Vedi CAUCASO, Culture del dell'anno: 1959 - 1994
CAUCASO, Culture del
La regione del C., in stretto senso geografico prevalentemente occupata dall'imponente sistema montuoso che segna un confine tra l'Europa e l'Asia elevandosi a formare uno sbarramento tra il Mare d'Azov e il Mar Caspio, è nettamente delimitata a N dalle valli dei fiumi Kuban, Kuma e Terek e a S da quelle dei fiumi Rion e Kura, mentre al centro si incontrano le propaggmi dell'altopiano armeno. Conosciuta dai Greci e dai Romani, la regione del C. divenne nota specialmente dopo le guerre mitridatiche, dopò la spedizione di Marco Antonio e poi dopo l'occupazione dell'Armenia settentrionale da parte di Traiano. La Caucasia orientale era detta Albania, quella occidentale Iberia (v. georgia). Oggi con il nome di C. non si comprende soltanto la catena montuosa di tal nome, ma tutta l'unità amministrativa della "Caucasia", che si estende, tanto a N quanto a S, assai oltre la zona montuosa e comprende popoli di origine diversa e appartenenti al gruppo indoeuropeo, al gruppo uralo-altaico e al gruppo caucasico vero e proprio.
La investigazione archeologica del C. è ancor lungi dall'essere stata completata; finora hanno prevalso, nello studio della zona, gli interessi etnografici e linguistici, e l'archeologia, pur nella svariata molteplicità dei risultati e dei monumenti acquisiti, è stata ad essi subordinata e da essi in certo modo guidata. Ciò nonostante è sentita e riconosciuta da tutti l'altissima potenziale importanza del C. per tutta un'immensa catena di fenomeni artistici europei e in special modo mediterranei.
Il C. si presenta a noi moderni come "un gigantesco museo di popoli e di frammenti di popoli, i quali attraverso le più disparate secolari vicende hanno mantenuto una quota costante di lingua, di usi, di religione" (Bleichsteiner). Su di un substrato antichissimo, probabilmente negroide, molteplici e cliuturni passaggi di popoli dal N, dall'E, dal S (Homo europaeus, Homo tauricus), hanno assommato e confuso le già complesse caratteristiche iniziali, costituendo un grandioso quanto poliedrico monumento storico-etnografico-archeologico, al cui deciframento saranno necessari lunghi anni di progressiva documentazione, e, più che altro, di concorde convergenza degli studiosi.
La nostra comprensione odierna del C. è pertanto provvisoria e condizionata. Ed è quindi solo obbedendo al bisogno scientifico di partizioni e suddivisioni che noi sogliamo distinguere, dal punto di vista geografico-razziale-linguistico, tre grandi gruppi di civiltà: meridionale, con larga documentazione di popoli indoeuropei dolicocefali; occidentale, con egual mescolanza di stirpi, ma con prevalenza di dolicocefali indoeuropei (zona pontica); orientale (zona caspica) con prevalente brachicefalia, occipite verticale e piatto, evidenti caratteristiche proto-armene. In sede puramente linguistica può esser redatto, parallelamente, il seguente elenco di convergenti documentazioni: sumerico; elamitico; urarteo (armeno pre-ariano); basco-iberico-retico-ligure; luvio; hittita; lidio; greco-italico. L'elenco indica di per sé la complessità del problema.
Comunque, l'interesse fondamentale del sistema storico-etnografico del C., pur nella generica incertezza di ogni formulazione, e pur restando nei limiti della documentazione dei testi antichi, risiede nel fatto incontrovertibile che noi riscontriamo nella regione la stessa onomastica dei popoli dell'Italia - e, di riflesso - poi, della Spagna - quasicché, a un certo momento della storia (III millennio-metà del II a. C.), questi popoli e queste tribù si siano lentamente trasferite, assieme o in serie successive, ma continue e contigue, dal C. all'Italia con deviazioni costanti verso la Grecia e l'Asia Minore prima, in Spagna poi. Tutto ciò indipendentemente dal problema più ampio e pregiudiziale, se cioè la zona caspica sia stata fino in epoca neolitica (V-IV millennio) loro dimora stabile, oppure abbia avuto una semplice mansione di passaggio da regioni più orientali o più a N; al qual proposito due sono principalmente le ipotesi espresse dagli studiosi: quella che ammette la prevalente direzione dei popoli da N a S: dalla Siberia verso l'Armenia, Irān, India (Tallgren, Ebert, Brandenstein) e quella contraria da S a N (Childe). Ma una cosa è certa: che nell'epoca suddetta, e probabilmente per molti secoli, si è avuto dal C. un movimento di irradiazione di popoli, contemporaneamente, e verso O (Grecia, Italia, Spagna) e verso E (Siberia, Cina) e verso S (Iran, India) e verso N (Europa centrale e settentrionale): l'antica toponomastica e i fenomeni storici al principio dell'èra volgare, oltreché la lingua, fanno presumere la sommaria consustanzialità etnografica del quadruplice fenomeno. Il quale, già complesso in sé per la vastità del suo teatro geografico, diventa ancora più arduo se si pensa che non si trattò certamente di soli popoli di lingua ariana, ma di eteroglossi già mescolati assieme; onde, in sede pregiudiziale, può attendersi la coesistenza e il frammischiamento di idiomi di varia natura anche nei paesi di arrivo dell'Europa occidentale. Si deve infine aggiungere che non si è mai trattato di rapidi trasferimenti di masse umane, bensì di graduali transumanze agricole lentissime, dell'ordine, almeno, di vari secoli - quattro-cinque ne impiegarono gli Unni - dal C. all'Italia.
Rinunciando pertanto, come è necessario al momento presente, a ogni connessione etnico-archeologica e fermandosi alle linee generiche, può configurarsi il seguente quadro d'insieme riassuntivo del susseguirsi dei vari stadi di civiltà caucasica.
Il Paleolitico Inferiore compare, o meglio, è finora documentato soltanto nella Colchide; solo col Musteriano la documentazione si estende tanto al N che al S. Ulteriore sviluppo ed estensione presenta la facies miolitica, in evidente consonanza con le culture europee.
Scendendo verso il cosiddetto Neolitico troviamo, anche qui, che la prima documentazione della trasformazione agricola della civiltà appare nella Transcaucasia nei due grandi bacini dell'Araxes e del Kura, mentre nel N continua la civiltà dei cacciatori. Ma caratteristico e di lunga durata è, dal 3000 in poi, il periodo Eneolitico ed Eneo che raggiunge verso il 2000 notevole splendore con i tumuli di Maikop (v.), Kostromskaja e altri: l'epoca corrisponde all'incirca a quella di Troia II (2400) e la zona preferita è ancora quella a N-O (Kuban). Sono documenti famosi le due coppe argentee di Maikop con rappresentazione di un paesaggio alpestre, di un lago alimentato da due fiumi, con molti animali attorno al lago, lungo i fiumi e sui monti. Nel decorso dell'epoca la metallurgia si estende verso il N e nella zona delle steppe ("tardo Kuban") e si prolunga fino alla comparsa del ferro attorno o poco prima del 1000 a. C. (v. urartu).
Bibl.: Bleichsteiner-Tallgren, in Reallexikon d. Vorgeschichte, VI, 249 ss.; Hancar, Urgeschichte Kaukasiens, Vienna 1937; C. F. A. Schaeffer, Stratigraphie comparée etc., Londra 1948. Aspetti particolari del problema: S. Ferri, in Rendiconti Lincei, 1954, p. 257; id., in Corsi Ravennati, II, 1957.
(S. Ferri)
Età ellenistica e romana. - Nel periodo ellenistico sul territorio della Transcaucasia esistevano quattro stati indipendenti: l'Armenia, l'Iberia, la Colchide e l'Albania caucasica. I popoli del C. vennero a conoscere il mondo ellenico in tempi assai remoti (mito degli Argonauti, mito di Prometeo, ecc.), e già nel VI sec. a. C. i Greci fondarono nella Colchide le città di Fasi (odierna Poti) e Dioscuriade (odierna Suchumi), sul Mar Nero. A causa del diverso livello a cui era giunto lo sviluppo economico e sociale di questi popoli, alcuni di essi furono influenzati di più ed altri di meno dalla cultura ellenistica, come si vede dai monumenti artistici e dagli usi, soprattutto dell'aristocrazia. Questa cultura raggiunse il massimo sviluppo in questa zona verso il principio del I sec. d. C. e nei primi secoli successivi, dopo che le campagne di Lucullo e di Pompeo ebbero portato i popoli caucasici a scontrarsi con Roma e farne la conoscenza, e quando i rapporti commerciali li avvicinarono alla cultura classica. Anche i popoli della Transcaucasia diedero il loro apporto al comune tesoro della cultura ellenistica. L'Armenia, il cui territotono era attraversato dalla grande arteria commerciale che congiungeva l'Asia Anteriore con il mondo occidentale e che era in contatto coi paesi ellenizzati dell'Asia Minore e della Siria, cominciò a risentire l'influsso della possente cultura ellenistica, già nel III e II sec. a. C. In questo periodo la lingua e la scrittura greca entrano nell'uso armeno, come si può vedere dalle iscrizioni greche dell'oracolo del tempio di Armavira. Le conquiste del re armeno Tigrane II (95-55 a. C.) che sottomise temporaneamente quasi tutta l'Asia Minore e trasferì la capitale ad Antiochia, intensificarono i rapporti dell'Armenia con i centri ellenistici dell'Asia Minore e fecero sì che l'aristocrazia armena aderisse sempre più alla loro cultura: filosofi e retori greci vengono alla corte di Tigrane II; le Baccanti di Euripide vengono rappresentate ad Artaxata davanti al re Artavasde (55-34 a. C.), il quale scriveva egli stesso discorsi e componimenti storici in greco; nei templi armeni vengono messe le statue degli dèi greci portate dall'Asia Minore, le cui immagini si fondono sincreticamente con gli antichi dèi locali.
Le città armene dei secoli III-I a. C. (Armavira, Tigranocerta, Artaxata, ecc.) non sono ancora state studiate archeologicamente e la tomba dei re armeni (ad Anikamach) è stata saccheggiata in tempi antichissimi; non ci è possibile, perciò, giudicare dell'apporto specifico dato dall'arte ellenistica agli usi della società armena. Unica testimonianza della scultura del III sec. a. C. è la testa di bronzo di tipo prassitelico raffigurante l'antica Anāhitā-Afrodite, trovata a Erzincan e conservata al British Museum. Sia questa bellissima testa di bronzo (più grande del naturale, con gli occhi che portavano un tempo delle incrostazioni) opera locale, oppure sia da considerare una creazione di uno dei centri artistici dell'Asia Minore, in tutti e due i casi essa caratterizza chiaramente il gusto artistico di determinati ambienti della società armena del III sec. a. C. (v. fig. 619).
I ritratti di Tigrane II sulle sue monete, notevoli per la fine e realistica raffigurazione dei tratti individuali del re, tanto da giovane quanto in età avanzata, ci permettono invece di giudicare quali fossero le aspirazioni artistiche del I sec. a. C. Del I sec. d. C. ci sono giunti i ruderi del monumentale tempio di Garni (v.) eretto dal re armeno Tiridate I: dall'iscrizione dei costruttori (in greco), si deduce che il re stava ricostruendo (nel 77 d. C.) la sua residenza, danneggiata durante l'invasione di Corbulone. Questo tempio, dedicato al dio Mitra, fu costruito in basalto nello stile dei templi dell'Asia Minore del I-II sec. (Sagalasso, Termessos); periptero (13 m × 18 m), in ordine ionico con 6 colonne sulle facciate, in legno, e 11 sui lati. Il tempio, crollato durante un terremoto nel XVII sec., era riccamente ornato di sculture: quali i racemi di acanto snodantisi sul fregio, le teste leonine sul cornicione, gli ornamenti degli architravi, delle cornici e dei lacunari del soffitto; i capitelli, l'acroterio e le figure di Atlanti inginocchiati sui pilastri. Questo tempio, costruito da artisti locali, aiutati, indubbiamente, da architetti dell'Asia Minore o romani, è una chiara testimonianza della grande abilità degli architetti e degli scultori che l'hanno creato.
Anche il pavimento musivo del III sec. scoperto nel 1953 nel bagno del palazzo reale di Garni riecheggia la cultura ellenistico-romana: intorno ad un pannello centrale con le teste di Oceano e Thalassa, che ricordano simili composizioni dei mosaici di Antiochia, sono disposte figure di Nereidi e di altre divinità marine, i cui nomi sono tracciati in caratteri greci. La riproduzione di queste immagini classiche ha, però, caratteri locali alquanto provinciali e l'attenzione è colpita dall'eccessiva abbondanza di ittiocentauri su cui siedono le Nereidi e le altre divinità. Questo particolare, come pure una serie di accorgimenti di carattere stilistico, ci mostrano la trasformazione subita localmente dai soggetti ellenistici, non sempre ben compresi dagli artisti armeni.
Gli scavi su vasta scala eseguiti in Georgia (Iberia) hanno messo in luce una grande quantità di monumenti artistici, sia locali, sia d'importazione, che rispecchiano la profonda penetrazione, negli usi di una determinata parte della società, della cultura ellenistico-romana. Sul territorio dell'antica Coichide (a Van), sono state scoperte ricche tombe del III sec. a. C., con armi, monete e ornamenti d'oro; questi ultimi soprattutto interessanti per la composizione dei motivi ellenistici (per esempio il "nodo di Eracle") con i metodi tecnici locali (pietre colorate incastonate in oro). Fra i varî e ricchi ritrovamenti della necropoli presso il villaggio di Bori si trova una grande quantità di suppellettile romana d'importazione, in bronzo, dei secoli I-III d. C., insieme a ornamenti d'oro e a coppe d'argento di produzione locale che rispecchiano i gusti dell'aristocrazia indigena ellenizzata. Particolare attenzione per l'originale composizione di elementi locali e occidentali merita un piatto d'argento; sul bordo in forma di corona di tipo romano è incisa l'immagine di una divinità locale, l'incarnazione terrena del dio Sole-Mitra, in aspetto di cavallo, in piedi davanti a un altare coperto di frutti. L'artista è riuscito a dare col cesello bellissime forme al cavallo e a rendere la forza e l'aspetto sovrano del dio che accetta l'offerta. Due piatti d'argento con una raffigurazione analoga, sebbene meno artistica, sono stati trovati durante gli scavi ad Armazi Mccheta (Mzcheta), capitale dell'Iberia, il che ci mostra quanto fosse diffuso questo soggetto religioso.
Interessantissime opere d'arte dei secoli I-Il (soprattutto di toreutica, glittica, oreficeria) servono ad illustrare il quadro dei reciproci rapporti culturali fra l'Iberia e Roma, datoci dalle fonti scritte. Dione Cassio racconta il viaggio del re di Iberia Farasmane II con la famiglia, a Roma dall'imperatore Adriano, il quale "ingrandì il suo territorio, gli permise di sacrificare una vittima sul Campidoglio, gli eresse una statua equestre nel Campo Marzio e assisté alle esercitazioni militari di lui, di suo figlio e di altri membri dell'aristocrazia iberica". Giulio Capitolino parla invece della seconda visita di Farasmane a Roma durante il regno di Antonino Pio e dello scambio di preziosi regali che vi fu tra il re e l'imperatore.
Gli scavi, iniziati nel 1937, nell'antica capitale dell'Iberia, Mccheta, sul colle Baginet, dove un tempo si trovava il sacrario del dio Armaz (Ahura Mazdāh, v.), hanno messo in luce non solo le mura dell'acropoli, un acquedotto della città, le rovine del palazzo (una sala con colonne) e i resti del mausoleo del re, ma anche una grandiosa necropoli, con sepolture in vasi di argilla (ultimi secoli a. C.) e in cassette di mattoni di pietra con ricca suppellettile funeraria che caratterizza gli usi e i costumi delle varie classi della popolazione. Particolare interesse destano: i resti di una villa rustica vicina alla città (II sec. d. C.); le rovine del tempio, del palazzo, delle terme e della necropoli; i sarcofagi di pietra; una loggia in legni pregiati; resti di tessuti in broccato con placche d'oro applicate; armi, monete, vasellame d'argento d'importazione (tazze con busti in rilievo del tipo di Boscoreale) e locale (piatti con la raffigurazione del cavallo sacro presso l'altare, ecc.); fini creazioni di gioielleria con pietre preziose, e gemme di ottima qualità con ritratti e iscrizioni in greco. Una chiara idea dell'arte di questo periodo ci dànno due pietre che portano inciso il ritratto di un rappresentante della più alta nobiltà iberica, il cui nome è scritto in caratteri greci. Sulla pietra di cornalina incisa dell'anello di Asparuch si vede il ritratto di un vecchio, i cui tratti individuali sono fortemente marcati (caratteristica della scultura ritrattistica romana del II sec. d. C.): un grosso naso con la gobba, gli archi sopraccigliari sporgenti, gli occhi infossati, grosse ciocche di capelli pettinate con noncuranza, i baffi, la barba a punta, le spalle nude accennate sommariamente, tutto ciò ci parla di una originale trasformazione dei tipi fondamentali della ritrattistica romana avvenuta nell'ambiente artistico locale dell'Iberia. Nell'altra gemma (un'almandina), facente parte di una serie inserita in una cintura d'oro, è ritratta una coppia; sia la testa maschile, sia quella femminile, sono eseguite abbastanza sommariamente: la testa della donna è particolarmente interessante per la pettinatura: i capelli sono tirati in su e disposti sulla sommità del capo a forma di corona, secondo la moda romana dei secoli II-III; Questo duplice ritratto, una rarità dal punto di vista del soggetto, eseguito in bassorilievo, abbastanza schematicamente ma con una buona conoscenza della moda romana, è artisticamente inferiore al ritratto di Asparuch.
Caratteristico per l'arte dell'Iberia e dell'Armenia di quest'epoca è il fatto che l'influenza della cultura dell'Irān, con cui i paesi della Transcaucasia erano legati non meno che con Roma, sia stata insignificante. Sta di fatto che la Parthia sotto gli Arsàcidi subiva anch'essa, in questo periodo, sebbene meno dell'Armenia e dell'Iberia, l'influsso vivificante di quella realistica cultura ellenistica (soprattutto attraverso i riflessi della cultura romana) che aiutò i paesi orientali a superare la canonicità e convenzionalità delle tradizioni stereotipe dell'arte dell'antico Oriente.
Alquanto diversamente si è sviluppata in questo periodo l'arte dell'Albania caucasica (territorio corrispondente al Daghestan meridionale e all'Azerbaigian settentrionale). Più lontana geograficamente dai centri della cultura ellenistica e dalle principali vie del commercio internazionale, essa rimase indietro rispetto all'Armenia e all'Iberia nello sviluppo economico e sociale e in ciò bisogna cercare, evidentemente, la causa per cui risentì meno l'influenza della cultura classica. Tuttavia bisogna anche tener conto del fatto che l'Albania è stata studiata meno dal punto di vista archeologico e che le sue residenze reali, del tipo di quelle di Garni e Armazi, non sono state ancora studiate; ciò nonostante gli scavi eseguiti nelle necropoli della zona di Mingečaur sul fiume Kura, hanno messo in luce materiale ricchissimo che dà la possibilità di giudicare dell'alto livello a cui era giunta l'originale cultura della popolazione locale, a cominciare dal II millennio a. C.
Caratteristici per l'Albania caucasica del periodo ellenistico sono alcuni vasi sepolcrali (II sec. a. C. - II sec. d. C.) e un gruppo di originali catacombe. A giudicare dalla suppellettile sepolcrale la maggior parte della popolazione usava il primo tipo di sepoltura, mentre le catacombe erano riservate ai più ricchi. Sebbene le scoperte di Mingečaur siano state finora troppo poco studiate e rese pubbliche, tuttavia è chiaro che i semplici contadini e i pastori sepolti nei vasi, sentivano poco l'influsso della cultura occidentale e continuavano ad attenersi, soprattutto nella ceramica, ai vecchi metodi locali: grossi vasi zoomorfi per acqua; originali caraffe, molto interessanti per la forma ricercata e altri oggetti in cui si può ravvisare una continuazione delle tradizioni provenienti dall'Asia Anteriore e Minore. Nelle sepolture in catacombe, in mezzo ad oggetti locali, sono stati trovati anche oggetti di importazione romana (vetro, fibule di bronzo con incrostazioni colorate, ecc.) il che ci dice che esistevano in quest'epoca rapporti, probabilmente commerciali, fra l'Albania caucasica e il mondo classico. L'urto col mondo occidentale durante la campagna di Pompeo - che attraversò con le sue legioni anche l'Albania - e i rapporti commerciali, che forse avevano luogo tramite i mercanti armeni e iberici, hanno lasciato una traccia sulla cultura albanese, anche se meno chiaramente espressa che negli altri paesi della Transcaucasia.
Durante gli scavi a Mingečaur è stato rinvenuto un quantitativo abbastanza notevole di sigilli con soggetti antichi (di importazione o locali, imitanti i primi). Vicino a Baku è stato trovato fortuitamente un piatto d'argento del IV sec. d. C. con una Nereide raffigurata in rilievo su di un ippocampo circondata da Tritoni e Eroti - unica opera d'arte della cultura ellenistico-romana portata dalla Siria o dall'Asia Minore nell'Albania caucasica.
Bibl.: H. B. Walters, Select Bronzes of the British Museum, Londra 1915, tav. XIII (testa di bronzo di Anāhitā); K. V. Trever, Očerki po istorii kul'tury drevnej Armenii (Studî sulla storia della cultura dell'Armenia antica"), Leningrado 1953; B. N. Arakeljan, Mozaika iz Garni ("I mosaici di Garni") in Vestnik drevnej istorii, 1956, n. 1, pp. 143-156; Mccheta, t. I. Archeologičeskie pamjatniki Armazischevi, 1937-1946 ("Mzcheta, vol. I.: Monumenti archeologici di Armazischevi, 1937-1946"), Tbilisi 1955 (in georgiano con riassunto in russo); Sborniki statej "Material'naja kul'tura Azerbajdžana" I, II, III ("Raccolta di articoli, La cultura materiale dell'Azerbaigian", fasc. I-III), Baku 1949-1953, e altri articoli in varie riviste; B. B. Piotrovsky, New Contributions to the Study of Ancient Civilizations in the USSR. Reports of the Soviet Delegations at the 10th International Congress of Historical Science in Rome, Mosca 1955, pp. 55-56.
(K. V. Trever)