CUORE (dal lat. cor; fr. cøur; sp. corazón; ted. Herz; ingl. heart. L'aggettivo corrispondente cardiaco, deriva per mezzo del lat. cardiacus, dal gr. καρδία cuore; cardia invece nel linguaggio anatomico è l'orifizio esofageo dello stomaco, e a esso pure è talvolta riferito l'aggettivo cardiaco, secondo la nomenclatura anatomica di Basilea)
Per cuore, in senso lato, s'intende morfologicamente un organo cavo, intercalato in un sistema di vasi, munito di valvole internamente e di uno strato muscolare esternamente, le cui ritmiche contrazioni imprimono all'umore circolante, come entro una pompa aspirante e premente, un movimento in una direzione determinata (v. sanguifero, sistema). Il cuore non è che un vaso modificato: delle tre tonache vasali, intima, media ed esterna (o avventizia), le due prime, formanti nell'insieme la tonaca compatta, si presentano in corrispondenza del cuore ampliate e assottigliate, s'ispessiscono sollevandosi internamente, a livello degli orifizî, sotto forma di lembi valvolari e costituiscono l'endocardio, mentre, in seno all'avventizia o tonaca lassa (contrapposta alla compatta), compare la muscolatura cardiaca, il cosiddetto miocardio.
Nella serie dei Vertebrati esistono parecchi di tali organi, annessi in prevalenza al sistema linfatico, quali i cuori caudali dei Teleostei fisostomi, i cuori linfatici degli Anfibî, ecc., per tacere di altri organi cavi, pure chiamati cuori, ma impropriamente, non essendo che dilatazioni o seni di confluenza di vasi, privi di miocardio; tuttavia per cuore s'intende senz'altro il viscere centrale dell'apparecchio circolatorio sanguifero, cioè il cuore branchiale o branchiopolmonare, in cui si raccoglie dalla periferia del corpo, per mezzo delle vene, il. sangue venoso, privo cioè di ossigeno e carico di anidride carbonica, per arricchirsi dell'uno e spogliarsi dell'altra, divenendo così arterioso, in seno agli organi della respirazione acquatica (branchie) o aerea (polmoni), nei quali viene spinto dal cuore attraverso le arterie branchiali o polmonali. Dagli organi della respirazione il sangue può poi raggiungere direttamente la periferia lungo l'albero arterioso periferico, come si osserva nelle classi più basse, Ciclostomi, Pesci e Anfibî inferiori; col passaggio dalla vita acquatica all'aerea, con l'atrofia cioè delle branchie e lo sviluppo dei polmoni, il sangue arterioso proveniente da questi ritorna invece, attraverso le vene polmonari, nel cuore, per riceverne novello impulso e raggiungere così la periferia lungo l'albero arterioso aortico. Cosicché, mentre nel cuore dei vertebrati branchiati circola solo sangue venoso, in quello dei polmonati scorre anche sangue arterioso, che può, come vedremo, mescolarsi al venoso o rimanere autonomo: nel primo caso il cuore si chiama semplice, nel secondo caso doppio; altrettanto si dica della circolazione, avvertendo che la doppia si suddivide in grande, la generale, e in piccola, la polmonare; essa è poi incompleta o completa a seconda che v'ha nel cuore mescolanza o separazione fra sangue venoso e arterioso.
Il cuore è accolto nella parte craniale e ventrale del tronco, caudalmente all'apparecchio branchiale, oppure medioventralmente ai polmoni in cavità toracica. In ogni caso si trova circondato da una tonaca sierosa, il pericardio, differenziatosi dal tratto craniale della cavità celomatica: il foglietto viscerale riveste il cuore, costituendone con il nome di epicardio la tonaca esterna, e trapassa, intorno al peduncolo formato alla base del cuore dai vasi afferenti ed efferenti di questo, nel foglietto parietale della sierosa, rinforzato esternamente da un sacco fibroso, il sacco pericardiaco. Sicché il cuore, la cui parete è in tal modo costituita, procedendo dall'interno verso l'esterno, da tre tonache, l'endocardio, il miocardio e l'epicardio, sporge libero per notevole parte della sua superficie esterna in cavità pericardiaca, dove una tenue quantità di liquido facilita lo scorrimento fra i due foglietti sierosi.
Nei Ciclostomi e nei Pesci (fig. 1) il sangue venoso periferico si raccoglie nel seno venoso: di qui, attraversando l'orifizio senoatriale munito di due pieghe valvolari, passa nell'atrio del cuore, e da questo, per mezzo dell'orifizio atrioventricolare fornito dell'omonima valvola, scende nel ventricolo; il quale è provvisto di miocardio più robusto, sporgente nell'interno in forma di trabecole: disposizione questa comune ai ventricoli cardiaci di tutti i vertebrati. Dall'estremo craniale del ventricolo, attraverso un condotto valvolato, che può essere costituito dal solo endocardio ispessito e dilatato, cioè dal bulbo arterioso (Ciclostomi, Teleostei), o dall'endocardio irto internamente di valvole e rivestito da un manicotto il sangue passa nel tronco arterioso, donde per le arterie branchiali afferenti, pari e simmetriche (segmento ventrale ascendente degli archi aortici), raggiunge le branchie. Divenuto quivi arterioso, viene raccolto dalle arterie branchiali efferenti (segmento dorsale discendente degli archi aortici), radici dell'albero arterioso periferico.
Nei Dipnoi e negli Anfibî urodeli polmonati, ma in maniera più netta negli Anfibî anuri (fig. 1), l'atrio viene parzialmente suddiviso da un setto, il setto atriale, che non raggiunge l'orifizio atrioventricolare, in una metà destra, o atrio destro, che riceve, attraverso il seno venoso, il sangue venoso, e in una metà sinistra, o atrio sinistro, ove la vena o le vene polmonari recano il sangue arterioso reduce dai polmoni. I due sangui si mescolano più o meno nel ventricolo unico, nel quale scendono attraverso l'orifizio atrioventricolare rimasto indiviso; dal ventricolo parte poi un bulbo cardiaco munito di valvole a entrambe le estremità e suddiviso internamente, da un setto spirale più o meno sviluppato, in due sezioni, l'aortica e la polmonare, ma in modo che nella prima circola sangue più arterioso e meno venoso che nella seconda. Il tronco arterioso che fa seguito al bulbo si suddivide poi negli archi arteriosi o aortici, uno dei quali differenziato bilateralmente in arteria polmonare.
Nei Rettili (fig. 1) non solo si ha la completa autonomia dei due atrî e dei due orifizî atrioventricolari con le rispettive valvole, ma anche quella parziale dei ventricoli, che diviene essa pure completa nei coccodrilli. Il bulbo cardiaco, alquanto ridotto a termine di sviluppo, e il tronco arterioso si suddividono per modo che dal ventricolo destro partono due arterie, cioè l'aorta sinistra e l'arteria polmonare, dal ventricolo sinistro l'aorta destra: tutte munite all'origine di due lembi valvolari ciascuna. Mentre perciò nell'atrio destro e nel sinistro circola autonomo sangue rispettivamente venoso (recatovi dal seno venoso) e arterioso (recatovi dalle vene polmonari), nei due ventricoli si ha invece parziale mescolanza fra i due sangui: tuttavia nel ventricolo destro è in prevalenza sangue venoso, che in parte per l'arteria polmonare va ai polmoni, ma in parte per mezzo dell'aorta sinistra che confluisce poi con la destra va a mescolarsi al sangue prevalentemente arterioso, che quest'ultima reca dal ventricolo sinistro. Anche nei coccodrilli, malgrado la compiutezza del setto ventricolare, ha luogo, benché in grado minore, mescolanza fra i due sangui attraverso il cosiddetto foro del Panizza, che si sviluppa secondariamente nella continuità del setto che separa alla loro origine le due aorte. Cosicché tanto negli Anfibî polmonati quanto nei Rettili si ha circolazione doppia, ma incompleta.
Negli Uccelli e nei Mammiferi (fig. 1), a termine di sviluppo, la circolazione è invece e doppia e completa, perché anche il setto ventricolare è ininterrotto e v'ha pure indipendenza perfetta fra le arterie. Dall'atrio destro, col quale è più o meno incorporato il seno venoso con le sue valvole, il sangue venoso scende nel sottostante ventricolo attraverso l'orifizio atrioventricolare destro, munito negli Uccelli (come già nei Coccodrilli e nei Monotremi) di un solo lembo valvolare muscolare, nei Mammiferi generalmente di tre cuspidi; dal ventricolo destro il sangue passa poi in una sola arteria, la polmonare, tronco dell'albero arterioso della piccola circolazione. Il sangue arterioso, recato all'atrio sinistro dalle vene polmonari, passa nel sottoposto ventricolo attraverso l'orifizio atrioventricolare sinistro, munito generalmente tanto negli Uccelli quanto nei Mammiferi di due cuspidi; dal ventricolo sinistro, il cui miocardio ha sviluppo notevolmente superiore a quello del destro, parte una sola aorta, tronco dell'albero arterioso della grande circolazione. Tanto l'orifizio dell'arteria polmonare quanto l'aortico sono muniti ciascuno di tre valvole, dette dalla loro forma semilunari.
Il cuore dei vertebrati superiori presenta temporaneamente, nelle fasi progressive del suo sviluppo, disposizioni che riproducono più o meno quelle definitive nei Vertebrati inferiori. Nella parte ventrale e craniale del tronco comparisce precocemente un tubo endoteliale longitudinale, il tubo cardiaco, rivestito all'esterno da uno strato mesodermico, costituente il mantello mioepicardiaco. Il tubo cardiaco si origina caudalmente per la riunione di due vene, le vene vitelline destra e sinistra, cui si aggiungeranno poi le vene cardinali e le ombelicali, egualmente pari, a costituire i due condotti del Cuvier destro e sinistro confluenti nel seno venoso. Il tubo cardiaco si continua poi cranialmente nel tronco arterioso, che, biforcandosi in corrispondenza del primo arco branchiale, dà luogo al primo arco aortico; i due archi aortici destro e sinistro, ripiegandosi lateralmente, dorsalmente e caudalmente, confluiscono nell'aorta primitiva discendente, mentre a livello degli archi branchiali successivi, più o meno differenziati, si costituiscono poi bilateralmente, come anastomosi tra porzione ascendente ventrale e discendente dorsale del primo arco aortico, gli archi aortici successivi, concavi egualmente in direzione caudale, che raggiungeranno col primo il numero di sei.
Intanto il tubo cardiaco, rivestito dal mantello mioepicardiaco, da rettilineo s'è ripiegato, formando un gomito che divide la porzione venosa caudale dall'arteriosa craniale: la prima viene a spostarsi dorsalmente alla seconda ed entrambe si dilatano, mentre in corrispondenza del gomito si costituisce un breve segmento più ristretto, il canale o condotto auricolare, che riunisce la porzione venosa dorsale, divenuta atrio, all'arteriosa, ventrale. In quest'ultima si produce un nuovo ripiegamento a concavità sinistra e craniale, che la suddivide in una porzione caudale più ampia, in rapporto con il canale auricolare e che rappresenta il primitivo ventricolo, e una più craniale, in continuità con il tronco arterioso e gli archi aortici, costituente il bulbo cardiaco. Internamente, due pieghe dell'intera parete costituiscono, a livello dell'orifizio senoatriale, le valvole omonime, mentre in corrispondenza del canale auricolare e del bulbo si formano per proliferazione endoteliale speciali cuscinetti e rilievi, detti endocardiaci: nel canale auricolare sono quattro cuscinetti, due maggiori, uno ventrale, l'altro dorsale; due minori, uno destro, l'altro sinistro, circoscriventi una fessura trasversale; nel bulbo sono anzitutto due rilievi bulbari spirali, principale e secondario, decorrenti longitudinalmente a elica destrorsa; questi ad ambe le estremità entrano in rapporto con altri rilievi bulbari, detti rispettivamente craniali e caudali. Solo di rado anche nell'orifizio senoatriale compariscono cuscinetti endocardiaci, o da soli (Ganoidi), o associati alle pieghe (Anfibî). Il cuore presenta a tale stadio i caratteri del cuore semplice venoso dei Pesci a bulbo cardiaco (Selaci, Ganoidi) dove tuttavia il bulbo e i suoi rilievi spirali mostrano già la torsione veduta negli Anfibî; il setto spirale di questi è omologo allo spirale principale dei vertebrati superiori.
La suddivisione dell'atrio s'inizia, per un processo d'ineguale accrescimento, con la comparsa di un setto muscolare sagittale, il setto primo, che ricorda quello incompleto degli Anfibî, ma che scende poi, come nei Rettili, sino a raggiungere col suo margine libero, rivestito da una cresta di endotelio proliferato, i due cuscinetti endocardiaci maggiori, ventrale e dorsale, del canale auricolare saldati insieme, fondendosi con essi e suddividendo tanto questi quanto l'orifizio atrioventricolare in due metà, destra e sinistra. Tale setto atriale successivamente si perfora nella parte centrale muscolare, ove presenta perciò il cosiddetto foro ovale: alla separazione definitiva dei due atrî mercé la chiusura di tale orifizio, che avrà luogo alla nascita, provvede un altro setto muscolare, il setto secondo, che si sviluppa più tardi, e analogamente, alla destra del primo,
Per un processo simile d'ineguale accrescimento della parete cardiaca s'è iniziata intanto la suddivisione della cavità ventricolare: il setto muscolare, dapprimȧ incompleto, come nella maggior parte dei Rettili, si solleva a poco a poco sino a raggiungere la faccia inferiore dei cuscinetti maggiori fusi insieme, aderendo a essa in vicinanza del loro margine destro, mentre con il suo tratto ventrale viene a corrispondere alla base del bulbo. Quivi frattanto, per la reciproca fusione dei due rilievi spirali principale e secondario, s'è costituito il setto aorticopolmonare che suddivide il bulbo nei due segmenti aortico e polmonare, il primo dei quali si addentra, in direzione dorsale e sinistra, in una profonda incisura che si scava nella lamina risultante dalla fusione dei due cuscinetti maggiori e nella base del ventricolo sinistro. Il saldamento tra la porzione ventrale del setto dei ventricoli e il margine inferiore del setto aorticopolmonare separa definitivamente i due ventricoli, dei quali il destro rimane in continuità con il segmento polmonare, il sinistro con il segmento aortico del bulbo.
La segmentazione si continua nel tratto iniziale del tronco arterioso, dove mentre il segmento bulbare aortico si mette in rapporto con il quarto arco aortico sinistro, che diventa l'arco aortico definitivo (v. carotidi), il segmento polmonare del bulbo resta in continuità con il tratto ventrale ascendente dei due sesti archi aortici destro e sinistro, che daranno luogo ai due rami corrispondenti dell'arteria polmonare: la porzione intermedia del sesto arco sinistro, fra ramo sinistro dell'arteria polmonare e arco aortico definitivo, rimane pervia sino alla nascita come condotto arterioso, trasformandosi poi nell'omonimo legamento.
Le valvole atrioventricolari derivano in parte dai cuscinetti atrioventricolari maggiori e minori, in parte da trabecole miocardiache escavate dal lato ventricolare e successivamente divenute fibrose. Le valvole semilunari si sviluppano per escavazione principalmente dei rilievi bulbari craniali: questi sono pure dapprima in numero di quattro, due maggiori e due minori; l'estremo superiore del setto aorticopolmonare sdoppia successivamente ciascuno dei maggiori, cosicché ogni orifizio rimane da ultimo fornito di tre valvole.
Il cuore dell'uomo. - I precedenti concetti generali, vanno tenuti presenti nello studio più particolareggiato del cuore dell'uomo.
Esso si trova nella cavità toracica, nel mediastino anteriore, fra i due polmoni e cranialmente al diaframma, accolto nel pericardio. Giace per due terzi a sinistra e per un terzo a destra del piano sagittale mediano, all'altezza dei processi spinosi della 5ª, 6ª, 7ª, 8ª vertebra toracica (vertebre cardiache). Il viscere (tav. XXXIX,1-2) ha forma di cono a base rivolta dorsalmente, a destra e cranialmente, ad apice smussato diretto ventralmente, a sinistra e caudalmente. È un po' appiattito, cosicché vi si possono considerare due facce l'una cranioventrale, l'altra caudale, dette rispettivamente, dei rapporti che contraggono, sternocostale e diaframmatica: trapassano l'una nell'altra lungo due margini, uno destro, l'altro sinistro, distinti rispettivamente dai diversi caratteri, in acuto il primo, in ottuso il secondo, cosicché questo margine sinistro del cuore viene da taluno considerato come terza faccia, faccia polmonare, d'una piramide triangolare. La base è quasi interamente occupata dai grossi vasi arteriosi e venosi, che si dipartono dal cuore o vi giungono, e in corrispondenza di essa il foglietto viscerale della sierosa, l'epicardio, si riflette, come si è visto, sul foglietto parietale che tappezza la superficie interna del sacco pericardiaco.
Il cuore ha colore rossastro, dovuto al tessuto muscolare del miocardio che trasparisce attraverso l'epicardio, interrotto qua e là, lungo i solchi e i vasi cardiaci che vi decorrono, dal colorito giallo di accumuli di tessuto adiposo sottoepicardiaco. La consistenza è su per giù quella dei muscoli scheletrici: il volume fu non a torto paragonato a quello del pugno chiuso dell'individuo stesso al quale il cuore appartiene, e perciò tanto il volume quanto il peso sono maggiori nel maschio e tanto minori quanto più giovane è il soggetto; il peso medio, a termine di crescenza, oscilla tra i 260 e i 300 grammi.
Sulla superficie del cuore un solco circolare, detto solco coronario, più vicino alla base che all'apice, separa i due atrî, destro e sinistro, dai sottostanti ventricoli corrispondenti, divisi a loro volta superficialmente dai solchi longitudinali anteriore e posteriore, che, partendo dal livello del predetto solco coronario, decorrono sulle facce rispettivamente sternocostale e diaframmatica del viscere, congiungendosi un po' a destra dell'apice, ove determinano talvolta una lieve depressione, detta incisura dell'apice. Il solco coronario sulla faccia sternocostale è, nel tratto di mezzo, interrotto dall'emergenza delle arterie polmonare e aorta dalla base dei ventricoli rispettivamente destro e sinistro: la prima sorge a destra dell'origine del solco longitudinale anteriore e in un piano più superficiale, inclinata un po' verso sinistra, formando un rilievo detto cono arterioso; la seconda nasce profondamente al didietro della prima, inclinata un po' verso destra. Le origini delle due arterie sono abbracciate dalla faccia anteriore dei due atrî, che si continuano ciascuno anterolateralmente in un'appendice, detta auricola: l'auricola destra circonda l'aorta, l'auricola sinistra la polmonare.
L'atrio destro, in vicinanza della linea che lo separa sulla faccia diaframmatica dal sinistro, riceve subito al disopra del solco coronario la vena cava inferiore; sotto a essa il seno coronario; in corrispondenza della base del cuore la vena cava superiore. A destra dello sbocco delle due cave un solco, detto solco terminale, delimita un'area mediale posteriore, liscia, corrispondente al cosiddetto seno delle vene cave (seno venoso), dal rimanente della superficie esterna dell'atrio. L'atrio sinistro riceve nella faccia diaframmatica le quattro vene polmonari; le due destre presso il solco fra gli atrî, le due sinistre presso il margine ottuso del cuore.
Ciascun atrio comunica con il ventricolo sottostante per mezzo dell'orifizio atrioventricolare o venoso; ciascun ventricolo comunica poi alla sua base, per mezzo dell'orifizio arterioso, con le arterie prima ricordate. L'atrio con il sottoposto ventricolo costituisce da ciascun lato ciò che si dice comunemente cuore destro e cuore sinistro: dal punto di vista fisiologico il primo è anche chiamato cuore venoso, il secondo cuore arterioso.
Gli atrî (tav. XXXIX, 4 e 6) sono divisi da un tramezzo, chiamato setto degli atrî o interatriale, che posteriormente e inferiormente si presenta assottigliato in corrispondenza della cosiddetta parte membranacea, derivata dalla porzione del setto primo rimasta integra: tale area a destra appare depressa nella fossa ovale e contornata in avanti e in alto da un rilievo muscolare concavo, il lembo della fossa ovale, derivato dal setto secondo; nel fondo del solco che li separa è, talora anche nell'adulto, un piccolo orifizio di comunicazione dell'atrio destro col sinistro, nel quale sbocca, fra la base del detto lembo e il margine anteriore concavo della parte membranacea, la quale vi costituisce la cosiddetta valvola del foro ovale, foro del quale il detto orifizio rappresenta l'ultimo vestigio.
L'atrio destro mostra internamente la cresta terminale in relazione con l'omonimo solco della superficie esterna, e mentre la parte corrispondente al seno delle vene cave è liscía, la rimanente laterale appare irta di rilievi longitudinali piu̇ o meno paralleli, detti muscoli pettinati: essa si continua in alto nella cavità conica dell'auricola destra, dalla cui parete sporgono pure rilievi muscolari anastomizzati a rete. Il seno delle vene cave riceve le vene prima ricordate; s'aprono inoltre nell'atrio, attraverso i fori delle vene minime, piccole venuzze provenienti dalla parete cardiaca. Sul contorno anteriore dell'orifizio di sbocco della cava inferiore è la valvola della vena cava inferiore (dell'Eustachi), derivata dalla valvola senoatriale destra; è semilunare, concava in alto, e si continua anteromedialmente col corno inferiore del lembo della fossa ovale. Al davanti di tale sbocco è quello del seno coronario, pure munito di una valvola detta del seno coronario (del Tebesio), incompleta; posteromedialmente, fra gli orifizî delle due cave, è una piccola cresta trasversale, il tubercolo intervenoso (del Lower).
L'atrio sinistro è internamente liscio e presenta, oltre all'orifizio venoso, i quattro sbocchi delle vene polmonari, due destre, due sinistre, due superiori, due inferiori; anterolateralmente si continua nella cavità dell'auricola sinistra, eguale per caratteri alla destra.
Le due cavità ventricolari sono separate dal setto dei ventricoli o interventricolare, assai grosso soprattutto verso l'apice, incurvato a concavità sinistra, muscolare per la maggiore sua estensione, membranaceo, cioè fibroso e più sottile, nella parte alta e posteriore, ove può ridursi tanto da presentare in qualche caso un piccolo orifizio; tale parte membranacea si continua superiormente sino a livello dell'atrio destro, interponendosi tra questo e il ventricolo sinistro e costituendo il setto membranaceo atrioventricolare. Le pareti ventricolari sono assai più spesse delle atriali; quella del ventricolo sinistro è circa tre volte più grossa della parete del destro. Dalla loro superficie interna si sollevano fasci muscolari ricoperti dall'endocardio, detti trabecole carnee, aderenti o totalmente, o solo con ambedue le estremità, o con una soltanto di queste: in tal caso i fasci, più sviluppati, costituiscono i muscoli papillari, coni muscolari ad apice unico o multiplo, con cui si continuano nelle corde tendinee; queste, sotto forma di cordoncini biancastri più volte ramificati, vanno a inserirsi, come vedremo, alle cuspidi delle valvole atrioventricolari.
Gli orifizî venosi e arteriosi si trovano superiormente, in corrispondenza della base dei ventricoli
Ogni valvola atrioventricolare consta di cuspidi; ciascuna di queste è in forma di lembo triangolare o trapezoidale: delle due facce una, l'assiale, rivolta cioè verso l'asse dell'ostio, è liscia, l'altra, la parietale, prospetta verso la parete ventricolare e dà attacco alle corde tendinee; la base della cuspide aderisce superiormente al contorno dell'orifizio, i margini, rivolti in basso, sono frastagliati e dànno pure attacco alle corde, mentre verso la base si fondono con quelli delle cuspidi vicine o ne sono separati da piccole cuspidi accessorie interposte. L'ostio si chiude nella sistole ventricolare per il reciproco addossamento delle facce assiali e dei margini delle cuspidi, essendo impedito il rovesciamento di queste verso la cavità atriale dalle corde tendinee; si apre nella diastole per l'allontanamento delle cuspidi l'una dall'altra, permettendo la discesa del sangue dall'atrio nel ventricolo.
Ogni ostio arterioso è munito, come si è visto, di tre valvole semilunari autonome: ciascuna di queste presenta due facce, una assiale convessa, rivolta verso l'asse dell'arteria, l'altra parietale concava, rivolta verso la parete, la quale si presenta di contro alla valvola dilatata nel cosiddetto seno arterioso (del Valsalva): dei due margini della valvola l'aderente, inferiore, s'inserisce secondo una lineȧ concava in alto, al contorno inferiore del seno; il margine libero, superiore, convesso verso l'asse del vaso, presenta nel punto di mezzo un ispessimento, detto nodulo valvolare, ad ambo i lati del quale la valvola apparisce per un certo tratto marginale assottigliata nella cosiddetta lunula; all'estremità dei margini liberi, interposto fra due valvole contigue, è il nodulo intervalvolare, più sviluppato nei giovani. L'orifizio arterioso si chiude nella diastole ventricolare per il reciproco addossamento dei margini valvolari liberi, impedendo il rigurgito del sangue dall'arteria nel ventricolo; si apre nella sistole per lo scostamento delle valvole l'una dalle altre, permettendo il passaggio del sangue dal ventricolo nell'arteria.
La cavità del ventricolo destro è in forma di piramide triangolare capovolta, con due pareti, la sternocostale e la diaframmatica, un po' concave, con la terza, la settale, un po' convessa. L'orifizio atrioventricolare destro, il cui asse è su per giù parallelo all'asse longitudinale del cuore, è munito d'una valvola costituita da tre cuspidi e detta perciò tricuspidale; di tali cuspidi una corrisponde al setto e si dice quindi settale, delle altre due, dette marginali, una è anteriore, più sviluppata, l'altra posteriore. Dei muscoli papillari uno, il maggiore, è anteriore, in rapporto per mezzo delle corde tendinee con la cuspide anteriore e in parte con la posteriore; di due altri muscoli, minori e spesso multipli, uno è posteriore, collegato in modo eguale alle cuspidi posteriore e settale, l'altro, il più ridotto, è mediale e in relazione con la parte mediale della cuspide anteriore. Fra la cavità ventricolare e l'ostio arterioso è interposto un segmento imbutiforme ad apice tronco superiore, il già accennato cono arterioso, situato in avanti e medialmente al ventricolo, dal quale verso la base è separato per mezzo della cuspide anteriore e di un fascio muscolare arcuato a concavità inferiore, detto cresta sopraventricolare, inserito lateralmente alla parete sternocostale, medialmente al setto, connettendosi in basso con il muscolo papillare anteriore e con le trabecole dell'apice del ventricolo per mezzo di un fascio speciale, chiamato fascio moderatore o trabecola di Leonardo da Vinci. La superficie interna del cono è in parte liscia, in parte sollevata da trabecole poco sviluppate. L'orifizio arterioso posto in avanti, medialmente e un po' superiormente rispetto al venoso, è rivolto in alto e a sinistra: delle tre valvole semilunari una è anteriore, una destra, una sinistra (fig. 2).
La cavità del ventricolo sinistro è in forma di cono capovolto appiattito trasversalmente, così da potervisi considerare due pareti concave, una marginale, corrispondente al margine ottuso del cuore, l'altra settale, data dal setto. E un po' meno ampio del ventricolo destro. L'orifizio atrioventricolare si trova allo stesso livello del destro e ad asse egualmente parallelo a quello longitudinale del cuore, la sua valvola possiede due sole cuspidi e si dice perciò bicuspidale o più comunemente mitrale: di queste, più ampie e robuste delle destre, una è anteromediale, l'altra laterale rispetto all'ostio, e si dicono rispettivamente anteriore o aortica o anche settale, e posteriore o marginale. La prima, più ampia, è inserita per notevole tratto con la sua base al contorno dell'ostio arterioso e si trova perciò in continuità superiormente con la parete aortica anche la sua faccia parietale è liscia, rimanendo l'inserzione delle corde tendinee circoscritta al margine libero. Appartengono alla mitrale due muscoli papillari voluminosi, uno anteriore, l'altro posteriore, suddivisi in molti apici secondarî e in rapporto ciascuno, per mezzo di una ricca arborizzazione di corde tendinee, con la metà corrispondente di ciascuna cuspide. L'ostio arterioso, il cui adito è circoscritto lateralmente dalla faccia parietale della cuspide anteriore, medialmente dal setto, si trova al davanti, a destra e sullo stesso piano dell'orifizio venoso; è diretto in alto, a destra e un po' posteriormente. Delle tre valvole semilunari aortiche una è destra, una sinistra e la terza posteriore.
Come nei rimanenti Vertebrati, la parete cardiaca è costituita da una robusta tonaca muscolare, il miocardio, ricoperta all'esterno dall'epicardio e rivestita internamente in modo continuo dall'endocardio (tav. XXXIX, 6).
I fascetti del miocardio prendono in prevalenza attacco a un sistema di formazioni connettive, aventi in alcuni tratti struttura speciale, costituenti nell'insieme lo scheletro fibroso del cuore. Questo è formato anzitutto dai cosiddetti anelli fibrosi, che in numero di quattro circondano i due ostî venosi e i due arteriosi, dando inserzione alla base o ai margini aderenti dei rispettivi lembi valvolari. I due anelli degli orifizî venosi, interposti fra miocardio atriale e ventricolare, confluiscono medialmente tra loro in una massa fibrosa in continuità inferiormente con il setto membranaceo dei ventricoli, superiormente con l'atrioventricolare. Ventralmente e un po' superio1mente a questa massa e confuso a termine di sviluppo con essa è un ispessimento più robusto dell'anello aortico in corrispondenza circa della metà destra della semilunare posteriore, costituente la parte essenziale del cosiddetto trigono fibroso destro; altro ispessimento consimile minore, fuso con l'anello venoso sinistro, presenta lo stesso anello aortico in vicinanza del tratto più dorsale della semilunare sinistra, detto trigono fibroso sinistro. Lo scheletro del cuore consta di tessuto connettivo denso; in alcune zone, e di preferenza nei trigoni fibrosi, presenta accumuli di cellule di connettivo vescicolare, che raramente possono evolversi fino a divenire cartilaginee: i trigoni di altri Mammiferi presentano struttura normalmente cartilaginea o ossea (osso del cuore).
Il miocardio è suddiviso in tre sistemi distinti di fasci: atriale, ventricolare e atrioventricolare. I due primi, del tutto separati per mezzo degli anelli fibrosi atrioventricolari ai quali prevalentemente prendono attacco, constano di fibre muscolari proprie e di fibre comuni. Le fibre proprie a ciascun atrio sono disposte, alcune ad anello intorno agli sbocchi delle vene, prolungandosi perifericamente, soprattutto sulle polmonari e sul seno coronario, nello spessore della loro avventizia; altre fibre proprie entrano nella costituzione dei muscoli pettinati, della cresta terminale, del contorno della fossa ovale e specialmente del suo lembo. Le fibre comuni ai due atrî, scarse, decorrono superficialmente, parte con direzione trasversale, parte obliquamente, descrivendo un'ansa a concavità inferiore. Ciascun ventricolo possiede un sistema di fibre proprie, disposte più o meno sagittalmente ad ansa a concavità superiore e convessità corrispondente ai margini dei ventricoli; esse formano due sacchi contigui, interrotti verso l'apice, dei quali il destro circoscritto al terzo superiore del ventricolo e perciò più ampiamente aperto in basso. Le fibre comuni si dispongono anzitutto in due strati superficiali, anteriore e posteriore, interposti fra epicardio e fibre proprie. Le anteriori scendono dagli anelli fibrosi sulla faccia sternocostale, convergendo verso l'apice del sacco sinistro formato dalle fibre proprie, dove, ripiegandosi a forma di 8, penetrano nell'apertura di esso risalendo sotto l'endocardio e in parte raggiungendo così gli anelli, in parte andando a costituire i muscoli papillari. Le fibre posteriori scendono in maniera analoga sulla faccia diaframmatica convergendo verso l'apertura del sacco destro, penetrandovi e comportandosi come a sinistra. Al sistema delle fibre comuni appartengono ancora le cosiddette suturali, che riuniscono profondamente con decorso un po' obliquo, in corrispondenza del setto, i due sacchi formati dalle fibre proprie.
Per il sistema atrioventricolare v. aritmia.
Per la struttura delle fibre muscolari cardiache v. muscolare, tessuto. Il connettivo interposto ai fascetti di esse, nel quale decorrono vasi e nervi, si dispone esternamente in uno straterello sottoepicardiaco, internamente in uno straterello sottoendocardiaco (ipocardio), e si continua perifericamente, riducendosi bruscamente di spessore, nella tonaca avventizia dei vasi afferenti ed efferenti.
Per l'epicardio v. pericardio.
L'endocardio è costituito da una membrana fibroelastica rivestita internamente dall'endotelio vascolare, nella quale, soprattutto negli atrî, decorrono abbondanti fascetti di muscolatura liscia. È più spesso negli atrî che nei ventricoli, più nel cuore sinistro che nel destro: è perifericamente in continuità con le tonache intima e media (tonaca compatta) dei vasi afferenti ed efferenti del cuore. Le valvole della vena cava inferiore, del seno coronario e del foro ovale sono duplicature dell'endocardio, contenenti muscolatura cardiaca più o meno involuta, che nella prima valvola è rappresentata spesso da un fascio fibroso (tendine del Todaro). Le rimanenti valvole venose e arteriose rappresentano invece ispessimenti dell'endocardio, ai quali nelle prime si aggiunge, verso la faccia parietale, muscolatura cardiaca involuta in connettivo denso, continuo con quello delle corde tendinee aventi questa stessa genesi.
Dei vasi sanguiferi cardiaci, le arterie coronarie (v.), destra e sinistra si anastomizzano con le loro diramazioni ultime collaterali e terminali in seno al miocardio: la prima si distribuisce prevalentemente al cuore destro, alla metà posteriore del setto dei ventricoli e al tratto contiguo della parete posteriore del ventricolo sinistro; il tratto anteriore mediale della parete del ventricolo destro e il resto del miocardio sono irrigati dalla coronaria sinistra.
Per mezzo di capillari con parziale carattere di sinusoidi, le arteriole ultime trapassano nelle radici delle vene cardiache. Queste sono rappresentate principalmente dal seno coronario, decorrente sulla faccia diaframmatica, nella metà sinistra del solco coronario, da sinistra a destra; esso risulta dalla confluenza di diverse vene giacenti, come il seno e i rami delle arterie coronarie, al disotto dell'epicardio: la grande vena cardiaca, satellite del ramo discendente anteriore e del circonflesso dell'arteria coronaria sinistra; la vena posteriore del ventricolo sinistro, decorrente sulla faccia diaframmatica di questo; la vena obliqua dell'atrio sinistro, discendente dalla faccia posteriore di questo e rappresentante un vestigio della vena cava superiore sinistra (v. cave, vene); la vena cardiaca media, satellite del ramo discendente posteriore della coronaria destra e la cardiaca piccola, satellite di quest'ultima arteria. Il sangue proveniente dalla parete sternocostale e dal margine del ventricolo destro si versa direttamente, per mezzo delle vene anteriori del cuore, in numero di tre o quattro, nell'atrio destro e nella sua auricola. Esistono finalmente le vene cardiache minime che si aprono ancor più direttamente nelle varie cavità del cuore, e di preferenza nel cuore destro. Le vene del cuore sono ampiamente anastomizzate nello spessore del miocardio: le superficiali sono in comunicazione con la cava superiore.
Esistono nel cuore due reti linfatiche, una profonda sottoendocardiaca, l'altra superficiale sottoepicardiaca, nelle quali si versano i linfatici del miocardio, disposti a fitta rete intorno alle fibre muscolari. I tronchi maggiori decorrono con i vasi sanguiferi nei solchi superficiali del cuore, facendo capo alle linfoghiandole bronchiali.
I nervi del cuore provengono dal plesso cardiaco disposto intorno all'arco aortico, alla cui costituzione partecipano i rami cardiaci del nervo vago (parasimpatico) e i rami cardiaci del simpatico (ortosimpatico), superiori, medî, inferiori; destri e sinistri. Tra la concavità dell'arco aortico e il tratto di biforcazione dell'arteria polmonare il plesso presenta un ganglio nervoso, spesso frammentato, detto ganglio cardiaco. Cellule gangliari si trovano del resto diffuse anche nei plessi secondarî sottoepicardiaci, e ad esse si accompagnano pure cellule cromaffini. Tali plessi secondarî, detti coronarî, sono in numero di due, destro e sinistro, satelliti delle arterie omonime e dei loro rami, alle quali giungono seguendo l'aorta e l'arteria polmonare. Da tali plessi coronarî si costituisce un plesso sottoepicardiaco, donde si dipartono rami, i quali vanno a costituire un plesso miocardiaco e uno sottoendocardiaco. Le espansioni terminali sono in parte di natura motrice e si distribuiscono alle fibre del miocardio e accessoriamente alla muscolatura liscia dell'endocardio e dei vasi, in parte di natura sensitiva, in rapporto con l'epicardio, con l'endocardio, col connettivo interstiziale del miocardio e con le pareti dei vasi.
Bibl.: G. Favaro, Ricerche embriol. ed anat. intorno al cuore dei Vertebrati, Padova 1913-14; J. Tandler, Anat. des Herzens, Jena 1913.
Anatomia patologica.
Alterazioni cadaveriche. - Dopo la morte il cuore, per la rigidità cadaverica, si contrae e si svuota del sangue. Il semplice fatto della rigidità non altera la capacità funzionale degli elementi muscolari cardiaci giacché fino a 42 ore dalla morte cuori estratti dal cadavere con opportuni dispositivi possono riprendere la loro ritmica contrazione. Ciò fa ritenere che la rigidità ritardi quei processi asettici d'istolisi, che, a morte avvenuta, s'istituiscono negli elementi cellulari. Scomparsa la rigidità, il cuore si colora diffusamente in rosso per diffusione del pigmento sanguigno, l'emoglobina.
Alterazioni congenite. - Il cuore può presentare alla nascita alterazioni dovute a disturbi di sviluppo durante la vita endouterina. Esso può addirittura mancare (acardia) o presentare alterazioni non compatibili con la vita: una formazione rudimentale (emicardia), o una ectopia addominale o cervicale; altre meno gravi permettono la vita solo per un certo tempo, al massimo fino alla pubertà, quando il cuore mal formato non può più bastare ai bisogni crescenti dell'organismo. Tali la pervietà del dotto di Botallo, l'atresia o la stenosi della polmonare, la stenosi dell'istmo aortico, la mancanza o la pervietà del setto interventricolare, ecc.: in questi casi l'individuo, o per le difficoltà del circolo, o per la mescolanza del sangue venoso col sangue arterioso, si presenta cianotico, con le estremità delle dita a martello (morbo blu). Altre infine non disturbano la funzionalità del cuore, come la destrocardia, le variazioni in numero e le fenestrature delle valvole semilunari, i tendini aberranti e talora anche la persistenza del foro di Botallo che, pur amplissimo, può non dare segni di sé. Compatibile con la vita è anche una piccolezza congenita del cuore, aplasia (da non confondersi con l'atrofia, nel qual caso il cuore si presenta anche bruno, per un addensamento del pigmento che è contenuto nei suoi elementi cellulari, e le arterie coronarie presentano decorso tortuoso), congiunta a un'abnorme piccolezza dei grossi vasi (clorosi vascolare). Questa alterazione si riteneva costituisse la base anatomica di quella grave anemia detta clorosi che oggi si riferisce a un disturbo nella funzionalità ovarica. La clorosi cardiovascolare, invece, predispone alla tubercolosi polmonare anche quegli individui che non presentano il cosiddetto abito tisico (tipo longilineo).
Nella vita endouterina si possono anche avere delle endocarditi, elettivamente localizzate nel cuore destro, che possono determinare fatti di stenosi o d'insufficienza, talora gravissimi.
Alterazioni della vita estrauterina. - Più numerose sono le malattie che il cuore può presentare dopo la nascita. Quelle che interessano la parte contrattile (miocardio) influiscono sulle pulsazioni facendone variare il numero, l'ampiezza, la regolarità e sono spesso di natura degenerativa e determinate da tossici circolanti, che possono essere in rapporto ad alterazioni del ricambio, a infezioni in corso (specialmente attiva in questo senso è la tossina difterica), ad avvelenamenti (arsenico, fosforo, cloroformio ecc.). La forma più lieve di degenerazione è quella albuminosa, che rigonfia il miocardio rendendolo friabile e dandogli un aspetto opaco pallido, e che può, levata la causa, facilmente regredire. Più grave è la degenerazione grassa (costante a osservarsi nell'anemia perniciosa), che non può regredire, che può condurre alla paralisi cardiaca e che si riconosce, se localizzata, da un aspetto tigrato che assumono determinati sistemi trabecolari; se diffusa, da un aspetto giallo pallido di tutto l'organo. Si parla in questi casi di cuore grasso (e il grasso deriva direttamente dalle albumine cellulari) in contrapposto al cuore adiposo (frequente a trovarsi negli obesi) che si ha quando il tessuto adiposo che si trova in eccesso sotto l'epicardio si approfonda a dissociare il miocardio. Alterazione degenerativa anche più grave è la necrosi che si stabilisce in quei tratti di miocardio che per restrizione o chiusura completa dei rami arteriosi nutritizî (rami delle arterie coronarie) sono resi piü o meno completamente anemici. Queste aree necrotiche sono scolorate e molli; e questo processo di rammollimento s'indica col nome di myomalacia cordis. Se le aree sono molto estese possono condurre a morte più o meno istantanea, col quadro talora della angina pectoris, o essere letali per rottura subitanea del cuore e versamento del sangue nel cavo pericardico (emopericardio). Quando guariscono, con la loro trasformazione fibrosa, producono i cosiddetti calli cardiaci, che, essendo ricchi di fibre elastiche, facilmente si sfiancano producendo l'aneurisma cordis, il quale pure, rompendosi, può essere causa di morte. Se i focolai di miomalacia sono piccoli e multipli, facilmente guariscono e ne residuano piccoli tratti fibrosi che nel miocardio danno un aspetto simile a quello che deriva dalla guarigione di focolai multipli infiammatorî che talora nel miocardio si possono istituire (miocardite fibrosa).
Le alterazioni infiammatorie del miocardio dipendono dal trasporto per via sanguigna di svariati microrganismi patogeni. Alcuni sono noti, come quelli della suppurazione, che determinano nelle carni del cuore numerosi piccoli ascessi (solo raramente si formano ascessi voluminosi che possono condurre alla rottura del cuore), o quelli dell'infezione puerperale, che determinano una miocardite spiccatamente degenerativa; altre volte sono ignoti, come quelli dell'infezione reumatica, che dete minano pure piccole lesioni a focolaio date da aggruppamenti cellulari a disposizione perivasale.
L'endocardio può, tanto nella sua porzione parietale quanto nella valvolare, presentare delle lesioni degenerative varie, quali la degenerazione grassa a placche biancogiallastre, o la sclerosi a forma d'ispessimenti biancastri, che possono essere in rapporto o a fatti infiammatorî pregressi o a fatti semplicemente irritativi (e allora si parla di endocardosi). La più grave è quella che si accompagna all'aterosclerosi dei grossi vasi e consiste in un processo iperplastico degenerativo che conduce a ispessimenti, calcificazioni, retrazioni valvolari, oasi anatomiche queste dei cosiddetti vizî valvolari che, se possono essere dati da questi fatti degenerativi, più spesso rappresentano l'esito di lesioni infiammatorie. Queste ultime si manifestano in svariate infezioni (da diplo-, strepto- o stafilococchi, e nell'infezione reumatica) per localizzazione sull'endocardio di microorganismi patogeni che determinano, dove si soffermano, una mortificazione superficiale del tessuto sulla quale, precipitando della fibrina e conglutinandosi delle piastrine, si formano delle verrucosità più o meno rilevate e voluminose (endocardite verrucosa o produttiva) o delle mortificazioni che determinano delle ulcerazioni più o meno profonde (endocardite ulcerosa o maligna). Questi fatti produttivi o ulcerativi già nel periodo acuto, restringendo o ampliando gli orifizî valvolari, poitano gravi perturbazioni nel circolo sanguigno e possono determinare gravi complicazioni per il distacco sia delle masse verrucose sia delle masse necrotiche messe in libertà dal processo ulceroso, masse che, portate dal sangue a distanza, determinano in varî organi occlusioni vascolari con mortificazioni (infarti ischemici), specialmente gravi se si verificano nell'ambito cerebrale, o se, portando con sé i germi patogeni determinano, nei varî organi dove si arrestano, l'insorgenza di focolai infiammatorî. Passati i pericoli delle infiammazioni acute, se queste si rinnovano (come avviene nell'endocardite ricorrente) o se le lesioni del periodo acuto passano a guarigione con esiti d'ispessimenti o di retrazioni, ne residuano alterazioni permanenti o dell'endocardio parietale o, più frequentemente, delle valvole e degli orifizî, rappresentate da fatti d'insufficienza o di stenosi, che possono presentarsi isolatamente o insieme associate; queste alterazioni costituiscono la base anatomica dei cosiddetti vizî di cuore. Alle insufficienze e alle stenosi valvolari, il cuore per mantenere l'equilibrio idraulico della circolazione deve rispondere con maggior lavoro e così a poco a poco s'ipertrofizza. Le ipertrofie per lo più, inizialmente sono parziali e s'istituiscono nelle pareti muscolari di quelle cavità che hanno le valvole o gli orifizî lesi: così, variando la sede di queste lesioni e la loro gravità, variano la sede e l'intensità di questi stati ipertrofici. Nella stenosi della mitrale l'orecchietta sinistra s'ipertrofizza e insieme si dilata, nel piccolo circolo polmonare il sangue ristagna ed essendo chiamato così a un maggior lavoro il ventricolo destro, la sua parte alta si ipertrofizza, mentre il ventricolo sinistro, che riceve poco sangue, si atrofizza. Nell'insufficienza invece della mitrale, si ha ipertrofia dell'orecchietta sinistra, e per la stasi che si stabilisce nel circolo polmonare, ipertrofia del ventricolo destro, ma insieme s'ipertrofizza anche il ventricolo sinistro, perché a ogni diastole riceve una quantità maggiore di sangue. Questi fatti si esagerano quando insufficienza e stenosi si trovano insieme nella valvola mitrale.
Nella stenosi dell'aorta, il ventricolo sinistro s'ipertrofizza e si allunga e più ancora s'ipertrofizza nell'insufficienza dello stesso orifizio. L'ipertrofia miocardica s'osserva specialmente nei giovani (nei vecchi con vizî valvolari il cuore più facilmente si dilata) e per un certo tempo è sufficiente a mantenere l'equilibrio del circolo (compenso cardiaco); successivamente, per un aggravarsi delle lesioni valvolari, o per stati degenerativi che per cause diverse possono istituirsi nel miocardio, non basta più e allora si ha lo scompenso cardiaco, che si fa risentire specialmente sul circolo refluo venoso: si ha così ristagno di sangue nei polmoni, nella milza, nel fegato, nei reni ecc., che ne restano profondamente alterati (visceri da stasi); l'individuo si fa cianotico, compaiono degli edemi, dapprima nelle parti distali, poi in tutto il corpo (stato anasarcatico) e la morte avviene in stato di paralisi cardiaca, con forte sfiancamento del ventricolo destro.
Nei vizî di cuore inveterati e complicati, tutto il cuore gradatamente si fa ipertrofico. Questa ipertrofia totale, però, si può vederla istituirsi dal semplice e continuato aumento di lavoro al quale è sottoposto il cuore per necessità professionali, o per la necessità di far circolare le forti quantità di liquidi ingeriti dai bevitori di vino, birra, o anche semplicemente di acqua.
Le ipertrofie tanto generali quanto parziali possono essere concentriche, quando l'aumento di spessore della parete va a detrimento della cavità, eccentriche, quando all'ipertrofia si accompagna una dilatazione della cavità. Va ricordata l'ipertrofia concentrica del cuore sinistro, che si trova nelle nefriti croniche interstiziali.
I vizî valvolari cardiaci sono diagnosticabili all'ascoltazione, in determinate e ben conosciute sedi della regione cardiaca; gli stati ipertrofici per l'aumento, alla percussione dell'area di ottusità cardiaca; lo scompenso dal comparire degli edemi cutanei, dalla colorazione cianotica delle labbra, dalla difficoltà del respiro.
Nel pericardio si può avere un aumento rilevante nel liquido che v'è contenuto (idropericardio), sia in rapporto a semplici fatti di trasudazione, come avviene nei cardiaci scompensati, sia in rapporto a stati infiammatorî: in questi casi il liquido o è semplicemente sieroso (pericardite sierosa) o fortemente torbido, perché vi sono contenuti fiocchi di fibrina (p. fibrinosa) o perché v'è contenuto del pus (p. purulena) Non avvenendo la morte per organiazazione dell'essudato fibrinoso (che, se è molto abbondante, per i movimenti del cuore assume una disposizione villosa (cuore villoso), residuano delle aderenze tra le due lamine del pericardio, o parziali (sinechie) o generali (sinfisi del pericardio). Poi, oltre che nell'emopericardio per rottura del cuore, si può avere sangue nel sacco pericardico anche in rapporto ad alcuni stati infiammatorî (pericardite fibrinosa emorragica) e allora è logico sospettare un processo tubercolare. Alla tubercolosi il cuore è del resto poco disposto giacché sono rarissimi i casi di tubercolosi del miocardio o dell'endocardio. Anche la sifilide raramente interessa il cuore e delle sue rare manifestazioni la più frequente è la gomma.
Quando lesioni infiammatorie o degenerative colpiscano insieme mio- endo- e pericardio, come avviene nei casi più gravi, si parla di pancardite. Anche i tumori primitivi del cuore sono molto rari. O derivano dall'endocardio e in questo caso hanno struttura prevalentemente mixomatosa, o dal miocardio e allora sono costituiti da fibrocellule muscolari del tipo embrionale (rabdomiomi). Rari sono anche i tumori secondarî: tali le metastasi sarcomatose del cuore destro per frammenti di sarcoma portativi dal sangue o, le metastasi carcinomatose portate al cuore, segnatamente nel pericardio, dai linfatici. Rarissimi poi sono i parassiti nel cuore.
Molte volte si hanno, clinicamente, gravi alterazioni nella funzionalità cardiaca senza che poi l'indagine anatomica metta in rilievo alcuna chiara lesione nel cuore. Ciò può dipendere o da lesioni del complesso apparato nervoso che regola la funzionalità del cuore, e si parla allora di disturbi funzionali riflessi (che possono talora dare la complessa e grave sintomatologia dell'angina pectoris, come s'è visto in qualche caso avvenire per disturbi gastro-intestinali), o da lesioni nell'ambito delle ghiandole a secrezione interna i cui prodotti di secrezione possono accelerare, ritardare o comunque alterare la contrattilità cardiaca. Altre volte può trattarsi di lesioni anatomiche del cuore, che solo l'indagine istologica può mettere in rilievo (tra queste oggi non si ammette più la cosiddetta fragmentatio o segmentatio cordis consistente in una rottura più o meno regolare delle fibre muscolari ridotte a piccolissimi frammenti, perché oggi tale lesione è riferita alle energiche ultime contrazioni cardiache preagoniche), lesioni che acquistano una speciale gravità se localizzate al fascio di conduzione atrioventricolare (v. aritmia) e che possono essere le uniche alle quali si possa riferire la morte in quel complesso sintomatico conosciuto col nome di malattia di Adams Stokes (v.), malattia nella quale molte volte il fascio atrio-ventricolare mostra delle lesioni anche macroscopicamente rilevabili (piccoli ascessi, focolai sclerotici, spandimenti emorragici ecc.). (V. tav. XL).
Bibl.: Cfr. i Trattati di anatomia patologica, specie: H. Huchard, Traité des maladies du coeur, Parigi 1899; G. Banti, Anatomia patologica, Milano 1907; U. Romberg, Lehrbuch d. Krankheiten d. Herzens u.d. Blutgefässe, Stoccarda 1909; L. Aschoff, Trattato di anatomia patologica, Torino 1914; P. Foà, Trattato di anatomia patologica, I, Torino 1920; E. Kaufmann, Anatomia patologica, Milano 1926.
Alterazioni dovute a sforzo. - La questione delle alterazioni acute del cuore sotto lo sforzo è stata studiata in modo particolare negli atleti. In generale si ritiene che i cuori normali sotto gli sforzi si rimpiccioliscono e tali possono permanere anche per due giorni (Rautmann). Per determinare la normale grandezza del cuore di uno sportivo in piena attività, bisogna dunque esaminarlo dopo almeno tre giorni di riposo. La mancanza di impiccolimento da sforzo non è utilizzabile per la valutazione del rendimento perché di dubbio significato. Può essere dovuto al fatto che un cuore forte non ha risentito uno sforzo troppo tenue per esso. L'ingrandimento del cuore sotto lo sforzo indica dilatazione cardiaca e perciò quasi sempre minorazione del rendimento, però può essere segno anche solo di aumentato tono diastolico vagale del cuore, collaterale della bradicardia e della bassa pressione arteriosa, dovute tutte alla vagotonia da allenamento. Le dilatazioni cardiache da sforzo si correggono quasi sempre in 3-4 settimane con astensione da sforzi, ma anche si riproducono con facilità se lo sportivo torna troppo presto allo sport. Quindi occorre prudenza nelle riammissioni agli sport d'individui dai cuori dilatati e di recente normalizzati. I cuori sforzati sono da trattarsi terapeuticamente con la massima diligenza. Oltre al riposo corporeo assoluto, giovano la digitale, la caffeina e in generale tutti i cardiocinetici. Quando lo scompenso cardiaco si è corretto, conviene praticare una cura stricnica a dosi progressive per iniezioni, che rende più stabile il compenso. Il ritorno alla vita normale deve essere molto lento; solo dopo alcuni mesi di vita normale si potranno concedere esercizî progressivi e prudenti.
Chirurgia del cuore.
La chirurgia del cuore può ritenersi una conquista recente della chirurgia, perché per lunghi secoli qualsiasi lesione del cuore fu ritenuta immediatamente mortale. Persino il contatto con lo specillo veniva ritenuto causa d'arresto e quindi di morte. "Ferito il cuore muore l'animante", oppure "le ferite del cuore sono di necessità mortali per due principalissime cagioni, una che si evacua gran quantità di spirito vitale e l'altra che le vene e le arterie ferite mandano tanta copia di sangue per soccorrere al cuore, come a suo re, che, invece di giovare, soffocano lo spirito vitale e dànno la morte al paziente" (Il chirurgo, di Tarduccio Saloi da Macerata, 1642). Così D. Giordano riassume le idee dell'antichità sulle ferite del cuore.
Ma non era sfuggito al Morgagni un fatto che si può ritenere il fondamento della moderna chirurgia del cuore, e cioè che le ferite del cuore non sono sempre immediatamente mortali e che molti feriti vengono a morte tardivamente e lentamente o per il blocco progressivo del cuore per riempimento del pericardio, o per complicazioni settiche tardive, ma non ne dedusse i corollarî chirurgici, perché era ancora sotto l'impressione dell'intangibilità del cuore: "si arrestò incautamente il moto del cuore in due uomini feriti nei quali fu appressato al cuore o uno specillo o un dito". Solo nel corso del sec. XIX la chirurgia sperimentale spianò la strada alla chirurgia umana, dimostrando la possibilità tecnica di scoprire il cuore e di praticare su di esso suture e interventi destinati a riparare ferite praticate nelle varie parti.
Nel 1896, quasi contemporaneamente, E. Rehn praticava con successo la sutura del cuore in Germania, e Farina in Roma all'ospedale della Consolazione praticava la prima sutura del cuore. Il cuore s'era perfettamente cicatrizzato, ma il paziente morì di pneumonite in 7ª giornata. Nell'anno seguente Parozzani suturava una ferita di 2 centimetri della punta del cuore. Da allora gli esempî si sono moltiplicati e sono oramai numerosi i feriti sottratti a certa morte da un intervento tempestivo. Contemporaneamente si veniva sviluppando anche una chirurgia, non più d'urgenza, ma di elezione; così durante la guerra mondiale furono estratti ripetutamente con successo proiettili dal cuore e attualmente è allo studio sperimentale e clinico una chirurgia dei vizî valvolari del cuore.
Perciò interessa al chirurgo non solo lo stato attuale del cuore con le sue eventuali anomalie congenite e acquisite, che sono facilmente riconoscibili coi comuni mezzi d'indagine, bensì anche gli stati latenti di debolezza causati in genere da lesioni del miocardio o da deficienze dell'innervazione. Nessuno dei mezzi attualmente in uso permette di scoprire con certezza questi stati latenti. Tuttavia con esame accurato, clinico e radioscopico, elettrocardiografico eventualmente, le varie prove dell'esauribilità del cuore, le prove di Gezmak, di Aschner, di Kaufmann, di Rehn, consentono di scoprire talvolta alcuni dati sospetti e specialmente l'ipoplasia vasale e la permanente grandezza del timo, che è uno degl'indizî dello stato timico, tanto temibile per la narcosi e per gli stati successivi. Anche l'esame del ricambio basale può essere utile da questo punto di vista.
Il cuore interessa il chirurgo sia direttamente, in quanto può essere oggetto d'interventi chirurgici, sia indirettamente in quanto dalla sua validità dipende molte volte il risultato d'un intervento praticato in parti molto lontane, perché nel decorso di un'operazione o nel decorso postoperatorio sono messe a prova non solo le forze attuali del cuore ma anche e soprattutto i suoi poteri di riserva. Nei casi d'arresto del cuore, specialmente durante un intervento chirurgico, si può tentare di rianimare il cuore e di stimolarlo alla Concentrazione col massaggio. Questo può essere indiretto e diretto. Indiretto è il massaggio toracico del cuore praticato con colpi ritmici ripetuti sulla regione cardiaca; il massaggio transdiaframmatico, che si pratica premendo il cuore ritmicamente tra una mano applicata sulla regione cardiaca e l'altra introdotta attraverso un'incisione laparatomica sopraombellicale e applicata sulla faccia inferiore del diaframma. Il massaggio diretto può venire praticato aprendo la cassa toracica e il sacco pericardico.
La puntura del cuore può venire praticata per varie indicazioni. Fu già praticata per l'estrazione dell'aria dal ventricolo destro nell'embolia gassosa, ma questo metodo non ha dato risultati. Attualmente si pratica spesso, e con qualche ottimo risultato, negli arresti del cuore o per sincope cloroformica o per morte apparente ecc., nei primi quindici minuti. Sono noti i casi di cosiddetta resurrezione d'individui ritenuti morti con l'iniezione di adrenalina (1:1000) in quantità di 1 cmc., sola o associata con l'ipofisina, con la strofantina, con la caffeina. Naturalmente se il cuore è effettivamente arrestato, per spingere questi liquidi nelle coronarie è necessario premerlo artificialmente col massaggio indiretto, con la respirazione artificiale, con la posizione a bacino elevato e a capo declive. Per facilitare la penetrazione del liquido medicamentoso nelle coronarie, qualcuno anche consiglia, in base a esperienze sull'animale, l'iniezione retrograda nelle carotidi (A. Herlitzka). L'iniezione nel cuore viene praticata di solito nel 4° spazio intercostale sinistro, subito accanto al margine sternale, penetrando così nel ventricolo destro. L'ago deve essere lungo e molto sottile per non ledere il miocardio e provocare emorragie.
Le ferite del cuore si possono considerare come il più importante campo d'azione del chirurgo. Si possono avere delle rotture sottocutanee del cuore per traumi ottusi, analoghe a quelle del polmone, del fegato ecc. Si può trattare di lacerazioni, di scoppî, di lesioni per torsioni, oppure di lesioni gravi causate da traumi molto intensi, come urti da respingenti ferroviarî, passaggio di veicoli pesanti ecc. Per traumi ottusi e anche per bruschi aumenti della pressione sanguigna si può avere una rottura dei muscoli papillari, dei fili tendinei, dei pizzi valvolari. Per queste lesioni, se guariscono, si può avere un'insufficiente funzione cardiaca e quindi anche un vizio di cuore di netta origine traumatica. Questi casi hanno una notevole importanza dal punto di vista medico legale. Sono noti alcuni casi di ferite del cuore da infissione di pali di metallo (cancellate) guariti con l'intervento chirurgico.
Le ferite del cuore propriamente dette sono causate da armi da punta (pugnale, baionette), o da taglio (sciabola, daga), o da punta e taglio (coltello), o finalmente da armi da fuoco. Ma la distinzione di gran lunga più importante è quella di ferite penetranti e ferite non penetranti: nelle prime la parete del cuore è traversata a tutto spessore e una delle quattro cavità del cuore comunica con la cavità del pericardio ed eventualmente, attraverso questo, col cavo pleurico e con l'esterno. Talvolta s'osservano ferite attraversanti, cioè che traversano il cuore da parte a parte, facendo anche eventualmente comunicare due cavità del cuore tra loro. Sono spesso ferite di arma da fuoco, ma anche una ferita da punta può essere attraversante. Naturalmente le penetranti, e soprattutto le attraversanti, sono di gran lunga le più gravi; tuttavia anche quelle non penetranti, specie se interessano rami importanti delle coronarie e se costituiscono lunghi solchi nel miocardio, possono essere molto gravi, sia immediatamente sia tardivamente, per i fatti di miomalacia che s'osservano in parti più o meno estese del miocardio per disturbi di nutrizione. Quelle non penetranti che dànno luogo a un lento stillicidio di sangue nel pericardio conseguono assai spesso l'intervento chirurgico. Prima della guerra mondiale prevalevano le ferite da punta e da taglio; la guerra ha notevolmente accresciuto il numero delle ferite d'arma da fuoco sottoposte a interventi.
Meritano un cenno speciale le ferite d'arma da fuoco penetranti in cui il proiettile, giunto nel cuore, vi rimane talvolta incuneato nella parete. Per il loro riflesso sul cuore meritano di essere ricordati i casi nei quali il proiettile rimane incuneato nel cavo pericardico. O. Uffreduzzi ha estratto una palletta di shrapnell completamente libera da 20 giorni nel cavo pericardico, e che si spostava facilmente sotto il controllo radioscopico. Dava gravi disturbi cardiaci (aritmie, accessi stenocardici), sebbene non avesse prodotto alcuna reazione infettiva del pericardio. La guarigione è stata completa e i disturbi cardiaci erano già scomparsi al risvegliarsi dell'ammalato dopo la narcosi.
I proiettili della parete del cuore possono venire operati primitivamente o tardivamente. L'intervento tardivo deve essere vagliato molto attentamente, perché molto spesso il proiettile è perfettamente tollerato e vi sono soldati che hanno persino potuto continuare il loro servizio con un proiettile incuneato nelle pareti del cuore. Si deve però anche ricordare che questi proiettili possono migrare nell'interno del cuore con gravi conseguenze.
Altre volte invece il proiettile giunge nella cavità e sono noti alcuni casi in cui il proiettile è rimasto nella cavità di un ventricolo, dando luogo a scarsi disturbi e rarissimamente anche a interventi per l'estrazione. Altre volte in casi analoghi furono osservati gravi disturbi: dispnea, cardiopalmo, accessi stenocardici, fenomeni d'insufficienza mitralica.
Talora il proiettile può essere trascinato dalla corrente sanguigna sia nel piccolo sia nel grande circolo e talvolta può migrare anche contro la corrente sanguigna, p. es. scendendo a ritroso lungo la vena cava inferiore. Naturalmente anche proiettili penetranti in una vena possono giungere al cuore e rimanere in esso o essere di nuovo proiettati nella polmonare determinando l'occlusione di questa e dei suoi rami.
Nel cuore possono rimanere infissi gli strumenti che l'hanno ferito: così sono noti casi di aghi infissi nella parete del cuore, sporgenti nelle cavità; altre volte rimane infitto un pugnale o un coltello. Se la morte non è avvenuta subito, sarebbe un errore togliere l'arma dalla ferita prima d'avere chirurgicamente scoperto il cuore, perché l'emorragia potrebbe aggravarsi e farsi rapidamente mortale e inoltre la presenza dell'arma permette durante l'intervento di scoprire più facilmente il punto leso. Aghi possono giungere al cuore anche attraverso l'esofago e sono noti casi di morte in cui fu trovato casualmente un ago passato dall'esofago; più spesso ne deriva una pericardite purulenta che non un'emorragia.
È nozione ormai classica che le ferite penetranti, se non interessano un ramo principale delle coronarie, sanguinano assai poco; tra le penetranti l'emorragia segue una legge relativamente costante, e cioè essa è in rapporto inverso allo spessore della parete, a parità di pressione e d'altre circostanze; così sanguinano più intensamente e più lungamente e tendono meno alla spontanea cessazione le emorragie dell'atrio e dell'orecchietta. Meno intensa è l'emorragia d'una ferita del ventricolo destro, e il ventricolo sinistro sembra avere le maggiori risorse per l'arresto spontaneo dell'emorragia in grazia della sua spessa e potentissima parete muscolare.
La sintomatologia corrisponde alla straordinaria varietà delle lesioni. Tutti sanno come sia difficile giudicare dalla sede della ferita l'interessamento del cuore; ferite situate nettamente sulla regione cardiaca possono lasciare il cuore intatto, mentre il viscere può naturalmente essere colpito da ferite piuttosto lontane. È molto raro che si possa osservare l'emorragia versarsi all'esterno attraverso un'ampia breccia del torace e che si possa ascoltare un rumore caratteristico di sibilo o di trillo per la fuoruscita del sangue nel pericardio. Tra i segni importanti vi è lo shock, il quale però nel caso speciale è difficile dire quanto sia dovuto a riflessi per la dilatazione del sacco pericardico e quanto all'emorragia stessa, la quale causa, com'è noto, uno stato shock simile molto notevole e non sempre facile a distinguere dal vero shock. Nell'uno e nell'altro caso il fatto predominante è la caduta della pressione. Lo stato d'anemia, il pallore, l'agitazione, il sudore freddo, il polso piccolo e frequente, talvolta raro e aritmico, sono segni molto importanti. In alcuni casi fu osservato uno stato sincopale, uno stato d'incoscienza, che talvolta dura fino alla morte, altra volta scompare dopo poco tempo dalla lesione e dà luogo a fatti di eccitamenti (shock eretistico).
Caratteristico è in genere il grado del cosiddetto blocco o tamponamento del cuore, che domina il quadro in una gran parte di queste ferite e che ha un notevole interesse anche fisiopatologico. Col versamento progressivo di sangue nel cavo pericardiaco il pericardio si distende e si crea su esso una tensione che si ripercuote sul cuore. Ciò rende i movimenti del cuore più difficili e penosi e finalmente il cuore è vinto nel suo sforzo dalla tensione dell'ambiente e finisce per arrestarsi, nel momento in cui la tensione supera la forza diastolica del cuore. Il sangue venoso, che dovrebbe penetrare nel cuore destro, non riesce più a farlo, e s'osserva un'intensa stasi nel campo della cava superiore. Le vene del collo sono dilatate e piene. Corrispondentemente il polso si fa sempre più piccolo e poi impercettibile, senza rapporto talvolta con lo stato d'anemia. Contemporaneamente il rallentamento del piccolo circolo produce un quadro di asfissia, si osserva dispnea e cianosi. L'ammalato ha senso di peso, dolore a tipo anginoide con irradiazioni al braccio sinistro e alla spalla dovuto alla distensione del pericardio. La durata di questi fenomeni è tutta in rapporto con l'intensità dell'emorragia e col potere d'adattamento, e può portare a morte in pochi minuti; però sono noti casi in cui questo quadro si è protratto per settimane.
In genere v'è un certo rapporto inverso tra i sintomi di blocco del cuore e l'anemia. Se il sangue che si versa nel pericardio rimane chiuso in questo, l'anemia sarà scarsa, perché l'aumento della tensione è già un fattore d'emostasi, ma diminueranno i fenomeni di blocco. Se l'apertura del cavo pericardico è ampia e il sangue invece di raccogliersi in esso si verserà all'esterno o nel cavo pleurico, in tal caso l'emorragia sarà intensa continuativa, e quindi la tendenza all'arresto spontaneo scarsa, l'anemia progressiva sarà dominante nel cuore e mancheranno i sintomi di blocco del cuore.
Per quanto si sia detto che la sede della ferita può trarre in inganno, perché ferite anche lontane dalla regione cardiaca possono raggiungere il cuore, tuttavia è certo che se si tratta soprattutto di ferite d'arma bianca e anche di ferite d'arma da fuoco a canale completo, nelle quali si possa esattamente ricostruire il tragitto, il criterio topografico ha un grande valore per farci sospettare la lesione del cuore. Quando il sospetto sussiste, la diagnosi guadagnerà consistenza se si osservano i fenomeni inerenti all'emorragia e soprattutto l'anemia acuta progressiva e i fenomeni inerenti al blocco del cuore con tutti i sintomi sopra ricordati. Questi sintomi, specie gli ultimi, hanno un'importanza veramente decisiva, perché è vero che in casi eccezionalissimi fu riscontrato il blocco del cuore anche senza lesione dell'organo perché il cavo pericardico si può riempire anche per lesioni di un'arteria della parete toracica (intercostale, mammarica interna) e bloccare ugualmente il cuore, ma nella grandissima maggioranza dei casi nel blocco del cuore si tratta realmente di ferita del cuore; del resto l'indicazione operatoria sussiste ugualmente urgente anche nei rari casi di blocco del cuore in cui il cuore è intatto.
È raro che s'abbia tempo e opportunità di vedere con l'esame radioscopico l'ombra del pericardio pieno. In questi casi l'ombra cardiaca è sostituita dall'ombra del cavo pericardiaco disteso con la sua tipica forma quadrangolare.
Terapia. - La grande maggioranza delle ferite del cuore è immediatamente mortale e si sottrae perciò a qualsiasi provvedimento terapeutico. La piccola percentuale, forse non superiore al 10%, dei casi che si protraggono e dànno tempo d'intervenire utilmente, è oggetto di grande discussione, perché, mentre un numero notevole di chirurghi è favorevole all'intervento appena diagnosticata una ferita del cuore, altri, tenendo conto della gravità dell'intervento e del fatto che un numero discreto delle ferite non immediatamente mortali passa a guarigione spontaneamente, consigliano l'aspettativa e la cura medica e sintomatica. Tuttavia queste discussioni sono in gran parte oziose, perché nella maggioranza dei casi l'intervento è indicato dalla gravità dei sintomi rapidamente accentuantisi e vi sono quelle generiche indicazioni d'urgenza che non consentono esitazioni e ritardi, e anche in quei casi che dànno l'illusione d'un relativo sedarsi e attenuarsi dei fenomeni; la morte sopravviene spesso tardivamente e per l'intervento di complicazioni settiche, per embolie tardive e anche per il ripetersí improvviso dell'emorragia (mobilizzazioni tardive di trombi, emorragie a ripetizione ecc.). Perciò è certo che a ferita del cuore diagnosticata l'intervento è indicato, sempre che l'ambiente in cui il ferito è stato trasportato sia adatto e il chirurgo abbia sufficiente esperienza per accingersi a uno degl'interventi più gravi e impressionanti della chirurgia. Anche l'avvenire dell'ammalato operato è migliore di quello guarito spontaneamente, per il pericolo di formazioni aneurismatiche, per la possibilità di penetrazioni secondarie di proiettili incuneati nella parete, per la possibilità di risvegli tardivi di fatti infettivi intorno al proiettile. Per tutto ciò e per molte altre considerazioni, allo stato delle nostre conoscenze dobbiamo ritenere che, pur ammettendo che il giudizio debba caso per caso essere lasciato al chirurgo in decisione così grave e difficile, sussista la generica indicazione operatoria in ogni caso di ferite del cuore certamente o molto verosimilmente diagnosticata. Molto più riservata deve essere la decisione agl'interventi tardivi per estrazione di proiettili già tollerati.
Un intervento sul cuore presuppone una buona conoscenza delle condizioni anatomiche, perché sia possibile l'apertura del pericardio senza aprire contemporaneamente la pleura, sia per il pericolo del pneumotorace estemporaneo chirurgico, sia per il pericolo che alla pleura si diffondano fatti infettivi inerenti alla ferita del pericardio e del cuore.
È difficile dare un giudizio per ora sui risultati di questi interventi e stabilire cifre di mortalità. Non tutti i casi vengono comunicati e non tutti vengono sufficientemente seguiti. Il Rehn registra una mortalità del 60%; più tardi la mortalità è diminuita e fu dal Hesse fissata sul 47%. Le cause di morte più frequente sono l'anemia acuta, già troppo avanzata e incompatibile con la vita al momento dell'operazione, e l'infezione, sia del pericardio sia della pleura. Seguono come cause di morte la polmonite e le embolie postoperatorie. I postumi invece sono assai lievi, le distensioni della parete del cuore nel punto ferito e suturato e la formazione di dilatazioni aneurismatiche sono rare; sono invece numerosi tra i guariti quelli che non ebbero più disturbi di sorta e poterono tornare alle loro occupazioni.
I progressi della chirurgia delle ferite del cuore hanno suscitato speranze e incoraggiato ricerche sperimentali con più audaci intenti. Intanto la chirurgia sperimentale ha studiato e risolto importanti problemi riferentisi alla patologia delle arterie coronarie; sono allo studio i problemi inerenti alla funzione di nervi che giungono al cuore e da molte parti, come si è detto, si tende allo studio di una cura chirurgica dei vizî valvolari del cuore. Il Sauerbruch è riuscito sul cadavere di un ammalato nel quale aveva divisato d'intervenire e morto prima dell'intervento a recidere l'orlo della valvola anteriore in una stenosi aortica di alto grado. Un tentativo del Doyen di recidere in una donna di 28 anni una stenosi congenita della polmonare è fallito e l'ammalata è morta. Il Tuffier incise il ventricolo sinistro di un ammalato e avrebbe col dito dilatato per via smussa la stenosi delle valvole aortiche. L'ammalata sarebbe migliorata. Il Cutler su quattro casi avrebbe avuto una guarigione ed ha fatto costruire un valvolotomo apposito (Pribram). Studî sperimentali sono in corso da parte di Carrel, Cushing, Jeger, Willy Frey.