CURRADI, Taddeo, detto il Battiloro
Figlio di Francesco, fu battezzato a Firenze il 26 ott. 1529 (Firenze, Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore, Libri di battesimo 1522-1532, c. 124r: comunicazione di Doris Carl). Le nostre conoscenze sulla vita e la personalità di questo artista si fondano quasi unicamente sulle Notizie... dei Baldinucci.
Basandosi sull'autorità di Francesco Segaloni, esperto di storia delle famiglie fiorentine, Baldinucci afferma che i Curradi originariamente provenivano "di Slesia e Svevia". Informa inoltre che il C. in gioventù imparò l'arte del battiloro , arte che continuò ad esercitare per quasi tutta la vita, tanto che ne derivò il soprannome; e decanta i suoi svariati interessi scientifici e artistici, le innate qualità e la capacità manuale che si rivelavano nei campi più disparati. Il C. inventò e fabbricò strumenti musicali; si fece anche una lira, sulla quale sapeva suonare speditamente. Scoprì una tecnica per "battere il rame in foglia"; eseguì scudi, brocche. e suppellettili; per Francesco I de' Medici inventò "un lume o lucetna da portar nascosa"; fece studi di matematica, era molto colto in campo letterario ed era in grado di recitare a memoria testi di Dante e Petrarca. Baldinucci ricorda pure la sua inclinazione per la scherma. Gran parte della sua attività era dedicata a intagliare crocifissi in legno di tiglio di formati assai vari, anche piccolissimi, destinati alla devozione privata come, a quei tempi, si usava tenere vicino al letto. Ancora il Baldinucci fornisce i nomi di alcuni proprietari o dei luoghi dove erano conservati questi crocefissi del C., dei quali si parlerà in particolare più oltre.
In conclusione il quadro che ne traccia il Baldinucci è quello di un dilettante poliedrico e raffinato al quale evidentemente il mestiere del battiloro lasciava abbastanza tempo per occuparsi di numerose attività dei tutto diverse per le quali egli stesso si procurava le conoscenze e le capacità necessarie. In ogni modo la personalità dei C., così come viene descritta dal Baldinucci, risponde assai bene all'ideale artistico del Seicento ed è possibile che il biografò abbia trovato in lui degli aspetti che gli erano affini. Baldinucci insiste inoltre, in più passi, sulla religiosità, il timor di Dio, l'altruismo e la disponibilità dell'artista.
È molto recente l'interesse per l'attività di "crocifissaio" del C., di cui ci dà notizia il Baldinucci, ma la ricerca in questo campo appare difficile e non molto fruttuosa anche se oltre ai dati concreti, relativamente scarsi e in parte da verificare, si prendano in considerazione nel contesto della Vita, i racconti di carattere aneddotico. Ciò vale, per esempio, per quello che Baldinucci scrive sull'importanza del pittore G. B. Naldini per lo sviluppo stilistico del Curradi.
Mentrè nelle altre Vite il Baldinucci di volta in volta indica il maestro dell'artista in questione ("discepolo di...") a proposito del C. indica semplicemente i "buonissimi precetti" datigli da G. B. Naldini il quale, un giorno, portò un cartone del proprio maestro, Pontormo, con la raffigurazione del Crocifisso, per stimolare il C. a migliorare la resa del movimento e le proporzioni nei suoi crocifissi; questi, sempre secondo Baldinucci, apparivano "alquanto più duri" e il loro stile era ritenuto dal Naldini troppo antiquato. Il C. avrebbe da allora seguito il modello del Pontormo e grazie ai consigli dei Naldini avrebbe conferito al corpo dei crocifisso "tanta sveltezza e tanta grazia e divozione"; inoltre il C. avrebbe anche modificato la posizione della testa dei suoi ciocifissi. che prima "piegavano la testa verso il lato sinistro".
Se, come sembra dal contesto, si deve intendere l'indicazione del "lato sinistro" in riferimento alla figura del Cristo, ciò significa che il C. nei suoi primi crocifissi si discosto dalla consuetudine della iconografia toscana (nella quale il Cristo con la testa inclinata verso sinistra compare solo dopo la metà dei Cinquecento) probabilmente per influsso di composizioni nordiche conosciute in Italia attraverso le stampe (U. Graf, W. Huber, H. Burgkmair, L. van Leyden, F. Crabbe).
Un'idea di questi primi crocifissi del C. può essere suggerita da un'incisione di Domenico Falcini per la Descrizione del Sacro Monte della Verna di fra' Lino Moroni (Firenze 1612), riproducente una scultura con la Crocifissione, perduta, che era probabilmente in terracotta smaltata e nella quale Cristo piega la testa a sinistra, verso Giovanni (cfr. Lisner, 1980). Infatti l'incisione è tratta da un disegno di I. Ligozzi che, a quanto riferisce il Baldinucci, ammirava molto i crocifissi del C., tanto da usarli come modelli per le sue crocifissioni.
A tutt'oggi, comunque, non è stato identificato alcuno dei crocifissi del C. che Baldinucci ricorda in varie chiese fiorentine o in possesso di alcune famiglie di Firenze. Eppure alcune notizie del biografo possono essere confermate e completate (grazie anche a ricerche finora inedite di Doris Carl) da dati archivistici: per esempio il grande Crocifisso in legno che ornava la cappella della famiglia Curradi nell'oratorio della Concezione (trasformato a partire dal 1574 e poi distrutto) e quello più piccolo eseguito nel 1577 per l'altar maggiore dello stesso oratorio (secondo il Baldinucci, questo Crocifisso, ritrovato dopo un furto, era conservato nel sec. XVII nella sacrestia dell'oratório). Un grande Crocifisso dorato del C. pendeva nella cappella Gaddi in S. Maria Novella (la seconda a sinistra del coro, costruita dal Dosio tra il 1575 e il 1578); "Un altro pure grande è nello spedale delle donne di Bonifazio... Un altro in S. Croce nella compagnia di S. Bonaventura di grandezza poco minore ...; ed uno ne condusse per lo serenissimo granduca Francesco". Intagliò inoltre moltissimi crocifissi per devozione privata "per diversi gentiluomini e fra questi per la casa de' Torrigiani ed Alessandrini, come ancora per un frate di S. Maria Novella, per servizio della nazione spagnuola e per altri molti..." (Baldinucci, pp. 650 s.).
Non è stato possibile, sinora, riconoscere o identificare nessuna delle opere fin qui ricordate. Ciò nondimeno dalla fine degli anni Sessanta si sono fatte molte congetture, all'interno degli studi sulla scultura fiorentina del.Cinquecento, sull'attività di "crocefissaio" del Curradi. Middeldorf (1978) ha attribuito al C. un Crocifisso in legno proveniente dal convento di S. Spirito, oggi conservato nella casa Buonarroti; lo stesso era stato pubblicato dalla Lisner (1970, pp. 111 ss.) come quello che, secondo la testimonianza del Vasari e del Condivi, Michelangelo giovane aveva intagliato per l'abate di.S. Spirito. Nel corso della discussione pro o contro le tesi di Middeldorf e della Lisner, Parronchi (1979) ha attribuito al C. ancora due esemplari (nel convento di S. Gaggio e sul mercato antiquario) simili a quello della casa Buonarroti.
Tutti i tentativi di una prima classificazione approssimativa dei crocifissi in legno del C. non possono dare risultati soddisfacenti sino a che non si riesca a trovare un esemplare documentato o sinché non sia possibile, sulla base di nuovi ritrovamenti archivistici, assicurare al C. una delle opere anonime.
In favore dell'attribuzione al C. del Crocifisso di casa Buonarroti parla prima di tutto la forte somiglianza iconografica con la figura di Cristo nel tabernacolo di Boldrone del Pontormo (Firenze, Soprintendenza alle Gallerie).
Il cartone del Pontormo, che secondo Baldinucci servì da modello al C. per i suoi crocifissi più tardi, potrebbe aver avuto questo aspetto. Questo tabernacolo è l'unica rappresentazione della crocifissione del Pontormo che ci sia nota. È da mettere in rapporto con l'altare della Trinità di Albertinelli oggi all'Accademia di Firenze, con la Crocifissione di fra' Paolino in S. Spirito e con i disegni corrispondenti, anteriori a queste opere, di fra' Bartolomeo conservati a Copenaghen e Rotterdam. D'altra parte, però, tutte queste rappresentazioni del crocifisso dei pittori dell'ambiente di S. Marco e del Pontormo potrebbero essere state ispirate da quell'opera giovanile di Michelangelo che secondo la Lisner ci è conservata nell'esemplare di casa Buonarroti. A parte il fatto che Baldinucci non famenzione di alcun crocifisso del C. in S. Spirito, la tesi di Middeldorf è in contraddizione con i dati tecnici della scultura di casa Buonarroti: è di legno di pioppo e non di tiglio; ma soprattutto le indagini sulla colorazione condotte da U. Procacci e da M. Baldini (Il restauro del crocefisso..., in Münchner.Jahrbuch der bildenden Kunst, XV [1964], pp. 32 ss.) fanno ritenere che sia stata eseguita alla fine del Quattrocento e non nell'ultimo terzo del Cinquecento.
Secondo le notizie fòrnite dal Baldinucci sul committenti del C., la sua attività di "crocifissaio" si esplicò soprattutto dopo il 1570, e questo è stato dimostrato dalla Lisner, come nel caso dei due (già citati) crocifissi dell'oratorio della SS. Concezione e di quello della cappella Gaddi in S. Maria Novella. Infine, anche quanto apprendiamo dal Baldinucci circa i contatti del C. con Naldini, Buontalenti e Giambologna e gli incoraggiamenti ricevuti da Francesco I; ci porta nella seconda metà dell'ottavo e nel nono decennio del segolo. Il Crocifisso di casa Buonarroti non ha alcun punto di contatto - stilisticamente - con le opere prodotte in questo periodo e in questo ambiente a Firenze.
Nel giugno 1585 e nel dicembre 1586 viene ricordata l'attività di battiloro del C. nei documenti (Heikamp, 1963) sul "tempietto" di Francesco I, eseguito per la tribuna degli Uffizi su Progetti del Buontalenti. Il primo documento riguarda la fornitura da parte del C. di "uno scudo d'oro zecchino" con il quale lo scultore Cesare Targone doveva formare i rilievi in oro con le imprese del principe. Per queste "storiette" il Susini aveva preparato modelli in cera dai bozzetti del Giambologna, suo maestro. Il secondo documento è un pagamento per una notevole quantità di fogli d'oro, con i quali "maestro Bortolo da Vinetia" doveva dorare all'esterno la cupola del tempietto.
Il Baldinucci fornisce notizie abbastanza dettagliate sulla famiglia del C., ma purtroppo senza indicare le date.
L'artista era sposato con Stella Ghini (nata intorno al 1540); abitavano "in luogo detto Cafaggiolo fra il canto alla Catena, e il tabernacolo del canto a Monteloro", vale a dire tra via della Pergola e Borgo Pinti, nell'odierna via Alfani nell'area di S. Pier Maggiore. Nei graffiti che decoravano la facciata della casa comparivano gli stemmi Curradi e Ghini. "Stella vedova, donna fu di Taddeo Curradi, di anni 70, in circa" testimoniò nei processi di beatificazione di Maria Maddalena de' Pazzi nel 1611-12 (Puccini, 1640). Dei loro sei figli quattro erano maschi: Francesco divenne famoso pittore; Cosimo e Piero (nomi, anche questi inequivocabilmente medicei) furono, secondo Baldinucci, istruiti nella pittura dal fratello e Piero trovò in seguito un amico e protettore nel ricco commerciante Massimiliano Pucci che lo nominò soprintendente delle sue imprese edilizie; Giovani Battista curava la bottega di battiloro del padre mentre questi era altrimenti, occupato. Delle figlie, Elisabetta I sposò un ricco commerciante originario di Bologna, Francesco Coltellini che, secondo il Baldinucci, "negoziò co' Tornaquinci e Gherardi, poi co' Pucci, e alla fine mise su un'azienda in proprio" Il loro figlio Agostino fu avvocato e letterato., membro di varie accademie tra le quali l'Accademia Fiorentina; ad essa appartenne anche il Baldinucci, che lo conosceva personalmente e lo stimava: si può supporre perciò che Agostino sia stato l'infármatore più importante del Baldinucci per la vita e le opere d i suo nonno.
Il C. mori a Firenze il 12 sett. 1596 (ricerche di Doris Carl).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Compagni e soppresse, CXIX; Ibid., Guardaroba Medicea, vol. 14, cc. 31 s., 37 d.; V. Puccini, Vita della b. Maria Maddalena de' Pazzi, Napoli 1640, pp. 456 s.; F. L. del Migliore, Città nobilissima illustrata, Firenze 1684, p. 322; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno... [1681-1728], a cura di F. Ranalli, Firenze 1845-1846, cfr. Indice, a cura di A. Boschetto, nell'ediz. anastatica, VII, Firenze 1975, p. 215; G. Richa, Notizie istor. delle chiese fiorentine, VIII, 1, Firenze 1759, p. 140; P. Zani Enc. metodica... delle belle. arti, I, 7, Parma 1811, p. 158; D. E. Colnaghi, A Dictionary of Florentine Painters, London 1928, p. 84; W. ed E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I, Frankfurt 1940, pp. 401, 490, 610; III, ibid. 1952, p. 743; D. Heikamp, Zur Gesch. der Uffizien- Tribuna und der Kunstschränke in Florenz und Deutschland, in Zeitschrift für Künstgeschichte, XXVI (1963), pp. 247 n. 14-248 n. 27; M. Lisner, Holzkruzifixe in Florenz und in der Toskana..., München 1970 (per una classificaz. generale dei crocefissi in legno); A. Parronchi, Les crucifix de bois en. Toscane, in Revue de l'art, XVIII (1972), p. 66; U. Middeldorf, The Crucifixes of T. C., in The Burlington Magazine, CXX (1978), pp. 806-10; A. Parronchi, T. C. e Michelangelo, in Michelangelo, VIII (1979), 28, pp. 37-41; M. Lisner, The Crucifix from Santo Spirito and the Crucifixes of T. C., in The Burlington Magazine, CXXII (1980), pp. 812-19; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 210.