CURSUS
. Il cursus è una cadenza o clausola ritmica, molto ricercata nella prosa "regulata" latina del Medioevo, cadenza o clausola che chiude armoniosamente i periodi e membri di periodo, e che comprende almeno due parole, ognuna fornita di un accento proprio. La definizione antica più felice pare quella di Ponzio il Provenzale: cursus est matrimonium spondeorum cum dactilis prolatione debita celebratum, dove per spondei e dattili dobbiamo intendere vocaboli piani e sdruccioli, senza considerazione di quantità.
L'apparizione del cursus, con caratteristiche che durano lungo l'intero Medioevo, si può collocare nel sec. III d. C. Varie sono le forme che assunse, di cui quattro costituiscono le clausole principali: cursus planus, tardus, velox e (con designazione del tutto moderna) trispondaicus. Fra tali tipi i trattatisti medievali raccomandavano in modo speciale il velox e il planus, e il velox, preferito alla fine delle frasi, ritenevano la clausola più bella.
Il cursus planus è formato da un polisillabo parossitono (o piano che dir si voglia) seguito da un trisillabo pure parossitono, ed è esemplificabile con víncla perfrégit, retributiónem merétur, o anche ópis est nóstrae (perché è legittima la soluzione del trisillabo in un monosillabo e in un bisillabo). Il tardus, detto anche ecclesiasticus, risulta da un polisillabo parossitono seguito da un quadrisillabo proparossitono (o sdrucciolo): esempî, víncla perfrégeret, felicitátis percípient, o anche, con l'ammesso scioglimento del quadrisillabo, examinátis quae tángimus. Il velox consta di un polisillabo proparossitono seguito da un quadrisillabo parossitono, vínculum fregerámus, consíliis et respónsis, e perfino cándida nostra sígna. Il trispondaicus è costituito da un polisillabo seguito da un quadrisillabo, ambedue parossitoni: ésse videátur, (una) vóce clamavérunt.
Assai dibattuta è la questione dell'origine del cursus. Indagini recentissime, condotte con sottigliezza, se anche non definitive, portano a fissare la nascita della cadenza ritmica verso la fine dell'epoca latina: per la scomparsa della quantità sillabica, dileguò il classico ritmo quantitativo, e l'accento latino, da musicale divenuto di intensità o dinamico, servì di base al nuovo ritmo del cursus.
Il cursus, che dura in vita, con maggiore o minore intensità, dal sec. III d. C. fino al XIV, era adottato allo scopo di ornare la prosa che aspirasse a sollevarsi sull'uso comune, a mostrarsi in pubblico con segni di distinzione. Si diffuse quindi largamente nei cenobî e nelle scuole, nella curia del pontefice e nell'aula dell'imperatore, tra monaci, notai, cancellieri, maestri, in Italia e fuori d'Italia. Ma il campo suo proprio fu la lettera, come quel genere di prosa artistica che nella cultura medievale aveva così grande importanza. Non appena, alla fine del sec. XI, in Italia si creò o rinnovò la dottrina del dictare, cioè dello scrivere lettere, anche il cursus divenne oggetto di più paziente attenzione (v. artes dictaminum). Lo stesso stile cancelleresco della Curia papale subì una riforma, fondata fra altro su una ripresa dell'uso del cursus, con norme fisse, e della quale si giudica iniziatore Giovanni da Gaeta (poi pontefice col nome di Gelasio II); finché, sullo scorcio del sec. XII, le regole del ritmo proprie della Curia furono codificate nella Forma dictandî di Alberto di Mora (pontefice col nome di Gregorio VIII) e nel Dictamen del maestro Trasmondo. Così si poté parlare dai retori di uno stile prosastico romano, o della Curia di Roma, o gregoriano, la cui caratteristica tipica era il cursus. Cura del cursus ebbero nelle loro epistole latine, e non solo in esse, anche Dante e il Boccaccio. Né c'è da stupirsi se tracce dell'ammirata e studiata clausola ritmica si possono scorgere perfino in opere volgari di prosa, notevoli o addirittura insigni, composte nel Duecento e nel Trecento: finora l'indagine si è volta a Guido Faba e al Boccaccio, ma può estendersi con risultati sicuri anche a Guittone d'Arezzo (Lettere) e a Dante (Convivio).
Bibl.: A. De Santi, Il "cursus" nella storia letteraria e nella liturgia, Roma 1903; id., in Civiltà Cattolica, 1903, XI, pp. 24-39, 268-84, 562-72; XII, pp. 38-52-307; L. Ceci, Il ritmo delle orazioni di Cicerone, Roma 1905; W. Meyer, Gesammelte Abhandlungen zur mittellateinischen Rythmik, II, Berlino 1905, p. 236 segg.; A. C. Clark, The Cursus in Mediaeval and Vulgar Latin, Oxford 1910; P. Ferretti, Il "cursus" metrico e il ritmo nelle melodie gregoriane, Roma 1913: K. Polheim, Die lateinische Reinprosa, Berlino 1925, p. 70 segg.; F. Di Capua, Appunti sul "cursus" nelle opere latine di Dante, Castellammare di Stabia 1919; M. G. Nicolau, L'orig. du "cursus" rythmique, Parigi 1930; A. Schiaffini, La tecnica della "prosa rimata" nel Medioevo lat., in Studj rom, XXI (1931).