CUCCHIAIO (gr. κοχλιάριον, κοχλιώρυχον; lat. cochlear o cochleare; fr. cuillère, cuiller; sp. cuchara; ted. Löffel; ingl. spoon)
I Romani ebbero due tipi di cucchiaio, la ligula e il cochlear o cochleare. La ligula, di forma simile a quella dei nostri cucchiai, aveva la sua concavità allungata, ovale, più o meno appuntita all'estremità e il manico diritto o curvo, terminante in un ornamento. Il cochlear in osso, in bronzo o in argento, con la sua concavità ora oblunga, connessa a un manico terminante con piede d'animale o con altro motivo decorativo, ora rotonda e piatta, connessa a sua volta con un manico diritto e appuntito, serviva (Marziale, XIV, 121) a mangiare uova e chiocciole (cochlea, onde il suo nome). Se il cochlear era adoperato a mangiare uova, la punta del manico serviva ad aprire il guscio e la parte concava a estrarre il contenuto; se a mangiar molluschi, fossero questi protetti da valve o da nicchio, la punta serviva tanto ad aprir quelle, quanto ad estrar da questo l'animaletto e a portarlo, così infilato, alla bocca. Di quest'uso troviamo non pochi accenni negli scrittori antichi, massime in Marziale, Plinio, Petronio. Un cochlear di forma particolare e rara è quello che presenta una specie di gola fra la concavità e il manico, in modo da poter essere appoggiato per mezzo di essa al piatto, senza rischio di scivolare: altri hanno l'estremità del manico fornita di doppia punta, come una forchetta; altri hanno nell'interno della concavità ornamenti a incisione; altri infine portano motti di saluto e d'augurio, come: utere felix.
Come presso di noi il cucchiaio si adopera quale misura (tanto negli usi domestici, quanto in quelli medicinali), così anche presso i Romani serviva da misura il cochlear. Per testimonianza degli antichi scrittori esso era una delle più piccole misure; secondo Columella e Plinio equivaleva a 1/4 di cyathus, quindi a centil. 1,14; secondo Isidoro a 1/20, quindi a centil. 0,23.
Nella sua forma pratica il cucchiaio non fu modificato dall'antichità in poi. Per custodirlo e portarlo in astucci, con altre posate, ebbe sovente (secoli XV-XVIII) il manico pieghevole. L'arte e il gusto ne variarono gli ornati e la materia: se ne ebbero di avorio, di cristallo, di metalli preziosi, smaltati e adorni di gemme; nel Medioevo gl'inventarî ne ricordano lo sfoggio. Il Rinascimento vi applicò il proprio stile decorandone il manico con termini, chimere, animali intrecciati. Le collezioni del Louvre di Parigi, del Victoria and Albert Museum di Londra, del Museo civico di Venezia, per citarne solo alcune, sono ricche di artistici cucchiai. Nel sec. XVII il cucchiaio ebbe manico assai lungo ma non meno ricco; il sec. XVIII diffuse i varî tipi del cucchiaio: da zucchero, da caffè, da marmellata, quali sono giunti sino a noi; e ne foggiò anche in porcellana, in ceramica. Il cucchiaio entrò anche da antico tempo nell'uso liturgico, e, se. la Chiesa occidentale non accolse il cucchiaio per Comunione, come usarono i Greci, gli Etiopi, i Copti, i Siriani, conobbe tuttavia l'uso del cucchiaio per passare il vino nella Messa, per versare poche gocce d'acqua nel vino stesso: cucchiaio a tal uopo fornito di sottilissimi fori e durato in uso sin verso il sec. XVII; per versare, infine, l'incenso, come ancor oggi si usa. Per l'industria dei cucchiai, v. posateria.
Bibl.: J. Labarte, Hist. des arts industrielles au moyen âge et à l'époque de la Renaissance, Parigi 1875; V. Gay, Glossaire archéologique du moyen âge et de la Renaissance, Parigi 1929, s. v. Cuiller.