qualche anno fa nella loro ubicazione originaria, attualmente nei depositi della Soprintendenza ai Beni artistici e storici di Napoli); una Deposizione e una Sacra Famiglia, tradizionalmente ascritti al D., si trovano nella quadreria dei padri dell'Oratorio.
Nella Deposizione, forse l'opera più moderna dei pittore, i toni scuri del fondo, la luce che illumina a tratti il corpo del Cristo e le fisionomie caratterizzate sono aspetti inediti nel percorso del D., che qui dà la sua interpretazione al naturalismo oramai affermato: la luce non rivela con forza, ma serve a rendere i corpi più torniti e meglio definiti plasticamente. Il D. sembra piuttosto richiamarsi al Santafede, pittore che aveva studiato a lungo i fiorentini riformati: Passignano, Cigoli, Santi di Tito. In effetti i due quadri venivano attribuiti spesso al Santafede: dell'atmosfera domestica e raccolta in cui si svolge il fatto sacro - tipica di questo maestro - risente infatti anche la Sacra Famiglia.
Tra le ultime opere del D. è il quadro d'altare per la chiesa dei SS. Bernardo e Margherita, l'Assunta, in una gloria di putti e coi due santi a cui è dedicata la chiesa, fondata nel 1634. Qui l'effetto plastico poco accentuato dà all'immagine della Vergine un sapore più arcaico, di grande comunicativa devozionale.
Al 1635 risale la Regina angelorum, per la cappella del Monte dei poveri vergognosi (attualmente nella chiesa dei SS. Severino e Sossio). Già attribuita al Santafede, risente dei modi di quest!ultimo, anche se la struttura compositiva è molto semplificata e l'intonazione generale meno colta.
Allo stato attuale degli studi questa è l'ultima opera del D. - conosciuto e apprezzato ai suoi tempi, poi dimenticato dalla critica moderna - il quale testimonia, con le sue numerose opere, la vitalità della tradizione manieristica napoletana meno accademica e, a volte, ricca di spunti in favore di una religiosità "popolare".
Secondo la tradizione avrebbe sposato la pittrice Mariangela Criscuolo, ipotetica figlia del pittore Giovan Filippo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Banco della Pietà, matr. 68 bis, 17 dic. 1616; Banco del Popolo, matr. 123, 24 dic. 1616; C. Celano, Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli... [1692], Napoli 1970, ad Ind. (anche per Giovanni Antonio il Vecchio); A. Parrino, Nuova guida de' forestieri... accresciuta con moderne notizie da Nicolò suo figlio, Napoli 1725, pp. 94, 113, 137; B. De Dominici, Le vite de' pittori, scultori e architetti napol., II, Napoli 1742-45, pp. 320-26 (pp. 52-58 per Giovanni Antonio il Vecchio); G.B.G. Grossi, Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, VIII, Napoli 1822, pp. 9-12 (per Giovanni Antonio il Vecchio); O. Giannone, Giunte sulle vite de' pittori napol. [sec. XVIII], a cura di O. Morisani, Napoli 1941, pp. 30, 45, 48, 60, 98 ss. (anche per Giovanni Antonio il Vecchio); G.M. Galanti, Napoli, e contorni, Napoli 1829, p. 114; G.A. Galante, Guida sacra della città di Napoli... [1872], Napoli 1985, ad Indicem; R. Filangieri, Storia di Massa Lubrense, Napoli 1910, p. 571; G. B. D'Addosio, Documenti ined. di artisti napoletani dei secc. XVI e XVII dalle polizze dei Banchi, in Arch. stor. per le prov. napol., n. s., V (1919), p. 376; Un presepe del principio del sec. XVII, in Napoli nobilissima, n. s., III (1924), p. 31; F. Strazzullo, Documenti inediti... (estr. da Il Fuidoro), Napoli 1955, p. 26; M. Borrelli, Contributo alla storia degli artefici maggiori e minori della mole Girolominiana, in Lo Scugnizzo (Napoli), marzo-settembre 1967, pp. 22 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, I, p. 380 (s.v. Amato, Giovanni Antonio d', il Vecchio; Amato, Giovanni Antonio d', il Giovane); Diz. encicl. Bolaffi..., I, Torino 1972, pp. 107 ss. (s.v. Amato Giovanni Antonio il Vecchio e Amato Giovanni Antonio il Giovane).