Cubismo
Nella storia delle avanguardie artistiche del 20° sec. un posto di indubbio rilievo ebbe il C., nell'ambito delle arti figurative. Basterebbe citare il quadro Les demoiselles d'Avignon di P. Picasso, realizzato nel 1907, per ricordare quale rivoluzione formale quel movimento suscitò e quali conseguenze produsse. È certo infatti che nell'affiancarsi ad altri movimenti d'avanguardia in un momento in cui l'arte e la letteratura subivano una crisi di vasta portata, influenzò notevolmente lo sviluppo della pittura seguente, anche al di là dell'opera di Picasso e dei suoi seguaci e imitatori; ma più ancora influenzò il modo stesso di vedere la realtà, accentuando la molteplicità dei punti di vista, ampliando l'orizzonte della visibilità. E introdusse, nel campo della visione 'statica' propria della pittura, una 'dinamica' interna che modificava lo sguardo, sia del pittore sia dell'osservatore. È stato detto che questo dinamismo visivo, questo 'spezzettamento' prospettico della realtà fu dovuto in parte anche all'influenza del cinematografo, che in quegli anni si andava affermando come spettacolo popolare, attirando un numero sempre crescente di spettatori. E sebbene i film, ancora di breve durata, non offrissero un vasto campo di applicazione, e quindi il reale venisse riprodotto sullo schermo in forme e modi primitivi, la dinamica intrinseca dell'inquadratura cinematografica e le potenzialità del montaggio (invero ancora discreto, non aperto a tutte le sue possibilità tecnico-espressive) davano l'illusione di una rappresentazione non soltanto veritiera, ma anche, e soprattutto, continuamente mobile. Come se l'immagine fotografica, fino allora statica come la pittura, diventando immediatamente dinamica, spostasse lo sguardo da un luogo all'altro, da un particolare all'altro, consentendo in un breve spazio di tempo una serie di visioni alternate di grande suggestione, una prospettiva cangiante che metteva lo spettatore in uno stato di perenne mobilità. In questo senso, le ricerche tecniche e formali dei cubisti non potevano non tener conto di questa mutata visione della realtà, anche se il loro campo d'azione rimase la pittura, in cui per alcuni anni (nel caso di G. Braque e di altri per alcuni decenni) svilupparono un loro di-scorso che si impose per il rigore formale e l'impianto razionale sottesi. Tuttavia non ci fu un diretto rapporto fra il C. e il cinema, se non questa affinità, o meglio questa contiguità di risultati spazio-temporali, questo parallelismo visivo, che non si tramutarono in una collaborazione fra i due linguaggi, le due tecniche, come invece avvenne per altri movimenti d'avanguardia.
A meno che non si voglia equiparare il C. all'astrattismo e ad altre correnti dell'arte visiva contemporanea che produssero film astratti, antifotografici, per loro natura dinamici (si pensi a Hans Richter e Viking Eggeling), in direzione di quel superamento della staticità della 'pittura da cavalletto' che era tendenzialmente anche nelle premesse teoriche del movimento.A parte va considerato il caso del pittore 'cubista' Fernand Léger che nei primi anni Venti si accostò al cinema avendone colto acutamente le peculiarità, in rapporto alla presenza dell'oggetto mobile, e più in generale dell'oggetto in sé, come elemento centrale della rappresentazione filmica. In uno scritto datato 1922 e intitolato Essai critique sur la valeur plastique du film d'A. Gance: la Roue egli scrive: "La sola ragion d'essere del cinema è l'immagine proiettata [...] Notate bene: questa formidabile invenzione non consiste nell'imitare i movimenti della natura, si tratta di tutt'altra cosa, si tratta di far vedere delle immagini e il cinema non deve andare a cercare altrove la sua ragion d'essere [...] Tanto nell'infinito realismo del primo piano quanto nella pura fantasia inventiva (poetica simultanea per mezzo dell'immagine mobile), il nuovo avvenimento è là, con tutte le sue conseguenze". E inoltre: "L'80% degli elementi e degli oggetti che ci aiutano a vivere sono soltanto scorti da noi nella vita quotidiana, mentre solo il 20% sono visti. Ne deduco che il cinema fa questa rivoluzione: di farci vedere tutto quello che è soltanto scorto. Proiettate questi elementi totalmente nuovi, e avete i vostri drammi, le vostre commedie, su un piano unicamente visivo e cinematografico" (pp. 161-62; trad. it. in Il cinema astratto: testi e documenti, 1977, pp. 250-51).
Seguendo questi principi, Léger realizzò nel 1924, con la collaborazione di Dudley Murphy, il film Le ballet mécanique, che può essere definito a tutti gli effetti cubista. Nel senso che in esso gli oggetti, i frammenti, il corpo umano quasi 'sezionato' nelle sue componenti e articolazioni, le scritte, i luoghi colti dalla macchina da presa in scorci e prospettive particolari subiscono una sorta di frantumazione dinamica, appunto 'cubista', che trasforma la realtà fotografata in un 'balletto meccanico' in cui ogni cosa assume una sua propria peculiarità, un'individualità ben determinata. Sicché la storia, esile e frammentaria, del furto di una collana e delle conseguenze del caso, che costituisce il filo rosso che unisce le varie sequenze, non è altro che un pretesto per mettere in luce e in rilievo quella 'realtà' che Léger aveva già evidenziato nei suoi quadri. Da questo punto di vista Le ballet mécanique si distingue dagli altri film dell'avanguardia storica non soltanto per la sua unicità, ma anche perché indica chiaramente una direzione di ricerca, derivata dal C., che lo porta su una posizione estetica molto lontana da contemporanei film astrattisti o dadaisti. I vari elementi del linguaggio cinematografico impiegati da Léger, dall'animazione alla sovrimpressione, dal montaggio al taglio dell'inquadratura, dal primo piano al particolare, anziché essere una sorta di collage dadaista, come nei film di Man Ray, servono a cogliere e presentare la plasticità e il dinamismo degli oggetti. Così non sono un puro gioco formale i triangoli che inframmezzano il balletto visivo, o l'alternanza dei semivuoti in un contrasto figurativo violento; e neppure è un semplice omaggio a Charlie Chaplin il balletto di Charlot ottenuto con l'animazione delle parti staccate (e indipendenti) del disegno di Léger. Sono tutti frammenti di cinema d'animazione che si inseriscono in un discorso formale rigoroso.Di questo rigore, di questo progetto meditato e realizzato, vi è un riscontro in un altro testo di Léger, databile al 1927 e intitolato Autour du Ballet mécanique. In esso egli scrive: "Il fatto di dare movimento a uno o più oggetti può renderli plastici", e precisa, a proposito del suo lavoro di cineasta: "Io pensai che questo oggetto negletto poteva, col cinema, riprendere il suo valore. Partendo di qui, lavorai a questo film. Presi degli oggetti molto comuni che trasportai sullo schermo, dando loro una mobilità e un ritmo molto voluti e molto calcolati. Contrastare gli oggetti, passaggi lenti e rapidi, riposo, intensità: tutto il film è costruito qua sopra. Ho usato il Primo piano, che è la sola invenzione cinematografica. Anche il frammento dell'oggetto mi è servito: isolandolo lo si personalizza. Tutto questo lavoro mi ha portato a considerare l'avvenimento d'obiettività come un valore attualissimo e nuovo" (pp. 164 e 166-67; trad. it. in Il cinema astratto: testi e documenti, 1977, pp. 253 e 255). Analizzando attentamente il film, come ha fatto con molto rigore S.D. Lawder (1975, pp. 117-67 e 191-242), è possibile riscontrare nelle immagini e nelle sequenze le intenzioni di Léger, il quale, sviluppando poi la sua pittura in direzione di un 'realismo cubista', che tenne certamente conto della sua esperienza cinematografica, indicò anche quella che avrebbe potuto essere la strada maestra di un cinema veramente cubista. Anche se, a ben guardare, a differenza di altri movimenti d'avanguardia, il C. aveva già assorbito in sé quella dinamica prospettica che il cinema offriva, e l'aveva resa pittoricamente pregnante. Quasi un film fissato una volta per sempre nell'immagine del quadro, senza bisogno di oltrepassare i confini della 'pittura da cavalletto', con il rischio di smarrire per strada quel rigore visivo, quella razionalità di sguardo, che costituivano la ragione stessa dell'esperienza cubista della pittura. In questo senso, trascurando di proposito altri tentativi di visualizzazione filmica delle dinamiche interne alla realtà, o di attenzione al movimento della visione in sé stessa, che pure sono stati realizzati nell'ambito di altri movimenti dell'avanguardia cinematografica, anche al di là del periodo considerato, si può affermare che i rapporti fra il C. e il cinema sono stati, in larga misura, a senso unico: cioè di influenza generica del secondo sul primo. In quanto l'avvento del cinema con le sue possibilità di riproduzione dinamica della realtà ha profondamente mutato il modo stesso di guardare il reale, costringendo i pittori a interrogarsi nuovamente, dopo l'avvento della fotografia nel 19° sec., sul senso stesso del loro lavoro e sulle funzioni che la pittura poteva ancora svolgere in un'epoca assolutamente diversa dalle precedenti. La risposta che diedero i cubisti fu quella di cercare di cogliere la dinamica del reale entro i confini del quadro, allargandone all'interno le prospettive visive. Pertanto il cinema, che usciva dal quadro statico della fotografia con lo sviluppo temporale della ripresa in movimento, forniva di fatto un'altra immagine della realtà, ben diversa da quella che i cubisti si proponevano di realizzare.
G. Sadoul, Fernand Léger et la cinéplastique, in "Cinéma 59", 1959, 35, pp. 73-82.
F. Léger, Fonction de la peinture, Paris 1965.
S.D. Lawder, The cubist cinema, New York 1975 (trad. it. Genova 1983).
R. Mele, Il nuovo realismo di Fernand Léger (analisi di "Le ballet mécanique"), in Studi sul surrealismo, Roma 1977, pp. 283-319.
Il cinema astratto: testi e documenti, a cura di G. Rondolino, Torino 1977.