Curiazi
Il duello in cui tre campioni di Alba e tre di Roma si affrontarono perché l'esito stabilisse a quale dei due popoli discesi dai Troiani spettasse il principato (" ibi imperium fore, unde victoria fuerit ", Livio I XXIV 2) è per D. un evento capitale nella storia dell'Impero romano, del quale contribuisce a fondare la legittimità secondo il principio quod per duellum acquiritur, de iure acquiritur (Mn II IX 1).
Oltre al ricordo di Pd VI 39, l'episodio è rievocato in Cv IV V 18 e in Mn II IX 15, seguendo il racconto di Livio (I XXIV-XXV) citato esplicitamente in quest'ultimo passo accanto a Orosio (Hist. II IV, dove però è solo un rapido accenno al fatto). L'angolatura ideologica dei due luoghi è peraltro diversa. Nel Convivio si tratta di confutare l'interpretazione agostiniana e orosiana della storia romana come un seguito d'ingiustizie e di calamità inferte e subite nel silenzio degli dei (cfr. Agost. Civ. III 5 ss.), ed è perciò rivendicato all'esito del duello (che è per s. Agostino nient'altro che uno scelus perpetrato per libido dominandi: Civ. III 14) soprattutto il carattere miracoloso, documento dell'assistenza divina: non puose Iddio le mani proprie a la battaglia dove li Albani con li Romani, dal principio, per lo capo del regno combattero... ? Nella Monarchia sono piuttosto sviluppate delle considerazioni di ordine giuridico conseguenti a un'interpretazione dello scontro come una vera e propria ordalia in cui si è manifestato il giudizio di Dio (tale interpretazione, suggerita da Cicerone [cfr. Off. I XII 38], risente anche di spunti propri del diritto barbarico ormai rifiutati dai giuristi del tempo di D.: v. il commento del Vinay ad l.).
Va osservato che D. nomina i campioni solo nella Monarchia, senza peraltro specificare chiaramente per quale parte combattessero rispettivamente i tre fratelli Curiazi e i tre Orazi. Tale indeterminatezza gli è forse consigliata da Livio, il quale, pur preferendo seguire la versione più diffusa secondo cui i campioni romani furono gli Orazi, avverte che " nominum error manet, utrius populi Horatii, utrius Curiatii fuerint. Auctores utroque trahunt " (I XXIV 1).