CUFICA
Grafonimo usato tradizionalmente per designare la scrittura araba, epigrafica o libraria, dei primi secoli dell'Islam.Si ritiene che l'aggettivo cufica (arabo kūfī) sia derivato dal nome della città di Kūfa (Iraq), fondata nel 17 a.E./638, importante centro politico, religioso e culturale del mondo islamico. Nello stesso tempo però è generalmente accettata la teoria secondo la quale la c. sarebbe stata in qualche modo preesistente alla fondazione della città e da ricollegarsi alla scrittura in uso a Ḥīra, capitale in epoca preislamica dello stato dei Lakhmidi (secc. 4°-6°) e non lontana dal luogo in cui più tardi sorse Kūfa; pertanto la scrittura è stata detta Hīran-Kūfic type (Abbott, 1939). In effetti la scrittura libraria siriaca, particolarmente quella usata nella capitale lakhmide, esercitò nel corso dei secc. 5° e 6° una forte influenza sullo sviluppo di quella libraria araba (Cohen, 1958; Grohmann, 1971; Garbini, 1979; Endress, 1982). A una possibile origine egiziana della c. usata nei manoscritti coranici accenna invece Jeffery (1940), che nota una somiglianza tra questa scrittura e quella dei protocolli nei rotoli di papiro arabi di origine egiziana e sottolinea come per la maggior parte i codici redatti in c. siano provenienti e probabilmente originari dell'Egitto; alla stessa conclusione giunge anche Déroche nel catalogo dei manoscritti coranici della Bibliothèque Nationale di Parigi (Bibliothèque Nationale, 1983). In ogni caso la denominazione di c. farebbe riferimento non tanto al luogo d'origine, quanto piuttosto al fatto che a Kūfa essa fu ampiamente impiegata per la trascrizione del Corano (Grohmann, 1971), rappresentando tale pratica l'uso peculiare di questa scrittura in ambito librario (una delle poche eccezioni è riprodotta in Facsimiles of Manuscripts, 1875-1883, tav. XIX).In opposizione alla teoria tradizionale, che tende a designare come c. qualsiasi scrittura dei primi secoli dell'Islam e perfino quella araba di epoca preislamica (Faḍā'ilī, 1971), oggi si tenta di definire più precisamente la sfera di applicazione di tale grafonimo. In ambito librario il suo impiego è stato ridimensionato dall'individuazione di altre scritture coraniche antiche, come la ḥijāzī ('higiazena'), la mā'il ('inclinata'), che costituisce una sottospecie della precedente, e la ^irāqī ('irachena'; Déroche, 1980), mentre in campo epigrafico esso è ancora ampiamente utilizzato. La c. infatti, pur tradendo un'origine corsiva (Bergsträsser, 1919), trova nell'epigrafia il suo impiego più congeniale. In campo librario invece il termine c. andrebbe riservato a una particolare stilizzazione, usata principalmente per la copia del Corano, ispirata alla scrittura epigrafica; per tale motivo Pretzl (1938) preferisce per tale scrittura la denominazione di Lapidarschrift in sostituzione di cufica. Essa è normalmente associata, nei codici coranici in pergamena, all'uso di un formato oblungo orizzontale (la larghezza della pagina è superiore all'altezza), che sarebbe adoperato per riprodurre la forma di fasce o pannelli di moschea iscritti con versetti coranici (Ettinghausen, 1939).La definizione delle caratteristiche di questa scrittura rispecchia l'incertezza insita nella sua stessa individuazione e denominazione. Diversi autori sembrano considerare come caratteristica saliente della c. - particolarmente in ambito epigrafico - il fatto che in essa non siano usati i punti diacritici deputati alla differenziazione delle lettere di uguale forma (Cohen, 1958; Ocaña Jiménez, 1970). In effetti l'assenza di punti diacritici appare caratteristica in generale della scrittura epigrafica dei primi secoli dell'Islam (Grohmann, 1971), anche se occasionalmente essi sono attestati anche nelle più antiche epigrafi, come quella della diga nei pressi di Ṭā'if (58 a.E./677-678). Per gli autori musulmani invece la c. si caratterizza principalmente in ragione della percentuale fra tratti curvi e diritti. Secondo Faḍā'ilī (1971) nella c. semplice, come nella maggior parte dei tipi della c. ornamentale, il rapporto sarebbe di uno a sette, costituendo dunque l'aspetto angoloso il tratto più caratteristico di questa scrittura. Vi sarebbero però alcuni tipi di c. in cui i tratti curvi possono rappresentare anche la metà del totale; si ripropone dunque il problema di una denominazione troppo onnicomprensiva e poco caratterizzante. Una definizione più puntuale delle caratteristiche della c. di ambito librario è stata fornita da Déroche: dopo aver respinto in sede teorica la categoria di c. per l'assenza di una definizione pratica di ciò che essa copre, egli propone l'identificazione della c. classica con il c.d. gruppo D di grafie coraniche (Déroche, 1980; Bibliothèque Nationale, 1983, tavv. XVB, XVI, XVIIA, XVIII, XIXA e B, XX).La scrittura del primo periodo islamico è caratterizzata in generale da identificazioni secondarie tra lettere che portano a una riduzione del loro numero; nella c. tale processo di riduzione è volutamente portato alle estreme conseguenze. Già Pretzl (1938) aveva notato che nella c. libraria lettere originariamente diverse si lasciano ricondurre a pochi elementi di base: l'angolo, il cerchio, le linee parallele. In uno studio dedicato alle iscrizioni in c. intrecciata su oggetti di ceramica samanide, Volov (1966) ha individuato cinque raggruppamenti secondari cui si lasciano ricondurre tutte le lettere. I raggruppamenti ruotano intorno a cinque forme di base: verticale, rettangolare, rotonda, bassa, obliqua; a partire da queste forme si possono spiegare i diversi modi di sviluppo ornamentale assunti dalla c. epigrafica, suddivisi in tre fasi: trasformazione naturale della forma della lettera, modificazione interna, aggiunta di un'ornamentazione esterna.Le classificazioni della c. epigrafica sono basate su elementi che appartengono principalmente all'ornamentazione. Nella c. sviluppatasi in territorio persiano, Flury (1939) distingue sei tipi: c. semplice, c. foliata, c. con girali ondulati continui, c. intrecciata, c. contornata, c. rettangolare. Grohmann (1957) fa invece riferimento a una classificazione secondo otto tipi: c. primitiva o semplice, c. con apici elaborati, c. foliata, c. fiorita, c. intrecciata, c. bordata, c. architettonica, c. quadrata. Quest'ultimo autore insiste sulla necessità di tenere distinti i tipi, spesso confusi fra loro, della c. foliata, che si sviluppa a partire dalla biforcazione degli apici delle lettere, che assumono forma di foglie a due o a tre lobi, o di semipalmette (Grohmann, 1957, tav. 1, fig. 2), e della c. fiorita, che presenta inoltre lo sviluppo di motivi floreali, tralci e rami, innestantisi sugli apici e perfino sul corpo di alcune lettere (Grohmann, 1957, tav. 8, fig. 21). Faḍā'ilī (1971) distingue invece tre tipi di c.: semplice, ornata (con foglie, fiori, cornici), architettonica o quadrata. Quest'ultimo tipo, caratterizzato da lettere di forma angolosa e identificabile con la c. rettangolare delle classificazioni precedenti, è impiegato particolarmente su edifici ed elementi architettonici; secondo diversi autori esso sarebbe derivato dalla scrittura rettangolare cinese (Flury, 1939).L'evoluzione storica della c. epigrafica viene presentata come determinata dal desiderio di ovviare a una disarmonia insita nella scrittura araba: l'innalzarsi irregolare delle aste di alcune lettere nel registro superiore della fascia di scrittura doveva apparire antiestetico. Secondo Kühnel (1942, fig. 1) si sarebbero avuti così lo stiramento dei tratti orizzontali e lo sviluppo di code nel registro inferiore dalla metà del sec. 8°, per controbilanciare le aste in quello superiore. Dal sec. 10° un'altra soluzione sarebbe consistita nell'aumentare il numero dei tratti verticali che s'innalzano dal registro superiore, con lo stirare verso l'alto le code delle lettere che terminano con un tratto curvo e rotondo e con la creazione di quelle 'code rimontanti' - ben testimoniate su stoffe, ceramiche, iscrizioni su pietra e stucco, ma non nella scrittura libraria - che conobbero realizzazioni particolarmente eleganti nella Persia samanide (Kühnel, 1942, fig. 8). L'evoluzione della scrittura angolosa si configura in seguito sempre più come una reazione a una sorta di horror vacui: prima in Egitto e poi quasi ovunque nel mondo islamico si sviluppò il tipo c.d. blühendes Kufi, con tralci, fiori e foglie sempre più autonomi dalla scrittura (Kühnel, 1942, fig. 16). Infine la c. intrecciata (Flechtkufi), con nodi più o meno complessi delle aste, rappresenta l'ultimo espediente in ordine di tempo per riempire gli spazi vuoti (Kühnel, 1942, fig. 18).Analogo approccio alla storia della c. epigrafica è fornito dall'ampia e documentata trattazione di Grohmann (1971): il primo passo nello sviluppo di questo tipo di c. è costituito dalla apicizzazione della testa dell'alif; nacquero così la c. foliata (Blattkufi) e poi la c. fiorita (Blumenkufi); la reazione allo horror vacui si organizzò in seguito attraverso diversi espedienti grafici (ripresa sopra il rigo di parole o parti di parole; uso di segni di distinzione) e ornamentali.In campo librario si assiste a una stilizzazione calligrafica piuttosto che a un vero e proprio sviluppo ornamentale della scrittura. Di particolare bellezza è la c. orientale (Eastern Kufic), un sottotipo della quale, la c. carmatica (Karmaten Kufi: Kühnel, 1942; Qarmatian script: Safadi, 1978), si differenzierebbe dalla prima solo per la presenza di uno sfondo arabescato della pagina (Lings, 1976, tav. 17; Saint Laurent, 1989).Fin dai secc. 9°-10° si manifestò quella che è stata definita come funzione iconica della c.: essa ricopre qualsiasi manufatto (vasi, stoffe, abiti, tappeti, mattonelle, oggetti d'uso quotidiano), dove costituisce messaggio, decorazione e immagine allo stesso tempo (Piemontese, 1980). La forma grafica è portatrice di altri significati oltre al messaggio linguistico rappresentato. Su oggetti di metallo originari dell'Iran orientale (secc. 12°-13°) le lettere o parti di esse assumono forma umana o animale (v. Alfabeto figurato) e la scrittura - che registra le consuete formule d'augurio - rappresenta scene conviviali, di guerra, di caccia e di vita quotidiana (Safadi, 1978, fig. 24). Nei corani lo stiramento sul rigo e la deformazione del tracciato delle lettere riescono a rappresentare come in una pittografia il senso del messaggio, oltre la formulazione linguistica di esso (Orsatti, 1990, tav. 1). Nelle fasce che bordano edifici e moschee la scrittura ha un valore solenne, mentre le formule stereotipe che vi sono scritte restano inaccessibili alla lettura (Ettinghausen, 1974). Questo valore della scrittura è evidente in diversi manufatti, sui quali essa è impiegata come motivo decorativo e forse in funzione magico-apotropaica, al di là del messaggio linguistico significato: per es. le tre lettere iniziali della formula augurale: liṣāḥibihi ('prosperità, felicità') al suo possessore (Flury, 1939); oppure l'espressione baraka 'benedizione' (Flury, 1924). Alcuni moduli compositivi che presiedono allo sviluppo in senso decorativo della scrittura - ripetizione semplice o simmetrica, capovolgimento, ritmo - sono stati studiati da Christie (1922).Tale valore decorativo della scrittura araba esercitò una forte influenza anche sull'arte dell'Europa cristiana: fin dai secc. 10° e 11° pseudo-iscrizioni arabe vennero impiegate nelle diverse arti, su materiali differenti. In effetti, nonostante il carattere sacro della scrittura nel mondo islamico, essa non offriva un'iconografia strettamente legata alla religione musulmana e poteva perciò essere mutuata in una cultura diversa. D'altra parte, in alcuni contesti essa sembra impiegata - oltre che per il valore decorativo - come segno rappresentante la lingua sacra per eccellenza, l'ebraico. La voga delle pseudo-iscrizioni cufiche (o arabe in generale) nell'Europa cristiana costituisce un capitolo particolare dell'influenza esercitata dalle arti islamiche in Europa (Ettinghausen, 19742). Un repertorio, anche se incompleto, delle iscrizioni pseudocufiche nell'Europa cristiana è fornito da Erdmann (1954), che abbozza anche una classificazione tipologica dei motivi ricorrenti sui più svariati materiali nei diversi paesi.A seconda della maggiore o minore vicinanza al modello epigrafico islamico, si possono distinguere tre diversi tipi di pseudo-iscrizioni arabe: 1) le copie, più o meno leggibili, di iscrizioni arabe a opera di artigiani che ne ignoravano la lingua (per es. l'iscrizione della porta della cattedrale francese di Le Puy; Marçais, 1938); 2) le vere e proprie pseudoiscrizioni cufiche, chiamate cufesche da Miles (1964), in cui si ha mera simulazione dei caratteri arabi; 3) l'impiego di motivi ornamentali desunti dall'epigrafia araba che si affermarono anche indipendentemente dalla presenza della scrittura. Questi ultimi conobbero particolare fortuna nel mondo greco-bizantino tra la fine del sec. 11° e l'inizio del 13° (Miles, 1964, figg. 30, 32-35). In ambito bizantino iscrizioni pseudocufiche sono testimoniate a partire dall'inizio dell'11° secolo. Sotiriu (1933-1934, figg. 10-14) include in questa categoria quasi esclusivamente iscrizioni su argilla e terracotta; Miles (1964, figg. 37-43) invece porta anche esempi di iscrizioni cufesche su marmo e altri materiali. In questo ambiente il fenomeno delle iscrizioni pseudocufiche è dovuto non solo al commercio e alla diffusione nei territori imperiali di manufatti islamici, in particolare tessuti (Miles, 1964), ma anche alla presenza nelle principali città bizantine di colonie di artigiani e commercianti musulmani. Per il mondo latino si può supporre che la voga delle iscrizioni pseudocufiche si sia diffusa a partire dai paesi conquistati dagli Arabi (Spagna, Sicilia). Nel corso del sec. 14° il fenomeno era ancora vitale, ma le pseudo-iscrizioni arabe si ispirarono non più tanto alla c., quanto alla scrittura corsiva (Soulier, 1924).
Bibl.:
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