CULLA (dal lat. cuna, termine ancora usato in varî dialetti italiani, attraverso il diminutivo cunŭla; fr. berceau; sp. cuna; ted. Wiege; ingl. cradle)
È l'apparecchio che, nella sua funzione più generale, serve da letto al bambino lattante, ma era soprattutto, in origine, ed è ancora presso i primitivi, un mezzo di trasporto: si può definire perciò come il giaciglio trasportabile del bambino. Per quanto ne facessero assai scarso uso, si sa che i Greci adoperarono delle culle (λίκνον o σκάϕη) in forma di barca per dondolare i bambini. Generale era invece l'uso della culla presso i Romani. Plauto ricorda spesso cunae e cunabula e fa cenno anche di incunabula, specie di legacci che tenevano fermo il bambino nella culla e gl'impedivano di cadere.
Etnologia. - Molti primitivi e anche varie popolazioni semicivili e civili (Giapponesi) la ignorano. Essa manca del tutto al continente africano, all'Arabia, all'India e all'Asia di SE., quasi totalmente all'Oceania e all'America intertropicale. La sua necessità nei paesi caldi è minore; il bambino riposa su un giaciglio a terra e viene trasportato direttamente sul corpo della madre (la faccia rivolta a questo): sul dorso o sul fianco (Negri), trattenuto da un lembo ripiegato della veste materna (Nordafricani, Arabi, Giapponesi, "tipoy" dell'America Meridionale), oppure, dove questa manca, da una fascia o rete o sacco di materia vegetale o di pelle (fig., n. 1). Ai veri primitivi manca un giaciglio trasportabile anche dove il clima lo renderebbe utile (regioni australi dell'Africa, dell'Australia, dell'America): al freddo eccessivo pare che si debba invece la sua assenza tra gli Eschimesi e i Paleoasiatici, ove la madre porta il bimbo in un cappuccio della sua calda pelliccia.
La culla si presenta distribuita in quattro territorî staccati, nei quali assume forme e sviluppi particolari: 1) l'Australia settentrionale; 2) parte dell'arcipelago malese; 3) l'Europa e l'Asia centrosettentrionale; 4) l'America.
La culla australiana è la più semplice di tutte, ma possiede già i caratteri essenziali. Consiste di un unico pezzo di legno scavato a trogolo (fig., n. 2) e fornito di una corda che passa intorno al collo della madre: è soprattutto un mezzo di trasporto, ma la forma (che è quella di tutti i recipienti di queste tribù australiane) ha in germe anche la funzione delle culle a dondolo.
L'area indonesiana possiede la forma a trogolo, che si porta orizzontale come in Australia, ma composta di più pezzi di legno, oppure a paniere, di giunchi intrecciati, sovente con apparecchi per la deformazione della testa del bimbo (Celebes). Ma esiste, come in America, anche la culla che si porta a gerla sul dorso, con il bambino in posizione verticale o, se è già grandetto, a sedere su una specie di seggiolino (Borneo).
Nell'Eurasia si trovano tutte le forme che dal trogolo primitivo hanno condotto alle nostre culle. Le popolazioni indigene della Siberia e i Lapponi usano ancora culle fatte di un sol pezzo di legno a forma di barchetta (fig., n. 3) o, composte di più pezzi, a forma di piatto ellittico o di cassetta quadrangolare (fig., n. 4). La cinghia serve per il trasporto (in posizione orizzontale), ma si usa anche per la sospensione nella tenda o all'aperto e per cullare il bambino. Appaiono anche i dispositivi per la protezione del capo. Per i bimbi più grandi la culla ha in varî luoghi (Ostiachi) una spalliera rialzata che consente la posizione a sedere e si porta sul dorso. Da queste forme a funzioni molteplici e che possiamo dire non ancora differenziate, sono venuti i tre tipi comuni tra le popolazioni più civili dell'Eurasia: il tipo a sospensione, tuttora frequente tra i contadini scandinavi, ma anche in qualche zona dell'Europa meridionale (fig., n. 5); il tipo a cassetta o paniere (fig., nn. 6-7), ancora facilmente trasportabile (in Portogallo, anche sulla testa), diffuso nell'Asia centrale, tra i Mongoli e i Turchi (compresi i Jakuti), e in Europa, dove ancora nel Medioevo era la forma più comune; e la forma a dondolo (fig., nn. 8-9), che s'incontra soltanto nell'Europa e nell'Asia anteriore e si può ritenere la più recente di tutte.
Passando agl'indigeni dell'America, culle di tipo eurasico primitivo, a trogolo o a canoa, si trovano tra gl'Indiani del NO. (Salish, Chinook), dove si portano anche sul dorso, ma probabilmente per imitazione dalle altre forme più diffuse. Tipi simili si sono osservati nei Pueblos (Tao) e si vedono negli antichi codici pittografici messicani: è probabile che in America, come nel mondo antico, questo sia stato il tipo originario. Esso è però dovunque in uno stato residuale e non ha dato sviluppi diretti. La forma normale dell'oggetto usato per il riposo e per il trasporto del bambino è, invece, un apparecchio che pare un compromesso fra il sacco e la culla, essendo il bambino strettamente legato su di esso e portato sulla schiena in posizione verticale, il dorso rivolto al dorso della madre. Questa culla nelle sue forme più semplici può essere un vero sacco rigido di pelle (Comanche), o una gerla di erbe intrecciate (fig., n. 10), o una cassetta di legno (fig., n. 11), o una gerla di giunchi (fig., n. 12), comune quest'ultima nella California e nel Messico. Più diffusa, specie tra le genti mobili, è una struttura piana, graticcio o lettiga, su cui il bambino è legato avvolto nelle sue fasce fig., n. 13), o è applicato il sacco destinato a contenerlo (fig., nn. 14-15).
Queste culle verticali si trovavano un tempo nella regione andina fino alla Patagonia, ma ebbero tra gl'Indiani del nord lo sviluppo maggiore, nella varietà delle forme, nella ricchezza della decorazione (celebri, a questo riguardo, le culle dei Sioux), nei dispositivi per la protezione (fig., nn. 12 e 14) e per la deformazione (fig., nn. 11 e 13) del capo. La culla verticale, se non è usata per il trasporto, può essere appesa o appoggiata: in qualche caso può essere infissa nel terreno. Forme indipendenti di culle a sospensione (orizzontale) sono le piccole amache usate nel Brasile orientale e nelle Guiane, in passato anche tra gl'Indiani del NE. (Capo Breton).
Nonostante la distribuzione ad aree staccate (v. la carta qui sopra), la culla sembra aver avuto un unico centro di origine. Il Pflug la collega giustamente al ciclo culturale totemico e ritiene che dall'Australia l'invenzione si sia diffusa verso il nord, nell'Eurasia e, da questa, per lo Stretto di Bering, nell'America. Ma in Australia la cultura totemistica ha diffusione limitata e il fatto che tale regione conservi una forma primitiva dell'oggetto non basta a farla ritenere la patria di esso. Più probabilmente la culla è di origine asiatica e dall'Asia il ciclo culturale dei grandi cacciatori nomadi (civiltà del totem) la diffuse verso gli altri continenti. Si è veduto che le culture tropicali degli agricoltori primitivi non l'hanno adottata che in via affatto eccezionale. Per contro, la cultura pastorale e le maggiori civiltà agricole occidentali hanno adottato e sviluppato l'oggetto sino alle forme che ci sono familiari. È indubbio, inoltre, che l'uso della culla è legato al costume della deformazione della testa (v. deformazioni e mutilazioni del corpo) e può essere stato uno dei veicoli principali della diffusione di questa.
Bibl.: H. Ploss, Das Kind im Brauch und Sitten der Völker, Lipsia 1884; O. T. Mason, the Human Beast of Burden, in Smiths. Inst. Reports of the U. S. Nat. Museum, Washington 1887; id., Cradles of the American Aborigines, ibid., Washington 1889; R. Karutz, Ursprung und Formen d. Wiege, in Globus, LXXV, Brunswick 1899, p. 232 seg.; W. Pflug, Die Kinderwiege, ihre Form und ihre Verbreitung, in Archiv für Anthrop., XIX, pp. 185-222, Brunswick 1923 (bibl. e carta); R. Hauthal, Über eine Kindertrage der Tehuelchen im südlichen Patagonien, in Atti del XXII Congresso Internaz. degli Americanisti, II, Roma 1928, p. 148.
Arte. - Inventarî e rappresentazioni attestano le svariate forme della culla, quasi tutte adatte al movimento a dondolo. Le più semplici sono evidentemente le culle popolane che vanno dal cesto presso che simile a quello ancor oggi in uso, alla culla lignea come una sezione di tronco d'albero. Una forma particolare è quella a guisa di amaca sospesa con cordicelle alle travi del soffitto, rappresentata nel dipinto di Simone Martini in S. Agostino di Siena. Disadorne culle popolane smontabili nelle quattro sponde che si compongono ad incastro vediamo in dipinti e sculture del sec. XV (Roma, Galleria Colonna, Niccolò Alunno, La Madonna che libera un fanciullo dal demonio; Pisa, Porta principale della Cattedrale, La nascita della Vergine). Le culle signorili descritte in antichi documenti erano spesso molto ornate e di materiali preziosi. Le più antiche giunte fino a noi sono in legno con sobrî ornati intagliati o dipinti, tra cui ricorrono sempre più frequenti gli stemmi gentilizî. Ricordiamo la culla intagliata della collezione Bagatti-Valsecchi a Milano (Lombardia, sec. XVI); quella dipinta e dorata (1500) della casa Cavazza a Saluzzo; un'altra del Museo artistico industriale di Milano. Nel tempo e nei diversi luoghi la culla ebbe varianti: in talune culle lorenesi si vede prevalere la forma a balaustri quasi sempre con manici per dondolare, come le culle tedesche dello stesso periodo (sec. XV) inguainate in due robusti piedi curvi. Dal sec. XVI al XVII un gruppo di culle inglesi si presenta con baldacchini rotondi, quadrati, con insegne gentilizie scolpite, con motti e date incise. Lo sfarzoso addobbo delle culle secentesche completava coi pesanti drappeggi la linea del mobile. Ed ecco, nel sec. XVIII, la culla emergere dalle stoffe soffocanti ed assumere la graziosa forma di navicella oscillante fra due alti sostegni. Fra le culle del genere più vicine a noi è da ricordare la ricchissima culla con sculture e bassorilievi argentei disegnata dal Prud'hon e offerta da Parigi a Maria Luisa per la nascita del re di Roma. A Napoli è mostrata con orgoglio la ricca culla a dorature e delicati bassorilievi che la città offrì a Margherita e Umberto di Savoia per la nascita del principe ereditario. (V. tavv. XXIII e XXIV).
Bibl.: P. Toesca, La Casa Bagatti-Valsecchi, Milano 1918; A. Pedrini, L'ambiente, il mobilio e le decorazioni del Rinascimento in Italia, Torino 1925; Percy Marquard, The Diction. of English Furniture, Londra 1925; Fr. Schottmüller, I mobili e le abitazioni del Rinascimento in Italia, 2ª ed. it., Stoccarda 1928; Ch. Savoul, Le mobilier lorrain, Parigi s. a.