CUSTER DE NOBILI, Gino
Nacque a Lucca il 28 febbr. 1881 da Lorenzo e da Carlotta De Nobili.
La madre, di ascendenza aristocratica, dopo la scomparsa prematura del marito dovette affrontare non pochi sacrifici per provvedere ai sei figli (cinque maschi e una femmina), aiutata anche dai parenti. Tra l'altro fu costretta, per economia, a trasferirsi in campagna, nel paese di Nozzano, a sei chilometri dalla città.
Il C., che mostrava inclinazione alla musica, fu iscritto all'istituto musicale cittadino (intitolato allora a G. Pacini), dove si diplomò in pianoforte avendo a maestri, fra gli altri, C. Angeloni e F. Magi. Durante questi anni fu anche corista di musica sacra nella cattedrale e in altre chiese.
Prese intanto a frequentare il caffè drogheria di A. Caselli - ritrovo di artisti, di scrittori e di uomini politici fin dagli anni del Risorgimento - incontrandovi G. Pascoli, G. Puccini, A. Catalani, L. Andreotti. Appunto in questo locale il C. fece conoscere le sue prime poesie in vernacolo, che era andato scrivendo fin da ragazzo e che incontrarono consensi e vennero in parte pubblicate su La Sementa, organo ufficiale dei socialisti lucchesi, abituali frequentatori del caffè. Il C. si indusse così a riunire i suoi versi in un volumetto dal titolo Tra 'na fetta e l'artra o Le poesie di Geppe (Lucca 1906). Il successo, e incoraggiamenti come quello del Pascoli, spronarono il C. a proseguire.
Sposatosi con la cugina Lela Lippi, si trasferì nell'anno 1911 a Milano. Qui poté contare sull'aiuto di G. Puccini il quale, sollecitato anche dal Caselli, lo fece conoscere nell'ambiente teatrale. Dapprima impartì lezioni private di musica e canto, poi negli anni della guerra mondiale, ampliato il giro delle conoscenze tra cui quella di A. G. Bianchi redattore del Corriere della sera, divenne direttore del Giornale del contadino, edito dallo stesso quotidiano milanese. In seguito, fu incaricato del settore letterario della rivista L'Energia elettrica della Società Edison, che curò fino alla tarda vecchiaia. Poté così condurre una vita decorosa e coltivare, accanto alla poesia vernacola, la passione di scrittore teatrale.
In talune lettere del Puccini si leggono affettuose raccomandazioni a noti capocomici perché vengano incontro al C.; questi poté affidare un primo lavoro, una sorta di "giallo comico", American (dramma in 3 atti; deposito alla Società ital. autori editori [SIAE] nel 1927), ad A. Sainati che avrebbe dovuto rappresentarlo a Torino: ma il C., di carattere non facile, lo ritirò durante le prove perché il Sainati vi aveva apportato una modifica. Fu Poi lo stesso Sainati a rappresentargli un secondo dramma, Frine e Lulù (deposito dello stesso anno), ma non come il C. avrebbe desiderato. Altri approcci con A. Gandusio non arrivarono in porto. Sulla trama ideata da G. Giovannetti, un compositore lucchese suo compagno d'infanzia e di studi, il C. approntò il libretto in versi per l'opera lirica Petronio, musicata dallo stesso Giovannetti; segnalata al concorso bandito dal ministero della Pubblica Istruzione nel 1920-21, fu rappresentata con successo al teatro Costanzi di Roma nella stagione carnevale-quaresima 1922-23 e ripetuta poi al teatro del Giglio di Lucca.
A parte qualche breve composizione musicale, come quella sul testo de La tessitrice del Pascoli (Canti di Castelvecchio, Milano 1920) e due produzioni drammatiche in un atto, Antonia e L'affossatore del Far West (depositi alla SIAE nel 1932 e 1955), il C. si dedicò principalmente alla poesia vernacola. Ventidue anni dopo la prima, pubblicò una seconda edizione aumentata di ben 137poesie (Milano 1928), lodata da L. Viani, cui seguì a distanza di qualche mese una terza edizione di poco accresciuta rispetto alla precedente (ibid. 1928). Il C. aveva inizialmente adoperato il vernacolo del paese di Nozzano, dove aveva trascorso l'infanzia, arricchendolo a mano a mano di altri vocaboli e modi particolari di paesi finitimi fino a farlo diventare una sintesi delle varianti dialettali degli agglomerati della pianura circostante Lucca, il cosiddetto "piano delle Sei miglia". Successivamente dette alle stampe una raccolta poetica Lucca mia bella (Milano 1933). che era andato preparando a lungo dopo il trasferimento a Milano, questa volta nel linguaggio popolare cittadino (di "Lucca drento", come tradizionalmente si distingue la popolazione entro la cinta delle mura da quella dei dintorni e, in genere, della campagna del piano delle Sei miglia, che viene designata di "Lucca fora").
La raccolta, cui il 1° ott. 1933 fu conferito il premio letterario Caselli, intitolato all'antico caffè, risulta, secondo il parere del filologo e folklorista G. Giannini, linguisticamente omogenea e precisa nel rendere la parlata del ceto medio cittadino, del quale il C. coglie con finezza psicologica i tratti caratteriali più tipici: la chiusura in sé, la diffidenza, la segretezza, la gelosia della propria intimità. L'epoca che fa da sfondo è quella dell'infanzia e giovinezza del C., l'epoca dei cosidetti "isciapiti" (vocabolo che suonava bonaria condanna da parte delle persone serie), per intendere i giovani damerini di allora cui facevano da pendant le "sciacquine", le ragazze vanesie e petulanti della piccola borghesia che abitava entro le mura. In C. la rievocazione di questa Lucca difficile da scoprire non nascondeva una vena nostalgica che talvolta sfiora la tenerezza, un tono in sordina reso fedelmente dal diminutivo "Lucchina", attraverso il quale si manifesta il segreto affetto e l'attaccamento alla piccola patria.
La tematica del C. tocca ogni aspetto dell'ambiente e della popolazione: usi, costumi, tradizioni, leggende, modi di dire, ma anche personaggi e fatti storici. Lucca fu tradizionalmente, soprattutto nel Sette-Ottocento città e campagna circostante molto ligia alla pratica religiosa, con tendenza al bigottismo. L'esser custode del Volto Santo, l'immagine lignea dei Redentore cui è legata una sacra leggenda nota fin dall'alto Medioevo, creò intorno all'antichissimo culto come una saldatura dello spirito municipale. In Lucca mia bella il C. fa rivivere questo clima sacrale, quasi senso geloso di una preferenza divina, diffuso tanto tra le classi più elevate, nobiltà mercantile e borghesia, quanto fra le classi subalterne stanziate entro le mura e nei prossimi borghi, gli artigiani e altri piccoli lavoratori raccolti nei quartieri popolari entro la stessa cinta delle mura: il Bastardo, Cittadella, Pelleria, e così pure nell'ellisse dell'Anfiteatro romano con le sue immediate adiacenze destinate al mercato. Non meno legata al culto era la popolazione della "Lucca fora", quella destinata al lavoro dei campi, sulle terre dei nobili nel piano delle Sei miglia e delle colline all'intorno, contadini che lavoravano sui fondi altrui con magre rimunerazioni e, secondo l'andamento stagionale, più esposti ai malanni, alle epidemie e colpiti in buon numero anche dalla pellagra. C'era, sia pure coperta, una rottura fra le due società soprattutto da parte dei contadini, i cui disagi ne acuivano la naturale diffidenza. Una sotterranea polemica tra ricchi e poveri, cittadini e contadini, si coglie qua e là nella sezione dedicata dal C. alla "Lucca drento": più apertamente e frequentemente però nella parte, che del resto è la più vivace e spontanea, de Le poesie di Geppe così come risulta nella quarta edizione (Milano 1952), che dista ventiquattro anni dalla terza e nella quale le due raccolte, Lucca mia bella e Le poesie di Geppe, sono riunite nell'ordine.
Nel C. il contadino era riscattato con umana simpatia dalla secolare subordinazione in cui lo tenevano, dapprima realmente coi rapporti di lavoro e poi culturalmente con l'ironico disprezzo, le classi privilegiate. La poesia vernacola del C. presenta pertanto un panorama molto vivace e qua e là bonariamente polemico delle vicende giornaliere: il conservatorismo quasi cieco, la realtà che s'impone ai sogni, la situazione femminile di stretta dipendenza. Infine l'immancabile "laudator temporis acti", proverbialmente riconosciuto nel vecchio uomo dei campi. Talune poesie risultano animate da un vero e proprio vigore di convinzione che indirettamente suona protesta contro la chiusura e la miseria di una vita di sacrifici. Basterà a questo proposito la poesia intitolata Le mane di Geppe. Né mancano, per scrupolo di aggiornamento, concessioni a costumi passeggeri, a vicende di ogni tempo, a cronache minime. Naturalmente vi si esprime una proverbiale avversione al progresso e, qua e là, una morale più forzata che convinta, accanto a manifestazioni di un buon senso spontaneo, comunque più per tradizione che frutto di ragionamento critico. La quinta edizione (Milano 1964) ripete pressappoco la precedente. Infine la sesta edizione (Lucca 1975), pubblicata postuma, riproduce soltanto Le poesie di Geppe dalla quinta edizione e reca una prefazione di M. Lombardi Lotti: La Poesia vernacola di G. C. De N.
Il C. morì a Milano il 29 apr. 1969 e fu sepolto, secondo la sua volontà, a Lucca.
Bibl.: Per quanto riguarda il lessico dialettale lucchese, oltre al Vocabolario lucchese di I. Nieri (Lucca 1902), sono tuttora manoscritti e conservati a Lucca, Bibl. statale, gli Idiotismi lucchesi: raccolta di poesie in dialetto lucchese di B. Beverini, le Voci usate nel dialetto lucchese di S. Bianchini, il Vocabolario lucchese di S. Bongi, il Saggio di un vocabolario di termini lucchesi di C. Lucchesini, il Vocabolario lucchese di C. Minutoli, il Vocabolalario del dialetto lucchese di P. Stefani, nonché le correzioni e aggiunte di G. Giannini al Vocabolario del Nieri. Per gli studi sul dialetto lucchese si vedano S. Pieri, Fonetica del dialetto lucchese, in Arch. glottol. ital., XII (1890-92), pp. 107-134; Id., Appunti morfol. concernenti il dialetto lucchese e il pisano, ibid., pp. 161-180; C. Salvioni, Appunti sull'antico e moderno lucchese, ibid., XVI (1902-1905), pp. 395-477; A. Parducci, Una centuria di modi proverbiali raccolti e illustrati da L Nieri, in Omagiu lui Ramiro Ortiz cu prilejul a 20 de ani de invatamint in Romania, Bucarest 1929, pp. 120-134; I. Nieri, Scritti linguistici, a cura di A. Parducci, Torino 1944 (contiene fra l'altro un inedito: Saggio della Parlata lucchese popolare); A. Parducci, Giunte al "Vocabolario lucchese" di I. Nieri, in Rendiconti delle sessioni dell'Accad. dell'Istituto di Bologna, classe di scienze morali, s. 5, I (1947-1948), Bologna 1949, pp. 34-61; R. Giacomelli, Esploraz. linguistiche in Lucchesia, in Arch. glottol. ital., XLIII (1958), pp. 108-131; A. Castellani, Pisano e lucchese, in Studi linguistici ital., V (1965), pp. 97-135, ora in Saggi di linguistica e filologia ital. e romanza, Roma 1980, I, pp. 283-326; R. Ambrosini, Testimonianze lucchesi della seconda metà del'700, in L'Italia dialettale, XLII (1979) pp. 7-23; Id., Appunti lucchesi, ibid., XLIII (1980), pp. 1-35. Recens. e articoli concernenti il C. sono: G. Giannini - A. Parducci, Il Popolo toscano, Milano 1927, pp. 262, 274, 288-298; M. Lombardi Lotti, in Il Popolo toscano (Lucca), 18 febbr. 1928; A. G. Bianchi, Un poeta di Lucchesia, in La Fiera letteraria, 8 luglio 1928; G. Briganti, in Boll. stor. lucchese, I, (1929), pp. 146-147; A. G. Bianchi, Lucca e Lucchesia, in L'Ambrosiano (Milano), 7 giugno 1942; Rassegna lucchese, n. 46, 1969, pp. 24-25; Gian Miròla (Almiro Giannotti), G. C. De N. poeta, in Riv. di archeol., storia, costume (Lucca), IX, ottobre-dicembre 1981, pp. 49-63. Per la produzione teatrale documenti nell'archivio della sede centrale della Soc. it. autori e editori. Per l'ambiente lucchese dell'epoca si vedano almeno M. Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, cap. dedicato a F. Pieri, Firenze 1943, pp. 273-277; A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze 1950; P. G. Camaiani, Dallo Stato cittadino alla città bianca. La "società cristiana" lucchese e la rivol. toscana, Firenze 1979.