Cupido
Il mito pagano-romano chiamava così (o Amore) il figlio di Venere, rappresentandolo come un fanciullo alato, munito d'arco e di frecce, vera e propria personificazione dell'amore carnale. A tale tipologia appartiene il C. che compare in Pg XXVIII 66, alla fine della terzina in cui D. ricorre al paragone della fiamma d'amore divampata negli occhi di Venere allorché C., colpendola involontariamente con una sua freccia, la fece innamorare di Adone, per far intendere l'intensità amorosa dello sguardo di Matelda: Non credo che splendesse tanto lume / sotto le ciglia a Venere, trafitta / dal figlio fuor di tutto suo costume.
Ancora nella medesima tipologia rientra il C. di una seconda citazione dantesca, l'unica nella quale il nome del dio alato sia formulato espressamente, là dove in Pd VIII 7 (ma Dïone onoravano e Cupido) D. chiarisce che i pagani, quando parlavano dell'influsso esercitato sugli uomini dal cielo di Venere, pensavano solo al l'amore sensuale.
Nella disquisizione dottrinale circa lo stesso tema, ossia sugli influssi esercitati dal cielo di Venere, in Cv II V 14, C. è citato ancora una volta come personificazione dell'amore, ma secondo una prospettiva diversa. Vi si legge infatti: E perché li antichi s'accorsero che quello cielo era qua giù cagione d'amore, dissero Amore essere figlio di Venere, sì come testimonia Vergilio nel primo de lo Eneida, ove dice Venere ad Amore: " Figlio, vertù mia, figlio del sommo padre, che li dardi di Tifeo non curi "; e Ovidio, nel quinto di Metamorphoseos, quando dice che Venere disse ad Amore: " Figlio, armi mie, potenzia mia ". La scelta dei due passi poetici (Aen. I 664-665 " Nate, meae vires, mea magna potentia solus, / Nate, patris summi qui tela Typhoea temnis ", e Ovid. Met. V 365 " Arma manusque meae, mea, nate, potentia "), nei quali Amore è indicato come simbolo di potenza, non più come artefice d'inganni voluttuosi, mostra con evidenza che D., dopo aver enunciato in Cv II V 13 il principio secondo il quale l'influsso del terzo cielo concerne soltanto l'amore spirituale ed è dovuto alle intelligenze angeliche che lo governano, cerca poi in specifiche testimonianze antiche la conferma a tale credenza, postulando una singolare eziologia per la quale gli antichi avrebbero imposto il nome di " Amore " al figlio di Venere soltanto in seguito alla constatazione che esso altro non era se non una forza emanante da lei. Poeti come Virgilio e Ovidio avrebbero dunque avuto, secondo D., l'intuizione inconsapevole di un potere spirituale simbolicamente adombrato nella figura di C., quasi a dire che già presso di loro si poteva trovare indicata in forma vagamente allegorica la traccia di quel cammino che dall'amore sensuale avrebbe poi portato al trionfo dell'amore di Dio.