Culto e memoria di Costantino nelle tradizioni sire
Agiografia costantiniana nella liturgia e nella storiografia
Nella tradizione cristiana siro-occidentale, così come in quella siro-orientale, l’imperatore Costantino non è fatto oggetto di un culto suo proprio. Come santo egli viene ricordato con la madre Elena o con i 318 padri del concilio di Nicea, oppure assieme ad altri ‘re cristiani’ quali Gioviano, Teodosio e Maurizio. La memoria congiunta di Costantino ed Elena, poi, è strettamente legata alla festa della croce, che costituisce uno dei periodi liturgici fondamentali nel calendario sia siro-occidentale che siro-orientale. È pertanto nei testi relativi a questa festività che l’imperatore vittorioso trova spazio nel culto delle Chiese sire.
Allo stesso modo, il mito di Costantino non ha dato origine a una tradizione agiografica vera e propria in siriaco. Questo non significa, tuttavia, che esso non abbia trovato terreno fertile nella produzione letteraria. In particolare sono le fonti storiografiche a fornire una preziosa testimonianza non soltanto di come i nuclei narrativi sviluppatisi intorno alla figura di Costantino nei rispettivi ambiti latino e greco siano stati recepiti, assimilati e rielaborati nel diverso contesto siriaco, ma anche di come a essi siano state affiancate e incorporate narrazioni, per così dire, indipendenti. Sarà dunque la storiografia a consentirci di seguire le tracce dell’agiografia costantiniana nell’Oriente cristiano di lingua siriaca1.
Il calendario della Chiesa dell’Est assegna generalmente ai santi feste mobili, collocate sempre di venerdì. Tale uso risale alla riorganizzazione dell’anno liturgico operata a metà del VII secolo dal patriarca Išo‘yab III (650-658). Essa prevedeva la suddivisione dell’anno in nove grandi cicli, cui corrispondevano determinate feste fisse. Nei venerdì successivi a queste celebrazioni fisse si collocavano le varie commemorazioni dei santi. Costantino veniva festeggiato assieme alla madre Elena il primo venerdì dopo la festa della croce, che cadeva il 13 settembre. La memoria dell’imperatore vittorioso e della regina sua madre è attestata stabilmente nei secoli successivi alla riforma di Išo‘yab III e sembra cadere in disuso solo dopo la seconda correzione apportata al santorale all’inizio del XVI secolo, la cosiddetta «riforma di Alqoš»2. Il calendario siro-occidentale non era altrettanto stabile. La stessa festa della croce si può trovare collocata in giorni diversi, addirittura all’interno dello stesso calendario. Alcuni menologi editi da François Nau all’inizio del secolo scorso danno un’idea delle variazioni riscontrabili3. I primi quattro codici che Nau esamina, tutti riconducibili al monastero di Qennešre4, sembrano attestare la forma più antica del calendario siro-occidentale. Nel manoscritto più antico (London, British Library, Add. 17134), risalente al VII secolo, la festa del ritrovamento della croce, con associata la memoria dell’imperatore Costantino, è collocata il 22 maggio, mentre il 14 settembre viene festeggiata la consacrazione della croce. Il secondo codice (London, British Library, Add. 14504), del IX secolo, riporta entrambe queste festività e menziona Costantino anche il 1° agosto, assieme ad Abgar ed Elena, e il 3 novembre, assieme ai 318 padri del concilio di Nicea; in esso è inoltre contemplata, nella quinta domenica di Pasqua, anche una festa mobile legata al ritrovamento della croce. Ugualmente il terzo manoscritto, più tardo (London, British Library, Add. 14519; XI-XII secolo), riporta la festa del ritrovamento della croce il 22 maggio e quella della sua consacrazione il 14 settembre, senza tuttavia menzionare né Costantino né Elena. Il quarto infine (London, British Library, Add. 14503; XII secolo) indica solamente il 14 settembre quale festa della croce, senza alcuna specificazione ulteriore. Altri due menologi provengono da Aleppo (Paris, Bibliothéque Nationale, syr. 146; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, syr. 69; rispettivamente XVII e XVI secolo): in entrambi ritroviamo l’inventio crucis il 14 settembre e i padri del concilio di Nicea il 2 novembre, senza alcuna menzione di Costantino, il quale compare però ben due volte da solo nel manoscritto vaticano, il 26 marzo e il 20 maggio, e un’unica volta assieme a Elena in quello parigino, sempre il 20 maggio. Gli altri sette manoscritti esaminati da Nau non presentano variazioni interessanti, eccezion fatta per il London, British Library, Add. 17232 (datato al 1210), nel quale troviamo Costantino ed Elena festeggiati il 21 maggio, il 13 settembre il ritrovamento della croce e il 14 una generica festa della croce.
Tale mutevolezza – che, come si è visto, concerne non solo la data ma anche l’oggetto delle festività, ed è legata non solo al fattore cronologico ma anche a quello geografico – è da imputare probabilmente alla maggiore frammentazione che caratterizza la Chiesa siro-occidentale e all’assenza di una sistemazione organica dell’anno liturgico equivalente a quella operata da Išo‘yab III in ambito orientale. Inoltre si possono notare chiari influssi bizantini, quale ad esempio la celebrazione della festa della croce il 14 invece che il 13 settembre. Il 13 settembre era originariamente la festa della consacrazione delle chiese edificate da Costantino a Gerusalemme nei luoghi della passione e resurrezione di Cristo; tale celebrazione locale gerosolimitana si affermò e diffuse anche al di fuori della Palestina, venendo però gradualmente trasformata da festa della consacrazione delle chiese a festa della consacrazione o Esaltazione della croce. In ambito bizantino tale evoluzione ebbe compimento definitivo nel VII secolo, quando fu istituita e collocata il 14 settembre la festa della restitutio crucis, che commemorava il recupero da parte dell’imperatore Eraclio delle reliquie della croce sottratte dai persiani nel 614. La Chiesa giacobita mutuò dal calendario bizantino lo slittamento di un giorno, ma non il nuovo oggetto della celebrazione: la memoria dell’impresa di Eraclio non mise radici in territori che furono pochi anni dopo sottratti nuovamente e definitivamente al dominio dell’Impero, e il 14 settembre rimase nel calendario come festa dell’inventio crucis5. Anche la memoria congiunta di Costantino ed Elena il 21 maggio coincide con l’uso della Chiesa calcedonese. Se è molto probabile che la sua collocazione al 20 maggio nei due menologi di Aleppo sia a sua volta dovuta all’influsso bizantino, al contrario sembrano mancare riferimenti o spiegazioni possibili per la menzione dell’imperatore da solo il 26 marzo nel secondo dei due6. La collocazione della festa dell’inventio crucis associata alla memoria di Costantino il 22 maggio, giorno della morte dell’imperatore, rispecchia invece quella che doveva essere l’originaria commemorazione prevista nel lezionario di Gerusalemme7.
Particolarmente degna di nota è la memoria congiunta di Costantino e Abgar, indicata dal ms. London, British Library, Add. 14504, nel giorno tradizionalmente dedicato alla commemorazione dei Santi Maccabei8. La voce completa del 1° agosto recita infatti: «[Festa] dei Santi Maccabei, e dei pii re Abgar e Costantino, e di Elena madre di quest’ultimo»9. L’epiteto attribuito ai due re, šapīray deḥletō, è un calco del greco εὐσεβείς. Abgar V Ukhama fu re di Osroene dal 10 al 7 a.C. e nuovamente dal 13 al 50 d.C. Sulla sua figura si è sviluppata una leggenda che ne fa il primo vero re cristiano e riecheggia alcune narrazioni relative a Costantino: egli infatti, affetto da un morbo incurabile, sarebbe stato miracolosamente guarito dal discepolo Addai, inviato a Edessa da Gesù stesso, e avrebbe in seguito a ciò ricevuto il battesimo e fatto dell’Osroene un regno cristiano10. Nella Chiesa siro-occidentale, anche la sezione dei dittici dedicata ai «re ortodossi» inizia con Abgar seguito da Costantino, ed è Abgar a ricevere l’epiteto di «primo re credente»11. Dopo di loro vengono «Elena, Gioviano, Teodosio e i suoi figli Onorio e Arcadio, Teodosio il Giovane, la regina Teodora, Zenone, Anastasio e tutti i re ortodossi». La stessa identica sequenza si ritrova nel cosiddetto Libro dei Viventi12, un’altra serie di litanie commemorative, alternativa ai dittici, che veniva recitata dopo il bacio della pace nella liturgia domenicale e festiva. Anche qui Abgar è definito «il primo re credente», mentre Costantino riceve solo il tradizionale epiteto di «re vittorioso». Curiosamente, Costantino è l’unico nome dell’intero elenco cui non viene associato l’aggettivo «credente»: Elena è la «regina credente», Teodora «regina credente e ortodossa» e tutti gli altri sono detti «re credenti e vittoriosi»13.
Al contrario, Abgar non figura né nel calendario siro-orientale né nei dittici14: in questi ultimi, Costantino «il re vittorioso» e sua madre Elena «la credente» aprono la serie, seguiti da Costantino II e Costante, Gioviano, Teodosio, Na‘mān e Maurizio. Na‘mān è Nu‘mān III (580-602 circa), ultimo re della dinastia Lakhmide, l’unico fra i sovrani di al-Ḥīra che abbracciò la religione cristiana, battezzato nel seno della Chiesa di Persia verso il 59315.
Costantino dunque non spicca nel santorale delle Chiese sire come il re cristiano per eccellenza. In ambito siro-ortodosso, la figura leggendaria di Abgar continua a essergli anteposta nella memoria collettiva e lo scalza dal primato della regalità cristiana. Sul versante siro-orientale, invece, è significativa la presenza di Nu‘mān nei dittici: essa rivela come qui non abbia attecchito la teologia politica eusebiana che vincola all’Impero romano il concetto di re cristiano, incarnato da Costantino. Vediamo allora in quale contesto la figura di Costantino viene enfatizzata nel culto delle Chiese sire.
Nonostante, come si è visto, Costantino si trovi menzionato anche in altre occasioni nel calendario, è la sua commemorazione in relazione alla festa della croce ad avere la maggiore pregnanza dal punto di vista liturgico. Si è già accennato alla riforma di Išo‘yab III, che prevedeva la scansione dell’anno in nove tempi, chiamati ‘settimane di settimane’, uno dei quali era dedicato congiuntamente alla figura del profeta Elia e alla croce. Anche il ciclo liturgico siro-occidentale era suddiviso in nove fasi, e ugualmente una di esse era dedicata alla croce16. All’interno di questo periodo festivo entrambi i calendari commemoravano il ritrovamento della croce con una festa fissa, rispettivamente il 14 e il 13 settembre, e legata a essa si trovava la memoria di Costantino ed Elena, il 14 settembre stesso e il primo venerdì successivo al 13.
Il collegamento fra Costantino e la croce si deve naturalmente in primo luogo all’episodio della visio crucis, il cui nucleo narrativo originario si legge in Lattanzio ed Eusebio17. Tuttavia entrambe le tradizioni sire vogliono Costantino coinvolto anche nell’inventio crucis, facendo del racconto della visione la premessa che porta al viaggio di Elena in Terrasanta e al ritrovamento della reliquia. Tale versione estesa, che fonde due nuclei narrativi nati separatamente, si trova nella cosiddetta Leggenda di Giuda Ciriaco18. Si tratta della terza variante della storia dell’inventio crucis, che si sviluppò per ultima, dopo la Leggenda di Elena e la Leggenda di Protonike, ed ebbe larga diffusione in latino, greco, siriaco e numerose lingue volgari19: in essa, Elena viene inviata a Gerusalemme da Costantino a seguito della visione della croce e ritrova la reliquia grazie alle indicazioni di un giovane ebreo, Giuda, il quale poi si converte, viene battezzato con il nome di Ciriaco e nominato vescovo di Gerusalemme, e subisce infine il martirio sotto Giuliano l’Apostata. Il racconto della visione della croce accorpato alla Leggenda di Giuda Ciriaco costituisce un adattamento orientale della versione nata e diffusa in Occidente, collegata alla battaglia di ponte Milvio. Leggiamo infatti che nel suo settimo anno di regno Costantino si trova a dover fronteggiare delle orde di barbari che premono sul Danubio; la notte precedente allo scontro decisivo, egli vede in sogno una croce di luce nel cielo, assieme alla scritta «Con questo [segno] vincerai» composta di stelle. Turbato dalla visione e senza capirne a pieno il significato e l’origine, decide comunque di portare il simbolo come stendardo in battaglia e ottiene una grande vittoria. Egli chiede allora ai sacerdoti pagani a quale dio appartenga il segno vittorioso e quelli rispondono evasivamente che non si tratta di un dio terreno ma di un dio celeste; si fanno avanti poi alcuni cristiani presenti fra i soldati e rivelano all’imperatore che quello è il simbolo del loro Dio, Gesù Cristo. Costantino fa chiamare il vescovo di Roma Eusebio affinché lo istruisca su Gesù e la religione cristiana e, uditi i suoi insegnamenti, decide di convertirsi e si fa battezzare, e così anche molti membri della corte e sua madre Elena, la quale viene poi da lui inviata a Gerusalemme alla ricerca della vera croce di Cristo.
Sebbene il manoscritto più antico che la riporta sia siriaco (San Pietroburgo N.S. 4; V secolo), la Leggenda di Giuda Ciriaco si è sviluppata assai probabilmente in greco, in ambienti gerosolimitani20. Il secondo codice più antico, anch’esso siriaco (Londra, British Library, Add. 14644; V-VI secolo), riporta una versione priva della parte iniziale relativa alla visione di Costantino. Questo ha indotto alcuni studiosi a sospettare che essa sia stata incorporata alla narrazione principale solo in un secondo momento. Secondo Stephan Borgehammar, la fusione dei due nuclei narrativi sarebbe un portato originale del contesto siriaco, dove al racconto dell’inventio tradotto dal latino sarebbe stato premesso un racconto della visio tradotto invece dal greco21. Questa teoria non manca di porre qualche problema, in quanto deve fare i conti da un lato con l’assenza di qualsiasi altra attestazione di traduzioni dirette dal latino al siriaco, dall’altro con il fatto che la leggenda completa è conservata sia in siriaco che in greco e in latino, e che nella tradizione bizantina la versione che vuole Costantino attivamente coinvolto nella spedizione di Elena è ampiamente diffusa. Non è questa la sede adatta per addentrarsi nella complessa questione della genesi e della trasmissione di questo testo. Ciò che qui preme osservare è come l’attribuzione a Costantino del ruolo di ‘primo mandante’ nel ritrovamento della vera croce – sia essa un’innovazione degli ambienti di lingua siriaca o un’importazione dalla Gerusalemme grecofona – costituisca il nesso fondamentale attraverso il quale l’imperatore è coinvolto, fin dal V-VI secolo, nelle celebrazioni della festa dell’inventio crucis nelle Chiese sire.
La prima testimonianza al riguardo si trova infatti in Giacomo di Sarug (morto nel 521). Si tratta di un’omelia in versi sul ritrovamento della croce che comincia ugualmente con la visio crucis, seppure riportata in una versione leggermente differente rispetto a quella della Leggenda di Giuda Ciriaco22. La scena è sempre sul Danubio, ma la visione appare all’imperatore sveglio, mentre prega prima della battaglia, e consiste di un angelo che porta una croce di luce, senza alcuna scritta. Nessuna battaglia viene menzionata dopo l’apparizione e non vi è alcun riferimento al vescovo Eusebio e al battesimo. Dopo la conversione, l’imperatore prega di poter vedere la vera croce di Cristo e un angelo gli rivela che essa si trova nascosta vicino al Golgota, così egli manda la madre in Terrasanta a cercarla. Ricompare poi nella narrazione quando, dopo il ritrovamento del santo legno, ordina a Elena di cercare anche i chiodi, cosa che invece nella Leggenda di Giuda Ciriaco ella fa di sua iniziativa. L’omelia di Giacomo, con ogni probabilità scritta appositamente per la festa della croce, attesta come fin dall’inizio i due nuclei narrativi non fossero semplicemente giustapposti, ma connessi in maniera tale da dare a Costantino un peso decisivo nell’inventio.
Moše bar Kepha, vescovo siro-ortodosso di Mossul (IX secolo), nella sua Omelia sulla festa della Croce23 attinge alla Leggenda di Giuda Ciriaco, ma include anche elementi presenti in Giacomo di Sarug. Più che un’omelia, il suo testo è in realtà un breve trattato sull’origine e il significato della festa della croce, articolato in domande e risposte. L’autore – il quale inizia sottolineando come l’oggetto di questa festività non sia né la memoria della croce né la sua ‘dedicazione’ o ‘inaugurazione’, bensì il suo ritrovamento, ovvero quello della reliquia – conclude con il racconto dei due ritrovamenti della croce da parte di Protonike e da parte di Elena24. Anche qui la visione di Costantino è premessa fondamentale della spedizione di Elena in Terrasanta: l’imperatore si trova sul Danubio e vede la croce di notte, sorretta da un angelo e sormontata dalla scritta in caratteri di stelle; se ne fa fare allora un’immagine da portare in battaglia e vince sui barbari. Istruito sulla fede e battezzato da Eusebio di Roma assieme alla madre e ai membri della sua corte, ordina che il vescovo ed Elena vadano in Terrasanta alla ricerca della vera croce.
È interessante osservare come in questa versione, che unisce visio e inventio, sia Costantino a convertirsi per primo e a far convertire Elena, contrariamente ad altri rami della tradizione agiografica che vogliono la madre già cristiana da tempo al momento della conversione del figlio25. Naturalmente, questo dettaglio è volto a magnificare il potere della croce e a esaltare l’episodio dell’apparizione quale evento chiave che porta alla legittimazione della religione cristiana, ma allo stesso tempo enfatizza la parte svolta da Costantino e le conferisce pari importanza rispetto a quella di Elena.
Nello Ḥudrā della Chiesa siro-orientale, il libro liturgico contenente i testi per le domeniche e i giorni festivi, si leggono due inni sul ritrovamento della croce, entrambi incentrati sulla Leggenda di Giuda Ciriaco. Il primo di essi appartiene al genere del soghithā, componimento strofico a struttura ameboica tipico della poesia liturgica siriaca. La parte riservata a Costantino è limitata ai primi cinque versi, mentre tutto il resto è destinato alla vicenda di Elena a Gerusalemme. Il secondo invece dedica a Costantino e alla sua conversione in seguito alla visio crucis una porzione ben più consistente, 160 versi su 37626. In questo caso si tratta di un memrā, componimento poetico di carattere narrativo strutturato in coppie di versi di sette sillabe ciascuno, che include ampie sezioni dialogiche fra i personaggi del racconto. L’apparizione della croce è riportata molto sinteticamente nei primi tre distici, senza che alcun contesto particolare sia specificato. Segue quindi un lungo scambio di battute dell’imperatore con i soldati prima e i sacerdoti pagani poi (vv. 7-128). Sia i soldati che i sacerdoti, infatti, si rifiutano di rivelare a Costantino il significato del simbolo che egli ha visto, per timore che la loro religione e i loro dei siano banditi; solo sotto la minaccia di una morte atroce i sacerdoti si decidono a rivelare che la croce è il simbolo dell’unico vero Dio, che fu crocifisso a Gerusalemme. La strofa successiva (vv. 129-60) contiene la descrizione della battaglia fra «i due re», in cui Costantino, grazie al potere della croce d’oro che porta in mano, sconfigge un non meglio precisato «tiranno»27. L’imperatore torna nella sua capitale e racconta tutto ciò che è accaduto alla madre, ordinandole di andare a Gerusalemme a cercare la vera croce «per lui».
Il fatto che sia concesso così ampio spazio al dialogo fra Costantino e i soldati e i sacerdoti invita a soffermarsi con particolare attenzione su questi versi. La determinazione con cui l’imperatore vuole capire il significato della visione nonostante i soldati cerchino di dissuaderlo, e l’insistenza con cui egli incalza i sacerdoti non credendo ai loro spergiuri, fanno di lui il prototipo del fedele che ricerca la verità. Questa piccola tenzone suasoria anticipa quella fra Elena e gli ebrei nella seconda parte del poema ed è funzionale all’attribuzione a Costantino di un ruolo altrettanto attivo e determinante. Si può inoltre osservare che lo scambio di battute è interamente imperniato sull’opposizione fra ‘nascosto’ e ‘rivelato’, e che queste due sfere semantiche sono nettamente dominanti nelle parole di tutti i personaggi. Il sovrano continua a chiedere che i misteri nascosti gli vengano rivelati e che ciò che gli è apparso gli venga spiegato; i soldati rispondono che tali misteri sono nascosti e non debbono essere svelati; i sacerdoti negano di saper spiegare o rivelare nulla: rivelare, apparire, spiegare, svelare, mistero, nascosto, celato sono termini usati in maniera significativamente ripetitiva in questi versi. L’apparizione della croce diventa così una seconda rivelazione della verità cristiana e, allo stesso tempo, viene a simboleggiare l’uscita allo scoperto dei seguaci di Cristo, la legittimazione del cristianesimo nel mondo, strumento della quale sono stati appunto Costantino ed Elena.
Tale lettura trova conferma in un’opera anonima del IX secolo, falsamente attribuita a Giorgio di Arbela. L’Esposizione degli offici della Chiesa è un esteso commentario della liturgia siro-orientale articolato in sette trattati. Il ventiquattresimo e ultimo capitolo del primo trattato fornisce una complessa interpretazione della simbologia numerica ed escatologica soggiacente alla festa della croce28. Il fatto che la croce sia stata ritrovata il 13 settembre rimanda alla durata complessiva del mondo creato, che secondo l’autore ammonta a tredici «indizioni»29, dieci dalla creazione all’incarnazione e tre dalla venuta di Cristo alla fine dei tempi. A tale suddivisione della durata del mondo rimandano anche i due eventi celebrati nella festa della croce: l’apparizione della croce a Costantino è figura della comparsa di Cristo nel mondo, il dissotterramento della vera croce dal luogo in cui era nascosta è figura della resurrezione degli uomini dalla polvere alla fine dei tempi. L’autore osserva poi che il ritrovamento della croce è avvenuto in settembre, ultimo mese dell’anno, monito che il Salvatore tornerà alla fine dei giorni, mentre la visione di Costantino è avvenuta in aprile, mese in cui il mondo è stato creato30: visio e inventio si trovano così a incorniciare allegoricamente il disegno provvidenziale di Dio. In questa festività Costantino ha un peso paritetico a quello di Elena, perché parimenti importante è stato il suo ruolo nell’evento commemorato. Entrambi tuttavia brillano di luce riflessa e rimangono subordinati al vero oggetto della celebrazione, che è la santa croce.
Le notizie sulla figura e la vita di Costantino presenti nelle cronache siro-occidentali provengono in larga parte dagli storici ecclesiastici greci, le cui opere sono state tradotte in siriaco molto presto e vengono espressamente citate come fonti31. Vale la pena dunque di accostarsi a questi testi, più che per trovare materiali non attestati altrove e tradizioni locali indipendenti, per vedere quali dei nuclei narrativi sviluppatisi in ambito greco-latino siano stati accolti nella storiografia prodotta in ambienti siro-ortodossi, come essi siano stati diversamente assemblati e combinati fra loro, e quale sia l’immagine di Costantino che ne emerge.
In tutte le cronache che presentano un resoconto sufficientemente esteso della stagione costantiniana32 si delinea il medesimo schema narrativo: a un periodo di lotta per abbattere i ‘tiranni’, ovvero i vari co-imperatori, segue il regno di Costantino come unico sovrano, nel quale egli si adopera a favore della religione cristiana e ne combatte i nemici sia interni che esterni. Sulla scorta del modello ideologico fornito da Eusebio e dai suoi continuatori (Socrate in particolare), la conquista del potere unico da parte di Costantino è presentata non come una progressiva eliminazione di avversari politici, ma come una sorta di crociata contro i crudeli persecutori dei cristiani, che alla fine lo porta a rimanere da solo a capo dell’Impero riunificato.
Nelle dinamiche di successione legate alla tetrarchia vi è una certa confusione di nomi e di tempi, e gli avvicendamenti al trono che traspaiono dai libri ottavo e nono della Storia Ecclesiastica di Eusebio sono recepiti e riproposti nelle varie cronache in maniera diversa, in genere approssimativa, spesso erronea. Tutti i testi però concordano nel presentare Massenzio e Licinio come i due campioni dell’intolleranza pagana contro cui Costantino combatte in difesa del cristianesimo. In questa versione semplificata, improntata senza dubbio alle primissime pagine della Storia Ecclesiastica di Socrate33, Costantino è l’eroe unico fin dal principio e Licinio – che pure in Eusebio è definito come caro a Dio e alleato di Costantino nella lotta contro i tiranni, prima che la follia lo colga34 – non divide mai la scena con lui. La Cronaca di Zuqnin, ad esempio, è l’unica a riportare il racconto, che si legge in Eusebio, relativo alle persecuzioni di Massimino Daia, alla sua ribellione e alla sua sconfitta; Eusebio tuttavia dice che è Licinio a muovere in armi contro Massimino, mentre il compilatore della cronaca attribuisce anche questa campagna al solo Costantino35. La stessa Cronaca del 1234, che accoglie la spiegazione della follia per giustificare l’improvvisa avversione di Licinio per i cristiani, si limita a dire che egli era presente nella battaglia contro Massenzio e che, quando ancora la sua follia non si era manifestata, Costantino gli aveva affidato la parte orientale dell’Impero36. Tutti gli altri testi, seguendo Socrate, sostengono che Licinio fosse sempre stato convintamente pagano e perseguitasse i cristiani in segreto per timore di Costantino. In Bar Hebraeus, addirittura, Licinio viene completamente ignorato37.
In questo quadro l’editto di tolleranza con cui Costantino e Licinio nel 313 garantirono libertà di culto ai cristiani è semplicemente assente. Nella Cronaca dell’846 si legge che Costantino, dopo aver ucciso Licinio, ordinò che le persecuzioni contro i cristiani avessero fine38. Nella Cronaca del 1234, in Michele il Siro e in Bar Hebraeus la legittimazione del cristianesimo risulta implicita nella conversione dell’imperatore e nel suo zelo verso la religione. L’unico riferimento che può contenere una qualche eco dell’editto di tolleranza si trova nella Cronaca di Zuqnin: il racconto della battaglia di ponte Milvio, che è ripreso da Eusebio, si conclude infatti con la nota «E nell’ottavo anno del suo regno Costantino diede la libertà a tutti i cristiani». Nella Storia Ecclesiastica Eusebio dice che, dopo la vittoria su Massenzio, Costantino e Licinio emisero una legge in favore dei cristiani. Non si tratta ancora dell’editto di Milano, bensì di un primo provvedimento emanato probabilmente nella seconda metà del 31239. Nonostante l’anno di regno non combaci, appare chiaro che il compilatore della Cronaca di Zuqnin ha condensato in quella breve frase il contenuto del paragrafo di Eusebio, ancora una volta eliminando deliberatamente Licinio.
Ugualmente, nessuno di questi testi menziona l’editto di Tessalonica del 380. Teodosio è ricordato nella tradizione siriaca per la convocazione del concilio di Costantinopoli e per la lotta contro gli ariani. Per noi Costantino è colui che garantì libertà di culto ai cristiani, Teodosio colui che fece del cristianesimo l’unica religione lecita; ma in nessuna di queste cronache emerge la consapevolezza di tale differenza, e nessuna reca notizia di questi provvedimenti, che sono degli spartiacque solo ai nostri occhi. Il vero spartiacque che la tradizione siro-occidentale percepisce nel regno di Costantino è la cessazione delle persecuzioni e l’inizio di un’era in cui il potere politico fornisce sostegno al cristianesimo: un supporto che non è solo materiale ed economico e che non avrà sempre implicazioni positive. Come si è già avuto modo di osservare, nella tradizione siro-occidentale Costantino non può nemmeno vantare di essere il primo sovrano convertito e battezzato, giacché tale primato gli è conteso da Abgar e anche da suo padre Costanzo40. Quello che le cronache siro-occidentali enfatizzano è invece l’attivismo di Costantino nei confronti del cristianesimo: egli è di fatto la prima autorità politica che si batte in difesa dei cristiani eliminando fisicamente i persecutori, e che si preoccupa della prosperità della Chiesa e della salvaguardia dell’ortodossia.
Anche nella parte che segue la riunificazione dell’Impero le cronache operano una selezione all’interno della cospicua mole di materiale fornito dagli storici ecclesiastici. Naturalmente, il primo evento fondamentale che viene riportato è il concilio di Nicea: i testi però non vi si soffermano tutti allo stesso modo, specialmente per quanto riguarda il ruolo avuto in esso da Costantino. La Cronaca dell’846, ad esempio, si limita a dire che l’imperatore stesso era presente, mentre la Cronaca di Zuqnin addirittura non lo menziona né tra i promotori del concilio né tra i presenti. La Cronaca del 1234 attribuisce la convocazione del concilio all’imperatore, ma dà poi dell’evento un resoconto estremamente sintetico: con ogni probabilità il cronista edesseno anonimo ne parlava più diffusamente nella sezione dedicata alla storia ecclesiastica, della quale però possediamo soltanto la parte da Giustiniano in poi42.
Michele il Siro attinge ampiamente ai racconti di Socrate e Teodoreto (che a loro volta usano come fonte la Vita Constantini di Eusebio) e riporta numerosi dettagli relativi a Costantino, presentandolo di fatto come il protagonista del concilio43. Non solo l’imperatore in persona convoca i vescovi, preoccupato per le varie questioni che disturbano la pace della Chiesa, ma fornisce una sede spaziosa per l’assemblea e provvede al sostentamento dei partecipanti per tutta la durata del concilio. Egli entra per ultimo e non si siede prima che i religiosi stessi l’abbiano pregato di farlo. È descritto come una presenza pacificatrice, che dispensa ammonimenti con umiltà e dolcezza, invita a mettere da parte le ostilità per trovare un accordo in nome della fede comune. A Costantino viene dunque riconosciuto il merito di aver convocato il concilio e di essere stato l’artefice della sua buona riuscita. Non gli viene però attribuito alcun intervento nelle questioni dogmatiche e liturgiche trattate dai 318 padri riuniti.
Di particolare interesse è la rielaborazione della frase con cui Costantino ordina che vengano bruciate tutte le accuse scritte e le petizioni che i vescovi gli hanno sottoposto: in Socrate l’imperatore dice «Cristo esorta chi vuole ottenere il perdono a perdonare il proprio fratello»44, mentre in Michele leggiamo «Coprirò con la mia porpora le ignominie dei vescovi e dei preti». Le due frasi hanno lo stesso significato di fondo, ovvero il riferimento a un’indulgenza generale, alla vittoria dell’oikonomia sull’akribia, ma, mentre in Socrate l’indulgenza viene da Cristo ed è legata al perdono reciproco dei peccatori, in Michele è la porpora – ovvero l’autorità imperiale – a coprire le colpe, e i peccatori non sono peccatori qualsiasi, ma i membri del clero. Michele il Siro sta dunque implicitamente definendo quello che secondo lui doveva essere il margine d’azione dell’autorità imperiale in campo religioso: l’imperatore può e deve svolgere un ruolo di mediatore e pacificatore, ma non decide chi ha torto e chi ha ragione e non si pronuncia in ambito teologico.
Gli altri due episodi sui cui le cronache si concentrano confermano questa prospettiva. Tutti i testi infatti riportano sia l’aneddoto dell’inganno di Ario a Costantino, sia la vicenda di Atanasio di Alessandria45. Ario viene scomunicato dal concilio e bandito dalla Chiesa, ma alcuni dei suoi seguaci (in particolare Eusebio di Nicomedia e Teognide di Nicea), fingendo di pentirsi, sottoscrivono il credo niceno ed evitano la scomunica. Essi intervengono poi presso l’imperatore affinché dia ad Ario l’opportunità di redimersi e gli conceda udienza. Ammesso al cospetto dell’imperatore, Ario arriva portando in mano il credo niceno mentre tiene nascosto sotto il braccio il suo credo eretico e di fatto giura su quest’ultimo, ingannando così l’imperatore. Nonostante questi abbia riammesso Ario nella Chiesa, Atanasio di Alessandria si rifiuta di riaccoglierlo nella sua diocesi. Eusebio e Teognide producono allora una serie di false accuse contro di lui per farlo deporre: queste si rivelano essere tutte calunnie e più volte l’imperatore rimanda Atanasio al suo seggio con onore, ma alla fine egli crede ai suoi detrattori e lo esilia in Gallia. Agli occhi del lettore moderno può sembrare che siano stati scelti proprio i due episodi in cui l’imperatore figura come un ingenuo un po’ sprovveduto. Tuttavia ciò che emerge dalla combinazione di questi due eventi, e che le cronache esplicitamente o implicitamente sottolineano, è la sua preoccupazione per la pace della Chiesa e lo sforzo che egli fa per ripristinare il comune accordo di tutte le parti. Anche qui vediamo scontrarsi akribìa e oikonomìa: nonostante Atanasio sia dalla parte del giusto, il suo ostinato rifiuto di riaccogliere Ario è visto come un’opposizione alla concordia della Chiesa che Costantino sta cercando di ricomporre. L’imperatore agisce totalmente in buona fede e Michele il Siro ci dice in seguito che egli in punto di morte si rende conto del suo errore e richiama Atanasio dall’esilio. La condotta di entrambi è conforme al rispettivo ruolo: Costantino non interroga Ario sulle sue posizioni dogmatiche, si limita a difendere il credo di Nicea stabilito dai 318 santi padri e, nel momento in cui Ario fa mostra di giurare sul credo ortodosso, ordina che egli sia riammesso nella comunità cristiana; anche l’accusa sulla base della quale alla fine l’imperatore esilia Atanasio non ha nulla a che vedere con questioni dottrinali46. La Chiesa non potrebbe essere in mani migliori e alla fine è Dio stesso a impedire che il perturbatore mandato da Satana rientri nel suo seno, infliggendogli la morte vergognosa che si merita: dopo aver perpetrato il suo inganno Ario si appresta a ricevere nuovamente la comunione, ma appena uscito dal palazzo imperiale è colto da atroci dolori addominali e muore in una latrina espellendo le proprie viscere.
Si è lasciato per ultimo il tema della conversione di Costantino perché in tutte le cronache esso costituisce un nucleo narrativo a parte e presenta interessanti sovrapposizioni di più tradizioni diverse. La prima versione del battesimo di Costantino che si incontra nella storiografia siriaca è infatti quella leggendaria degli Actus Silvestri. Anzi, proprio la tradizione siriaca fornisce la più antica attestazione della leggenda completa, all’interno della cosiddetta Cronaca dello Pseudo-Zaccaria Retore47. Si tratta di una compilazione cronografica risalente all’anno 568/569, il cui nucleo centrale è costituito da un’epitome della storia ecclesiastica di Zaccaria di Mitilene (da cui il nome), e che riporta la traduzione siriaca di una versione greca degli Actus contenente tutti gli elementi fondamentali della narrazione48. Anche in un’omelia di Giacomo di Sarug troviamo un racconto del battesimo di Costantino molto simile a quello degli Actus Silvestri, ma con alcune fondamentali divergenze che, secondo l’editore del testo Arthur L. Frothingham, rifletterebbero una narrazione indipendente e anteriore49. La recente accurata analisi di Michael Kohlbacher dimostra tuttavia che sia le differenze minori sia quelle più sostanziali sono imputabili alla disinvoltura con cui Giacomo rielaborava il materiale in circolazione e che non c’è ragione di ipotizzare una tradizione locale cui il racconto degli Actus si sarebbe affiancato e poi sovrapposto50.
La Cronaca di Zuqnin, che pure in questa parte dice espressamente di usare come fonti Eusebio e Socrate, privilegia per il battesimo dell’imperatore il racconto leggendario riportando la storia della conversio narrata negli Actus Silvestri, introdotta dal titolo Dalla storia di Costantino il Grande e preceduta da un incipit che reca qualche traccia della versione di Giacomo51. Elena e Costanzo sono entrambi pii credenti, mentre Costantino, una volta succeduto al padre, non ne segue le orme e perseguita ferocemente i cristiani. Nemmeno la lebbra lo placa: la sua ira contro i cristiani cresce ulteriormente ed egli convoca maghi e indovini dall’Oriente per farsi guarire. A questo punto è inserito il titolo suddetto e la narrazione prosegue con il racconto della guarigione tramite il battesimo da parte di papa Silvestro. Coerentemente, quando poco dopo il cronista anonimo riporta lo scontro fra Costantino e Massenzio, non segue la versione di Socrate – che include la visio crucis e la conseguente conversione dell’imperatore –, bensì quella della Storia Ecclesiastica di Eusebio, che fornisce maggiori dettagli sulla battaglia di ponte Milvio e presenta un Costantino già convertito da tempo.
La versione storica del battesimo di Costantino in punto di morte a Nicomedia, e con essa la conversione in seguito alla visio crucis, viene ripresa nelle tre cronache più tarde, le quali tuttavia non eliminano completamente il racconto leggendario del battesimo da parte di papa Silvestro, ma fanno convivere le due narrazioni con un interessante escamotage. Nella Cronaca del 1234 e in Michele il Siro, Costanzo Cloro è chiamato anch’egli Costantino («Costantino I» o «Costantino il Vecchio») e a lui viene riferita la conversione da parte di papa Silvestro, mentre il figlio (chiamato, per distinguerlo dal padre, «Costantino il Vittorioso») si sarebbe convertito in seguito alla visione della croce nel cielo. Lo stesso si legge nel Chronicon di Bar Hebraeus, ma senza l’equivoco fra i nomi: il padre è chiamato infatti «Costanzo il Grande», il figlio «Costantino il Vittorioso». Mentre la Cronaca del 1234 riferisce molto succintamente della conversione di Costanzo/Costantino, omettendo del tutto la guarigione dalla lebbra, Michele il Siro riprende fedelmente la versione degli Actus e inserisce al termine del racconto una nota esplicativa, nella quale specifica che proprio dall’omonimia tra padre e figlio sarebbe nata l’erronea sovrapposizione dei due episodi:
Questo Costantino, che era lebbroso e ricevette il battesimo e fu guarito, non è quello a cui è apparsa la Croce nel cielo, bensì suo padre. L’imperatrice Elena era la moglie di questo Costantino, il lebbroso che fu guarito, e la madre del Costantino che vide la Croce, ed entrambi divennero fedeli grazie a lei. A causa dell’uguaglianza del nome è sopraggiunto l’errore. In accordo con quanto scritto, noi distinguiamo le due persone, cosicché i lettori sappiano che ci furono a quel tempo tre imperatori uno dopo l’altro con lo stesso nome: Costantino I, che fu guarito dalla lebbra con il battesimo; suo figlio Costantino, che vide la Croce nel cielo, fondò Costantinopoli e convocò il grande sinodo di Nicea; e infine il figlio di quest’ultimo, Costantino III52.
Da quanto riferisce alcune righe sopra, sappiamo che Michele ha tratto questa informazione dalla Storia Ecclesiastica di Giovanni di Efeso (506-585 circa): «Giovanni d’Asia dice, all’inizio del suo libro, che Costantino si era recentemente convertito dal culto degli idoli, così come suo padre era stato convertito già prima al culto di Dio, come mostra la storia di Silvestro di Roma»53. Dal momento che anche l’anonimo cronista edesseno della Cronaca del 1234 utilizza Giovanni di Efeso e anch’egli chiama il padre Costantino come il figlio, si deve dedurre che sia l’attribuzione della conversione da parte di Silvestro al padre, sia il ricorso all’omonimia per chiarire l’equivoco risalgono alla Storia Ecclesiastica di Giovanni. Non possiamo tuttavia appurare se si tratti di una spiegazione ideata da Giovanni stesso o se egli abbia recepito una versione già esistente e circolante54.
Sappiamo che anche il compilatore della Cronaca di Zuqnin aveva a disposizione la Storia Ecclesiastica di Giovanni di Efeso, ma non possiamo asserire con certezza che egli abbia tratto proprio da qui il racconto della guarigione dalla lebbra grazie al battesimo da parte di papa Silvestro. Tale circostanza implicherebbe infatti che il compilatore abbia spontaneamente corretto la versione di Giovanni ricollegando a Costantino figlio l’episodio da lui riferito a Costantino padre (il quale, lo ricordiamo, nella Cronaca di Zuqnin è correttamente chiamato Costanzo). Essa implicherebbe inoltre che l’esplicita titolatura Dalla storia di Costantino il Grande faccia riferimento a una sezione dell’opera di Giovanni di Efeso recante questo titolo o a una fonte da lui espressamente citata in questo modo. È forse più verosimile pensare che il compilatore avesse davanti a sé ben quattro versioni della storia di Costantino: quella della Storia Ecclesiastica di Eusebio, che non specifica alcuna circostanza particolare per la conversione dell’imperatore e non ne menziona il battesimo; quella di Socrate, che collega la conversione alla visio crucis e vuole Costantino battezzato in punto di morte a Nicomedia; quella degli Actus Silvestri, inclusa nella misteriosa «Storia di Costantino il Grande» (la parte degli Actus relativa a Costantino circolante indipendentemente dal resto della leggenda o forse una sorta di dossier agiografico autonomo sull’imperatore), e infine la versione sincretica di Giovanni di Efeso.
Dal momento che la prima parte della Storia Ecclesiastica di Giovanni è completamente perduta e che quanto riportato da Michele il Siro non illumina a sufficienza il suo contenuto e la sua struttura, ulteriori speculazioni al riguardo non porterebbero molto frutto. È comunque interessante osservare come, nel caso della Cronaca di Zuqnin, il fascino della leggenda degli Actus Silvestri sia stato tale da imporla a discapito della visio crucis, nonostante quest’ultima fosse supportata dall’autorità di Socrate e rientrasse nel repertorio agiografico utilizzato nella liturgia, e nonostante vi fosse a disposizione una versione che conciliava i due racconti.
La tradizione siro-orientale si rivela ancora più eclettica di quella siro-ortodossa: essa rielabora con maggiore audacia il materiale proveniente dall’ambito greco e accoglie anche nuclei narrativi di origine miafisita, offrendo notizie che non sono attestate altrove e che rivelano come il mito di Costantino sia stato rimodellato sulla base di istanze locali. Di nuovo, il miglior ricettacolo di questi contributi originali sono i testi storiografici. Due in particolare meritano di essere presi in considerazione: la Storia Ecclesiastica di Barhadbešabba ‘Arbaya e la cosiddetta Cronaca di Seert.
Barhadbešabba insegnò nella Scuola di Nisibi al tempo in cui Ḥenana di Adiabene ne era a capo e scrisse la sua Storia Ecclesiastica molto probabilmente alla fine del VI secolo55. In essa Costantino è menzionato soltanto in relazione al concilio di Nicea e alle successive vicende riguardanti Ario e i suoi seguaci, e non vi sono riferimenti né alla sua conversione né alle lotte contro i vari oppositori: egli compare sulla scena già come imperatore unico amato dai cristiani. Il racconto del concilio di Nicea si collega direttamente all’esposizione della nascita e della diffusione dell’eresia di Ario:
Per una malattia così grave infatti, che da lungo tempo ricopriva il corpo di piaghe, pensarono [Eustazio di Antiochia e Alessandro di Gerusalemme] che fossero necessari un medico abile e una lama affilata, per asportare col ferro la carne morta e applicare al morbo il medicamento adatto: perché proprio una malattia come questa era il pensiero di Ario nel cuore dei [suoi] seguaci, [e pensarono quindi] di chiedere a lui [Costantino] di convocare i vescovi in un sinodo affinché, combattendo tutti contro questa opinione empia, il suo araldo fosse mandato in esilio. Per quale medico infatti era facile guarire un male esterno come per Costantino, l’imperatore vittorioso, guarire questa malattia del cuore?56
Costantino è dunque paragonato a un medico il cui intervento è necessario per sanare un male che affligge la Chiesa, e poche righe dopo a un «padre amorevole» che considera come proprie le sofferenze e le pene che essa sta attraversando. Barhadbešabba riporta quindi il testo della lettera inviata da Costantino a tutti i vescovi per convocare il concilio. La sua fonte è qui Mārūtā di Maipherqaṭ, o meglio la narrazione relativa al concilio di Nicea che la tradizione manoscritta ci ha trasmesso assieme ai canoni attribuiti a Mārūtā57.
È opportuno spendere qualche parola su questo corpus di scritti risalente a un’epoca anteriore, poiché in esso troviamo alcune narrazioni relative a Costantino ed Elena che sono nate autonomamente in ambito siriaco e hanno trovato accoglienza sia in Barhadbešabba che nella Cronaca di Seert. Mārūtā, vescovo di Maipherqaṭ, fu il rappresentante dell’imperatore Arcadio al sinodo della Chiesa di Persia tenutosi a Seleucia-Ctesifonte nel 410: dagli atti sappiamo che egli produsse una serie supplementare di canoni (in aggiunta a quelli emanati dal sinodo stesso), i quali furono accettati e sottoscritti da tutti i vescovi presenti. La tradizione manoscritta ci ha trasmesso un gruppo di testi attribuiti a Mārūtā, che si ripresenta in maniera relativamente coesa in più codici e include, oltre ai presunti canoni da lui redatti per il sinodo del 410, anche lettere, scritti di varia natura e vario contenuto (sul monachesimo, le gerarchie ecclesiastiche, le eresie, etc.) e una parte relativa al concilio di Nicea, comprendente alcune narrazioni di carattere agiografico sulla sua convocazione e il suo svolgimento.
In realtà sia i canoni sia la compilazione di testi connessa risalgono a un’epoca più tarda di quella di Mārūtā e gli studiosi concordano sul fatto che egli non può esserne l’autore. Secondo Jan Willelm Drijvers, in particolare, la sezione relativa a Elena e al concilio di Nicea sarebbe il prodotto della propaganda miafisita riconducibile a Rabbula di Edessa e andrebbe datata intorno al 430-44058. Vediamo dunque brevemente che cosa ci dice su Costantino questo scritto di datazione e origine incerte, ma collocabile molto probabilmente nel V secolo. L’imperatore riceve dalla madre Elena una lettera in cui ella lo esorta, su consiglio di Alessandro di Gerusalemme, a preoccuparsi non solo di pagani ed ebrei, ma anche dell’eresia ariana, che sta diffondendosi sempre più nella Chiesa. Egli allora convoca Alessandro affinché lo istruisca sulla retta fede e lo aiuti a prendere provvedimenti contro l’eresia, ma questi viene catturato e ucciso dagli ariani durante il suo viaggio verso Costantinopoli. Avendo ricevuto un presagio sulla sua imminente morte, egli aveva scritto una lettera all’imperatore contenente tutti i principi della dottrina sui quali intendeva istruirlo, e lo scritto viene consegnato dal presbitero Macario. Ricevuta la lettera e saputo del martirio di Alessandro, Costantino decide di riunire tutti i vescovi in concilio per eliminare definitivamente l’eresia dalla Chiesa e invia loro un prostagma con cui li convoca a Nicea. Segue quindi un resoconto dello svolgimento del concilio, all’interno del quale due momenti in particolare vedono l’imperatore come protagonista: dopo aver letto gli articoli di fede esposti da Alessandro nella sua lettera, egli consegna ai 318 vescovi che li hanno approvati il suo anello, il suo scettro e la sua spada, conferendo ufficialmente loro l’autorità di decidere e agire come necessario per eliminare l’eresia. In seguito egli onora Tommaso di Mar‘aš (Germanicia), il cui corpo era stato orribilmente mutilato dagli ariani, baciando i punti in cui gli arti erano stati recisi, e fa poi lo stesso con tutti gli altri vescovi torturati dagli eretici59.
I due episodi, minori nel bilancio complessivo della narrazione, sono tuttavia rilevanti per la nostra indagine sulla memoria di Costantino nella tradizione sira. Entrambi vengono ripresi da Barhadbešabba ‘Arbaya, che vi aggiunge anche alcuni dettagli e una maggiore enfasi retorica. L’immagine di Costantino che consegna anello, scettro e spada ai vescovi del concilio è estremamente significativa, e lo sono ancora di più le parole con cui egli accompagna questo gesto simbolico:
Dopo queste cose l’imperatore prese dunque il suo anello con il sigillo, il suo scettro e la sua spada, e li diede ai [vescovi] ortodossi e disse loro: «Ecco, oggi vi è dato il potere su tutta la Chiesa, e sul sacerdozio e sull’Impero, e su tutti gli ordini che sono sotto il sacerdozio e l’Impero. E a voi il Signore chiederà conto della perdizione o della salvezza di tutti i figli della chiesa»60.
Se in Michele il Siro l’idea di una limitazione all’intervento del potere temporale in materia religiosa si può leggere fra le righe, qui vediamo messa in scena non solo l’esplicita sottomissione dell’autorità politica a quella religiosa, ma addirittura la legittimazione di un’invasione di campo inversa, per così dire, in quanto Costantino concede ai vescovi totale libertà d’azione in ambito ecclesiastico e secolare affinché portino a termine il loro compito. Di fatto il ruolo di guaritore attribuito a Costantino all’inizio si risolve nella mera funzione logistica da lui svolta nel chiamare a raccolta i vescovi. Il concilio di Nicea, che storicamente creò il precedente per una lunga serie di ingerenze del potere politico in questioni dogmatiche, viene così trasformato nell’evento che avrebbe invece sancito la totale indipendenza del clero.
Dei tre oggetti che simboleggiano l’autorità conferita da Costantino ai vescovi, quello che sembra maggiormente fuori contesto è senza dubbio la spada, emblema del potere militare. Il suo reale significato ci viene suggerito da Barhadbešabba, che introduce la descrizione dei vescovi torturati dagli eretici con una metafora assente nello pseudo-Mārūtā: essi sono soldati coraggiosi che, accolta l’esortazione dell’apostolo Paolo (Ef 6,17), hanno sguainato la spada dello Spirito per attaccare le fortezze dei ribelli. Di nuovo si riscontra un capovolgimento della tradizione, la quale vuole Costantino braccio armato del cristianesimo contro i persecutori: i vescovi sono i soldati valorosi, l’imperatore è soltanto un medico i cui servigi sono richiesti all’occorrenza. E di nuovo sono significative le parole di Costantino, allorché viene fatto entrare Tommaso di Mar‘aš:
E non appena l’imperatore lo vide cadde a terra per il terrore e si inginocchiò davanti a lui e lo venerò e disse: «Io ti venero, o martire di Cristo che sei adornato di molte corone», e prendeva i punti in cui le sue membra erano state amputate e li baciava e li poneva sui suoi occhi. E così fece con ciascuno di loro [i.e. dei vescovi martirizzati]61.
L’imperatore, inginocchiandosi davanti al soldato difensore della fede, riconosce che la vera corona non è quella imperiale, bensì quella del martirio. Egli stesso, alcune pagine dopo, riceve un’incoronazione metaforica da parte di uno dei padri conciliari, Eustazio di Antiochia: «E quando [i vescovi] sedettero a Nicea e Costantino fu in mezzo a loro, sant’Eustazio intrecciò una corona di lodi ed elogi e incoronò la testa dell’imperatore e gli diede numerose benedizioni per il suo zelo nella devozione a Dio»62. Tale investitura figurata non arriva a suggerire che sia il potere spirituale a conferire autorità al potere temporale, ma subordina esplicitamente la legittimità di quest’ultimo alla condotta religiosa, la quale può essere giudicata solo dal clero.
Le violenze fisiche degli ariani sui vescovi ortodossi non hanno naturalmente alcun fondamento storico. Anche Tommaso di Mar‘aš è un personaggio dubbio, non attestato altrove se non in fonti più tarde che riportano questo stesso episodio: potrebbe facilmente essere la proiezione di un santo omonimo che fu deposto ed esiliato per il suo credo miafisita nel 51963, così come dietro al martirio degli ortodossi da parte degli ariani potrebbero celarsi le persecuzioni dei miafisiti sotto Giustino I. Anche il ribaltamento del valore paradigmatico del concilio di Nicea sembra alludere a un contesto in cui le controversie cristologiche stanno definitivamente sfaldando l’eredità nicena, e viene spontaneo domandarsi se tale reinterpretazione del primo concilio ecumenico non mirasse a fornire un modello ideale da additare per condannare implicitamente un concilio successivo, nella fattispecie quello di Calcedonia. Ciò confermerebbe l’ipotesi di un’origine miafisita del racconto formulata da Drijvers, suggerendo tuttavia una datazione più tarda di un secolo. Se così fosse, la presenza di questo materiale nella tradizione siro-orientale rivelerebbe come la Chiesa siro-ortodossa e la Chiesa dell’Est potessero trovarsi d’accordo nel risemantizzare la figura di Costantino per negare proprio ciò che in essa trovava il suo fondamento, ovvero il rilascio della patente di ortodossia da parte dell’autorità imperiale.
L’ultimo testo che prenderemo in considerazione è scritto in arabo, ma l’autore, appartenente alla Chiesa siro-orientale, si avvale per lo più di fonti siriache64. Esso è di fatto una storia della Chiesa dell’Est scandita dalle vite dei suoi santi e patriarchi e integrata con i maggiori avvenimenti relativi all’Impero romano e persiano e, in seguito, al califfato. L’anonimo compilatore mette a disposizione del lettore tutte le informazioni di cui dispone, talvolta giustapponendo varie versioni dello stesso evento senza curarsi di trarne una narrazione coerente, altrove menzionando invece le fonti delle diverse varianti. Grazie a questo procedimento di copia-incolla, apparentemente senza previa selezione, la cronaca fornisce lo spettro completo del materiale agiografico su Costantino disponibile in ambienti siro-orientali intorno al X secolo.
La sezione relativa a Costantino è preceduta dal racconto dell’imprigionamento del drago da parte di papa Silvestro, episodio che viene situato cronologicamente prima del battesimo dell’imperatore: la recensione degli Actus Silvestri che il cronista ha a disposizione è pertanto la stessa che si trova nella Cronaca dello Pseudo-Zaccaria65.
La narrazione si conclude con Silvestro che profetizza la morte di Massenzio e l’ascesa al trono di Costantino. L’autore presenta poi un resoconto un po’ confuso dei vari avvicendamenti sul trono durante la tetrarchia, culminante con Massenzio e Massimino che perseguitano i cristiani, rispettivamente a Roma e in Siria, e Costantino che si appresta a muovere loro guerra. Qui si collocano la visio crucis, la conseguente conversione dell’imperatore e la vittoria su Massenzio, in una versione che deriva da quella di Socrate. Ma subito dopo l’autore dice che «vi è anche un’altra causa della conversione di Costantino» e riprende il filo interrotto degli Actus Silvestri, raccontando la storia della guarigione dalla lebbra grazie al battesimo. Egli riporta poi l’eliminazione di Massimino Daia seguendo a grandi linee la Storia Ecclesiastica di Eusebio: Massimino dapprima si sottomette a Costantino, ma poi si ribella e ricomincia le persecuzioni contro i cristiani; allora Costantino manda contro di lui Licinio, il quale, dopo averlo sconfitto, rimane a governare la Siria. Costantino ordina che i cristiani siano protetti e rispettati in tutto l’Impero e incarica Eusebio di Cesarea di abbattere i templi dei pagani e innalzare chiese al loro posto. Pur avendo abbracciato la vera fede, egli decide però di non farsi battezzare, perché vuole ricevere il battesimo nelle acque del Giordano. Dopo questa eclatante contraddizione con il battesimo da parte di papa Silvestro raccontato in precedenza, senza la minima soluzione di continuità il cronista riprende nuovamente il racconto degli Actus, riferendo sinteticamente della disputa con i giudei: qui però si discosta dalla versione dello pseudo-Zaccaria, poiché dice che i giudei instillano direttamente a Costantino, senza il tramite di Elena, il dubbio che la guarigione dalla lebbra si debba al loro Dio unico e non a Cristo; inoltre, a fronteggiare i dodici ebrei nella disputa sono dodici vescovi cristiani, non Silvestro.
A questo primo capitolo su Costantino fa seguito una sezione intitolata «Ritrovamento della Croce e dei chiodi», in cui l’inventio crucis da parte di Elena viene raccontata secondo una versione che si avvicina a quella di Socrate, ma con una significativa differenza: il vescovo che aiuta l’imperatrice a trovare la croce non è Macario di Gerusalemme, bensì un non meglio precisato Eusebio (forse di Nicomedia), che dopo l’evento abbandona l’arianesimo e anatematizza Ario66.
A questo punto il cronista ricomincia tutto da capo con un capitolo intitolato «Elena la credente e suo figlio Costantino il Vittorioso», utilizzando un’altra serie di fonti. Dopo aver parlato della giovinezza di Elena a Edessa, attingendo agli scritti connessi con i canoni di Mārūtā di Maipherqaṭ, il cronista riporta di nuovo l’episodio della visio crucis, raccontandolo per ben tre volte. La prima e la terza versione sono attribuite entrambe a Quṣtā ibn Lūqā67. La seconda risale a Išo‘ bar Nun68 e a essa è connessa una piccola divagazione sull’uso che le comunità della Chiesa dell’Est hanno di attaccare un velo al bastone che regge la croce, a rappresentare proprio il drappo del labaro portato da Costantino in battaglia. La continuazione del racconto di Quṣtā ibn Lūqā contiene elementi che riecheggiano il memrā per la festa della croce di cui si è trattato sopra: Costantino va a Roma e interroga i sacerdoti pagani sul simbolo che ha visto, ma questi negano e rispondono evasivamente; i cristiani della città gli fanno però sapere in segreto che la croce è il segno del loro Dio; egli allora convoca il vescovo di Roma Eusebio, si fa istruire sulla dottrina, si converte e riceve il battesimo. In questo punto si innesta un’ulteriore variante agiografica, che il cronista purtroppo introduce con un vago «alcuni dicono che» senza specificare meglio la fonte: al momento del battesimo da parte di Eusebio, Costantino sarebbe stato lebbroso. Segue quindi un racconto in tutto e per tutto identico alla conversio Constantini degli Actus Silvestri, con Eusebio di Roma al posto di Silvestro. La genesi delle due leggende sul battesimo di Costantino è stata oggetto di numerosi studi, ma il rapporto che le lega è ancora lungi dall’essere acclarato con certezza69. Questo passaggio della cronaca potrebbe certo riflettere il caotico sovrapporsi delle due narrazioni già formate e diffuse, ma potrebbe anche recare traccia concreta di quello snodo evolutivo che legherebbe le due leggende e che finora è stato soltanto ipotizzato.
Dopo aver raccontato nuovamente l’inventio crucis, stavolta nella versione della leggenda di Giuda Ciriaco, e aver fatto un excursus sulle sorti della reliquia del santo legno al tempo di Cosroe ed Eraclio, il compilatore torna a utilizzare gli scritti legati ai canoni di Mārūtā, che collegano il viaggio di Elena in Terrasanta alla convocazione del concilio di Nicea nel modo in cui sopra si è detto. Nel capitolo riservato al concilio egli segue dunque principalmente questa fonte, e i punti salienti riguardanti Costantino sono gli stessi di cui si è parlato a proposito di Barhadbešabba ‘Arbaya.
L’ultimo capitolo dedicato a Costantino racconta della sua morte. La narrazione principale comincia con Eusebio di Roma e altri quaranta vescovi riuniti al capezzale dell’imperatore, che piangono per l’imminente successione al trono di Giuliano, nemico dei cristiani. Costantino profetizza dal letto di morte le persecuzioni che egli metterà in atto e le dure prove a cui in particolare sottoporrà Eusebio, ma anche la breve durata del suo regno e la sua morte in terra straniera. Uno fra i vescovi, proveniente da Edessa, gli chiede di benedire la sua città ed egli, proprio prima di spirare, formula un voto per i suoi abitanti. Tutto fa pensare che la fonte di questa narrazione sia, direttamente o indirettamente, la parte iniziale del cosiddetto Romanzo di Giuliano. Questo testo ci giunge mutilo dell’inizio e nel testimone principale che lo conserva la narrazione comincia proprio dopo la morte di Costantino70. Tuttavia l’immediata successione di Giuliano a Costantino, l’allusione al martirio di Eusebio di Roma e la benedizione della città di Edessa sono elementi inequivocabilmente riconducibili a esso, e la corrispondenza dei contenuti della sezione della cronaca dedicata a Giuliano con la parte del Romanzo che ci è pervenuta conferma il suo utilizzo come fonte da parte del compilatore.
Il capitolo si conclude con la versione alternativa della morte di Costantino a Nicomedia, riportata però molto brevemente e senza alcuna allusione al suo battesimo in punto di morte.
Se si deve trarre una conclusione da queste note sparse sulla ricezione del mito di Costantino nelle due maggiori tradizioni cristiane di lingua siriaca, essa è che il regno di Costantino è uno spartiacque problematico. Se da un lato egli ha messo al riparo i cristiani dai pericoli esterni, dall’altro ha aperto la strada alla legittimazione di aberrazioni interne e ha esposto la Chiesa al contagio con i mali che affliggono il potere politico, come dice un autore siro-orientale del tardo VII secolo, Giovanni bar Penkaye: «Da quando […] i re credenti assunsero il governo dei Romani, allora corruzione e disordine entrarono nella Chiesa e si moltiplicarono le confessioni di fede e i sinodi, al punto che ogni anno inventavano un nuovo credo»71. Tuttavia la mole di materiale agiografico con cui è intessuto il mito di Costantino era tale da non poter essere minimizzata o ignorata, e la sua figura, incontestabilmente positiva, ha trovato comunque posto sia nella liturgia delle Chiese sire che nella loro memoria del passato.
1 Per quanto riguarda il culto dei santi e le liturgie delle Chiese sire, opere di riferimento fondamentali sono A. Baumstark, Festbrevier und Kirchenjahr der syrischen Jakobiten, Padeborn 1910; J.M. Fiey, Saints syriaques, Princeton 2004; Les liturgies syriaques, éd. par F. Cassigena-Trévedy, I. Jurasz, Paris 2006; sulla presenza in essi di Costantino, alcuni contributi importanti si trovano in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, 2 voll., Macerata 1993. Per quanto riguarda invece la storiografia siriaca, un valido strumento di partenza è tuttora la rassegna proposta da Sebastian Brock: S.P. Brock, Syriac Historical Writing: a Survey of the Main Sources, in Journal of Iraqi Academy (Syriac Corporation), 1979-1980, V, pp. 1-30, rist. in Id., Studies in Syriac Christianity, Aldershot-Brooksfield 1992, I; esso si può utilmente integrare con i saggi della miscellanea L’historiographie syriaque, éd. par M. Debié, Paris 2009. Per rinvii ad approfondimenti e ulteriore bibliografia si farà spesso riferimento al Gorgias Encyclopedic Dictionary of Syriac Heritage, ed. by S.P. Brock, A.M. Butts, G.A. Kiraz et al., Piscataway 2012.
2 Sulla riforma di Išo‘yab III, detta anche del «Monastero Superiore», cfr. F. Cassigena-Trévedy, L’organisation du cycle annuel, in Les liturgies syriaques, cit., pp. 13-48, in partic. 25-29 e 39. Sul santorale siro-orientale, la sua evoluzione e la riforma di Alqoš, cfr. J.-M. Fiey, Le sanctoral syrien oriental d’après les évangéliaires et bréviaires du XIe au XIIIe siècle, in L’Orient Syrien, 8 (1963), pp. 21-54.
3 F. Nau, Martyrologes et ménologes orientaux, I-XIII. Un martyrologe et douze ménologes syriaques édités et traduits, Paris 1912 (PO 10, 1). Con il termine ‘menologi’ Nau intende qui genericamente le liste dei santi per ogni giorno del mese, ed è questo il senso con cui esso verrà utilizzato anche qui. Cfr. anche F. Cassigena-Trévedy, L’organisation du cycle annuel, cit., pp. 37-39.
4 Sul monastero di Qennešre, importante centro di studio e trasmissione della cultura greca in ambito siriaco, cfr. Gorgias Encyclopedic Dictionary of the Syriac Heritage, cit., pp. 345-346.
5 Cfr. A. Baumstark, Festbrevier und Kirchenjahr, cit., pp. 258-262.
6 Per un’ipotesi di influenza copta cfr. U. Zanetti, Costantino nei calendari e sinassari orientali, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, cit., II, pp. 893-914, in partic. 897.
7 L’antico rito gerosolimitano fu gradualmente sostituito da quello bizantino e già nel IX secolo era caduto in disuso. Tuttavia sono conservate una versione armena e una georgiana del suo lezionario, cfr. A. Luzzi, Il «Dies Festus» di Costantino il Grande e di sua madre Elena nei libri liturgici della Chiesa greca, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, cit., II, pp. 585-643, in partic. 586-587, e U. Zanetti, Costantino nei calendari e sinassari orientali, cit., pp. 894-895.
8 I sette martiri fratelli, la cui storia è raccontata in 2Mac 7, sono commemorati il 1° agosto sia nel sinassario costantinopolitano che nel martirologio romano e in quello siro. Al contrario né Abgar né Costantino appaiono altrove associati a questa data e la loro collocazione qui rimane inspiegata. Cfr. U. Zanetti, Costantino nei calendari e sinassari orientali, cit., p. 898, il quale ipotizza, senza però troppa convinzione, un’influenza da parte del sinassario bizantino, che in questa data includeva anche la festa della santa croce.
9 Cfr. F. Nau, Martyrologes et ménologes, cit., p. 44, 4-5.
10 Sulla leggenda di Abgar e il testo in cui essa è contenuta, la Dottrina di Addai, cfr. Gorgias Encyclopedic Dictionary of the Syriac Heritage, cit., pp. 5-7; 9-10. Sul rapporto fra le figure di Abgar e Costantino e sullo sviluppo delle due leggende cfr. P. Wood, ‘We have no king but Christ’: Christian Political Thought in Greater Syria on the Eve of the Arab Conquest (c. 400-585), Oxford 2010.
11 Cfr. J.-M. Fiey, Diptyques nestoriens du XIVe siècle, in Analecta Bollandiana, 31 (1963), pp. 371-413, in partic. 407.
12 Sul Libro dei Viventi, o Libro della Vita, cfr. R.H. Connolly, The Book of Life, in Journal of Theological Studies, 13 (1912), pp. 580-594; Two commentaries on the Jacobite Liturgy by George Bishop of the Arab Tribes and Moses Bār Kēphā: together with the Syriac anaphora of St. James and a document entitled “The Book of Life”, ed. and tr. by R.H. Connolly, H.W. Codrington, Oxford 1913; A. Palmer, The Book of Life in the Syriac Liturgy, in The Harp, 4 (1991), pp. 161-171.
13 Cfr. Two commentaries on the Jacobite Liturgy, cit., pp. 123 (traduzione); p. 127 (testo siriaco).
14 Nella tradizione siro-orientale non sembra esserci distinzione fra i dittici e il Libro della Vita, detto anche Libro dei Vivi e dei Morti: cfr. J.-M. Fiey, Diptyques nestoriens, cit., pp. 376-378.
15 Cfr. J.-M. Fiey, Diptyques nestoriens, cit., pp. 406-407. Sul regno di Nu‘mān III cfr. anche The Encyclopaedia of Islam. New Edition, ed. by E. van Donzel, B. Lewis, Ch. Pellat, 12 voll., Leiden 1978-2007, VIII, pp. 119-120.
16 Cfr. F. Cassigena-Trévedy, L’organisation du cycle annuel, cit., pp. 25-29.
17 Lact., mort. pers. 44; Eus., v.C. I 28-30.
18 Cfr. The Finding of the True Cross: the Judas Kyriakos Legend in Syriac, ed. and tr. by H.J.W. Drijvers, J.W. Drijvers, Louvain 1997 (CSCO 565, Subsidia 93), Introduction, pp. 11-34.
19 Su di essa si basa, ad esempio, la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze.
20 Questa è l’ipotesi avanzata più di recente da Han e Jan Drijvers, cfr. The Finding of the True Cross, cit., pp. 21-27, con discussione di ipotesi differenti e relativi riferimenti bibliografici.
21 Cfr. The Finding of the True Cross, cit., p. 21; S. Borgehammar, How the Holy Cross was found, Stockholm 1991, pp. 151, 241-242, 246-249.
22 Il testo dell’omelia è inedito, ma Sebastian Brock ne espone il contenuto in un suo articolo, cfr. S.P. Brock, Two Syriac Poems on the Invention of the Cross, in Lebendige Überlieferung: Festschrift für H.-J. Vogt, hrsg. von N. el-Khoury, H. Crouzel, R. Reinhardt, Beirut-Ostfildern 1992, pp. 55-82, in partic. 57-58; rist. in Id., From Ephrem to Romanos. Interaction between Syriac and Greek in Late Antiquity, Aldershot 1999, XI.
23 F. Nau, Sur la fête de la Croix. Analyse d’une homélie de Moyse bar Cépha et du ms. grec 1586 de Paris, in Revue de l’Orient Chrétien, 9 (1914), pp. 225-246.
24 Questo scritto di Moše bar Kepha attesta come le due varianti della storia dell’inventio crucis che circolavano in ambito siriaco, la Leggenda di Protonike e la Leggenda di Giuda Ciriaco, siano state alla fine armonizzate e rese compatibili fra loro: Protonike affida la croce al vescovo di Gerusalemme Simeone, ma alla sua morte gli ebrei se ne reimpossessano e la nascondono in un pozzo, lo stesso che due secoli dopo Giuda indicherà a Elena. Cfr. F. Nau, Sur la fête de la Croix, cit., p. 234.
25 Tale versione, come si avrà modo di vedere più avanti, è accolta anche in alcuni testi della storiografia siriaca. Anche in Eusebio è Costantino a far convertire la madre e a renderla una devota cristiana, ma senza che la cosa sia collegata in alcun modo all’episodio della visione della croce, cfr. Eus., v.C. III 47.
26 Cfr. S. Brock, Two Syriac Poems, cit., per traduzione e commento dei due testi. Essi sono di datazione incerta, ma Brock li ritiene collocabili entrambi nel VII-VIII secolo.
27 Brock ipotizza che l’autore del memrā attinga all’originaria versione del racconto della visio e che quindi il tiranno sia Massenzio, cfr. S. Brock, Two Syriac Poems, cit., pp. 61, 75.
28 Anonymi auctoris expositio officiorum ecclesiae Georgio Arbelensi vulgo adscripta, ed. R.H. Connolly, I-IV, Paris 1911 (CSCO 64, SS 25, 28, 29, 32), I, pp. 105-109 (siriaco); II, pp. 84-87 (latino).
29 Il termine siriaco usato è un prestito dal greco ἰνδικτιῶν, ma in questo caso non si riferisce alla scansione quindicennale del sistema fiscale bizantino, bensì a un computo dei secoli basato su cicli di 532 anni a partire dalla creazione del mondo. Cfr. R. Payne-Smith, Thesaurus Syriacus, Oxford 1879, cc. 256-257.
30 L’anno liturgico nestoriano iniziava in dicembre, ma ottobre era considerato il primo mese dell’anno solare. Dell’inizio dell’anno in ottobre e della creazione del mondo in aprile l’autore parla nel secondo capitolo del primo trattato. Cfr. Anonymi auctoris expositio officiorum ecclesiae, cit., I, pp. 22-24 (siriaco); II, pp. 20-21 (latino).
31 Di Eusebio furono tradotti in siriaco la Storia Ecclesiastica e il Chronicon, mentre non c’è traccia di una tradizione siriaca della Vita Constantini. Sull’influenza di Eusebio e dei suoi continuatori – Socrate Scolastico, Sozomeno e Teodoreto – sulla storografia siriaca si veda M. Debié, L’héritage de la chronique d’Eusèbe dans l’historiographie syriaque, in Journal of the Canadian Society for Syriac Studies, 6 (2006), pp. 18-28.
32 Prenderemo qui in considerazione la Cronaca dell’846, la Cronaca di Zuqnin (metà VIII sec.), la cronaca di Michele il Siro (1126-1199), la Cronaca del 1234 e il Chronicon di Bar Hebraeus (1226-1286). Altri testi storiografici della tradizione siro-occidentale, quali ad esempio la Cronaca del 724 o la Cronaca dell’819, sono lasciati da parte in quanto accennano a Costantino molto brevemente.
33 Socr., h.e. I 1-4.
34 Eus., h.e. IX 9,1.
35 Chronicon anonymum pseudo-Dionysianum vulgo dictum I, edidit J.-B. Chabot, Lovanii 1927 (CSCO 91 SS 43), pp. 154-156; Incerti auctoris chronicon pseudo-Dionysianum vulgo dictum I, interpretatus est J.-B. Chabot, Lovanii 1949 (CSCO 121 SS 66), pp. 115-117. Il resoconto è un po’ confuso: il compilatore attribuisce a Massimino Daia («Massimino re di Siria») il racconto eusebiano della morte di Galerio e si trova poi costretto a postulare l’esistenza di un secondo Massimino. È comunque Costantino a intervenire contro entrambi in difesa dei cristiani, e Licinio non è minimamente menzionato.
36 Chronicon ad annum Christi 1234 pertinens I, edit J.- B. Chabot, Parisiis 1920 (CSCO 81 SS 36), p. 140; Anonymi auctoris cronico ad annum Christi 1234 pertinens I, interpretatus est J.- B. Chabot, Lovanii 1937 (CSCO 109 SS 56), p. 111.
37 Gregorii Barhebraei Chronicon Syriacum, edidit P. Bedjan, Parisiis 1890, pp. 59-60; The chronography of Gregory Abû’l Faraj, being the first part of his Political history of the world, tr. by E.A. Wallis Budge, I-IV, London 1932, I, pp. 58-59.
38 Chronicon ad annum 846 pertinens, in Chronica Minora II, edidit E.W. Brooks, Parisiis-Lipsiae 1904 (CSCO 3 SS 3), p. 147; Chronicon ad annum 846 pertinens, in Chronica Minora II, interpretatus est I.-B. Chabot, Parisiis-Lipsiae 1904 (CSCO 4 SS 4), p. 191.
39 Eus., h.e. IX 9,12. Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, a cura di F. Maspero, M. Ceva, Milano 1979, p. 489 nota 17.
40 Nella Cronaca di Zuqnin, in Michele il Siro, nella Cronaca del 1234 e in Bar Hebraeus Costanzo non è solamente un uomo mite e benevolo verso i cristiani, come in Eusebio, ma è cristiano egli stesso.
41 Chronique de Michel le Syrien, patriarche jacobite d’Antioche (1166-1199), editée et traduit pour la prémier fois en français par J.-B. Chabot, 4 voll., Paris 1899-1924, I, p. 240; IV, p. 123. The Edessa-Aleppo Syriac Codex of the Chronicle of Michael the Great, in Text and Translations of the Chronicle of Michael the Great, ed. by G.Y. Ibrahim, Piscataway (NJ) 2009, I, p. 126. Cfr. Socr., h.e. I 4.
42 Il manoscritto unico che conserva la cronaca è infatti mutilo di quattro fascicoli all’interno: mancano pertanto la parte finale della storia civile e la parte iniziale della storia ecclesiastica.
43 Una descrizione praticamente identica si trova nel Chronicon Ecclesiasticum di Bar Hebraeus, la cui fonte è Michele il Siro: cfr. Gregorii Barhebraei Chronicon Ecclesiasticum, ediderunt J.B. Abbeloos, T.J. Lamy, Lovanii 1872, I, pp. 69-74.
44 Socr., h.e. I 8.
45 Fa eccezione solo la Cronaca del 1234, che però probabilmente riportava i due episodi nella parte della storia ecclesiastica che non ci è pervenuta. Cfr. Socr., h.e. I 23; I 26-35.
46 Atanasio è accusato di trattenere ad Alessandria parte delle derrate di frumento destinate alla capitale.
47 Cfr. Historia Ecclesiastica Zachariae Rhetori vulgo adscripta, 4 voll., ed. and tr. E.W. Brooks, Paris 1919-1924 (CSCO 87 SS 38, 39, 41, 42); The Chronicle of Pseudo-Zachariah Rhetor, ed. by G. Greatrex, Liverpool 2011.
48 Classificabile, secondo Tessa Canella, come recensione B1: cfr. T. Canella, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto 2006, pp. 26-28. In questa versione l’imprigionamento del drago da parte di Silvestro non si colloca dopo la disputa contro i giudei, ma avviene prima del battesimo di Costantino.
49 In particolare: Costantino è lebbroso fin dalla nascita; Elena è già cristiana ed è lei, assieme al capo degli schiavi, a impedire il bagno nel sangue dei fanciulli, suggerito non da sacerdoti pagani ma da indovini babilonesi; il vescovo che guarisce e battezza l’imperatore rimane anonimo. Cfr. A.L. Forthingham, L’Omelia di Giacomo di Sarug sul battesimo di Costantino imperatore, in Memorie della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, s. 3, 8 (1883), pp. 167-242, in partic. 183.
50 M. Kohlbacher, Die Taufe Kaiser Konstantins und ihr geheimer Held. Anmerkungen zu einem Memra des Jakob von Batnan in Sarug, in Syriaca. Zu Geschichte, Theologie, Liturgie und Gegenwartslage der syrischen Kirchen, 2. Deutsche Syrologen-Symposium (Juli 2000, Wittenberg), Hamburg 2002, pp. 29-77. Si è già visto come Giacomo tratti in maniera molto libera anche l’episodio della visione della croce, cfr. supra.
51 Chronicon anonymum pseudo-Dionysianum vulgo dictum I, cit., pp. 150-154; Incerti auctoris chronicon pseudo-Dionysianum vulgo dictum I, cit., pp. 113-115.
52 Chronique de Michel le Syrien, cit., I, p. 242; IV, pp. 122-123; The Edessa-Aleppo Syriac Codex of the Chronicle of Michael the Great, cit., pp. 125-126.
53 Quest’opera, che si estendeva da Giulio Cesare all’età dell’autore, non è conservata per intero: la prima parte (fino a Teodosio II) è perduta, la seconda (fino a Giustino II) è incorporata nella Cronaca di Zuqnin, mentre solo la terza ci giunge integra. Su Giovanni di Efeso cfr. Gorgias Encyclopedic Dictionary of the Syriac Heritage, cit., p. 445.
54 I nomi Costanzo e Costantino sono facilmente confondibili in siriaco, come dimostra anche la Cronaca dell’846. Lo stesso Bar Hebraeus, che pure utilizza i nomi giusti, attribuisce a Costanzo uno degli epiteti di Costantino.
55 Il titolo Storia Ecclesiastica si deve all’editore dell’opera, F. Nau, ma il manoscritto unico che la conserva reca l’intestazione «Storia dei santi padri che furono perseguitati a causa della fede». Cfr. Barhadbešabba ‘Arbaya, Histoire ecclésiatique, éd. et trad. par F. Nau, Paris 1913-32 (PO IX,5 e XXIII,2). Su Ḥenana di Adiabene e la Scuola di Nisibi, cfr. Gorgias Encyclopedic Dictionary of the Syriac Heritage, cit., p. 194, 311.
56 Barhadbešabba ‘Arbaya, Histoire ecclésiatique, cit., p. 26.
57 Cfr. The canons ascribed to Mārūtā of Maipherqaṭ and related sources, ed. and tr. by A. Vööbus, 2 voll., Louvain 1982 (CSCO 430, 440 SS 191, 192).
58 J.W. Drijvers, Marutha of Maïpherqat on Helena Augusta, Jerusalem and the Council of Nicea, in Studia Patristica, 34 (2001), pp. 51-64. Su Rabbula cfr. Syrische Kirchenväter, hrsg. von W. Klein, Stuttgart 2004, pp. 57-70.
59 The canons ascribed to Mārūtā of Maipherqaṭ, cit., pp. 124-138 (siriaco); pp. 103-114 (inglese).
60 Barhadbešabba ‘Arbaya, Histoire ecclésiatique, cit., p. 31. The canons ascribed to Mārūtā of Maipherqaṭ, cit., p. 135 (siriaco); p. 111 (inglese).
61 The canons ascribed to Mārūtā of Maipherqaṭ, cit., p. 138 (siriaco); p. 114 (inglese). Barhadbešabba ‘Arbaya, Histoire ecclésiatique, cit., p. 36.
62 Barhadbešabba ‘Arbaya, Histoire ecclésiatique, cit., p. 41.
63 Cfr. J.-M. Fiey, Saints syriaques, cit., p. x.
64 Histoire Nestorienne Inédite (Chronique de Séert), ed. A. Scher, Paris 1907-1918 (PO 4,3; 5,2; 7,2; 13,4). Il titolo Cronaca di Seert rimanda al nome della città nel Sud della Turchia in cui è stato trovato il manoscritto unico che tramanda la cronaca. Il codice è mutilo sia all’inizio sia alla fine, la narrazione inizia nel 251 e si interrompe nel 650, ma l’estensione cronologica originaria è difficile da determinare. Anche la datazione è incerta, ma collocabile presumibilmente fra il tardo IX e gli inizi dell’XI secolo, cfr. R. Hoyland, Seeing Islam as Others Saw It. A Survey and Evaluation of Christian, Jewish and Zoroastrian Writings on Early Islam, Princeton 1997, pp. 443-446; J. Howard-Johnston, Witnesses to a World Crisis: Historians and Histories of the Middle East in the Seventh Century, Oxford 2010, pp. 324-325.
65 Cfr. supra,
66 Nella tradizione agiografica su Costantino le figure storiche di Eusebio di Roma (che fu papa solo per pochi mesi nel 309), Eusebio di Cesarea ed Eusebio di Nicomedia vengono erroneamente confuse o spesso volutamente scambiate, nell’intento di nascondere il battesimo ariano dell’imperatore da parte dell’ultimo dei tre. L’unica altra fonte da noi incontrata che vuole un Eusebio accanto a Elena nel ritrovamento della croce è Moše bar Kepha (cfr. supra).
67 Cristiano melchita originario di Ba‘albek, fu medico e filosofo attivo come traduttore alla corte abbaside di Baghdad a cavallo fra il IX e il X secolo e scrisse un’opera storica sulla quale possediamo scarse informazioni, cfr. L. Sako, Les sources de la chronique de Séert, in Parole de l’Orient 14 (1987), pp. 155-166. A quanto si legge nella Cronaca di Seert, sembra che Quṣtā stesso parlasse di due visioni, una prima della battaglia (una croce di stelle appare a Costantino in sogno) e una dopo (una croce lucente come fuoco gli appare in pieno giorno). Molto probabilmente, Quṣtā o l’autore della cronaca hanno assemblato in maniera goffa due fonti.
68 Catholicos della Chiesa siro-orientale dall’823 all’828, autore di un commentario delle Sacre Scritture in forma di domande e risposte, cfr. Gorgias Encyclopedic Dictionary of the Syriac Heritage, cit., p. 215. Il cronista dice che il passaggio sulla visione della croce è tratto dalle «domande del diacono Macario».
69 Cfr. M. Van Esbroeck, Rome l’ancienne et Constantinople vue de l’Armenie, in La nozione di «Romano» tra cittadinanza e universalità, Atti del II Seminario internazionale di studi storici Da Roma alla Terza Roma (Roma 21-23 aprile 1982), a cura di P. Siniscalco, P. Catalano, Napoli 1983, pp. 351-355; M. Kohlbacher, Die Taufe Kaiser Konstantins, cit., pp. 35-45; T. Canella, Gli Actus Silvestri, cit., pp. 81-83.
70 La datazione del Romanzo di Giuliano è discussa e le ipotesi proposte vanno dal tardo IV al VI secolo. Sembra però esservi comune accordo sull’origine edessena di questo testo. Cfr. Gorgias Encyclopedic Dictionary of the Syriac Heritage, cit., pp. 236-238.
71 A. Mingana, Sources syriaques, Leipzig 1907, II, p. 144 (siriaco), pp. 172-173 (francese).