Vedi CTESIFONTE dell'anno: 1959 - 1973
CTESIFONTE (Κτησιϕῶν, Ctesīphon)
Città sulla riva sinistra del Tigri, presso Seleucia.
Nelle iscrizioni greche il nome è Κτησιϕῶν; solo per Tolomeo (vi, 1, 3; viii, 21, 4) è Κτησιϕών. Nel 221 è una στρατοπεδεία di poca importanza, ed è ricordata appunto come tale da Polibio (v, 45, 4) trattando della guerra tra Antioco III il Grande e Molone. Al tempo di Augusto, secondo Strabone (xvi, 743) è una grande κώμη. Gli Arsacidi scelgono la città come loro residenza invernale tanto che Tacito (Ann., vi, 42) la definisce sedes imperii, e come residenza la si trova menzionata (Cass. Dio, xl, 20) prima del proconsolato in Siria di Crasso (53 a. C.). Fondata, secondo Plinio (Nat. hist., vi, 122), dai Parthi, è detta da Ammiano Marcellino fondata da Vardane ed ampliata e cinta di mura dal re Pacoro (xxiii, 6, 23). Le due notizie di Ammiano Marcellino non hanno fondamento storico ed è probabile che le mura siano state costruite sotto il regno di Artabano III; Da Plinio (Nat. hist., vi, 122) la città è definita caput regnorum. Conquistata nel 116 d. C. da Traiano (Cass. Dio, lxviii, 28) (tra il bottino di guerra c'era il famoso trono d'oro), riconquistata nel 165 d. C. da Antonino Pio (Cass. Dio, lxxi, 2), nel 199 d. C. venne nuovamente presa d'assedio e conquistata da Settimio Severo: moltissimi furono gli uccisi e ben 100.000 uomini furono fatti prigionieri (Cass. Dio, lxxv, 9). Nel 226 Ardastir, uccidendo l'ultimo dei sovrani discendenti da Arsace, Artabano IV, poneva la sua residenza a C. e fondava la dinastia dei Sassanidi. Sotto di essi, nei secoli V e VI, la città ebbe la sua maggiore estensione.
Era importante come centro della nuova civiltà iranica, basata sull'antica tradizione achemènide e penetrata dall'influsso ellenico. La religione ufficiale era il mazdaismo di Zoroastro, ma esisteva una minoranza ebrea, che nei suoi collegi coltivava la tradizioni della scienza greca, e un'altra cristiana, più numerosa, di confessione nestoriana, che possedeva parecchie chiese e la cattedrale di Kokhe. Al tempo della conquista islamica (637) C., chiamata dagli autori arabi al-Madā'in (cioè "le città"), si componeva di 7 comuni e seguitò ad avere importanza fino alla fondazione di Bagdad (762).
Le rovine di C. sono situate a circa 40 km a S di Bagdad, intorno al villaggio di Salman Pak, cosi detto dal compagno persiano di Maometto che ivi si ritiene sepolto. Il Tigri attraversa oggi l'area dell'antica città, avendo cambiato il suo corso verso oriente, sicché le rovine sulla riva occidentale, note come "mura di Seleucia", appartengono di fatto alla fortificazione circolare di C., mentre le colline della stessa Seleucia si riconoscono a 3 km più a ponente. Sulla riva orientale rimane, visibile da lontano, un imponente resto della residenza sassanide, con una vòlta (iwān) alta più di 30 m e ampia 27 m, chiamata Taq-i Kisra (Arco di Cosroe). Una spedizione germanica ha intrapreso sui luoghi di C. due campagne di scavi (1928-1929 e 1931-32), la seconda in collaborazione col Metropolitan Museum di New York. I lavori hanno messo in luce una parte della pianta del palazzo reale e le vicine rovine di una cinta che forse serviva per un'arena o per un parco. Nella parte occidentale sono state scoperte una chiesa nestoriana del sec. V o VI con coro rettangolare, una grande sepoltura a vòlta, di epoca parthica (circa 125 d. C.), presso il villaggio una casa privata del sec. VIII e, nei quartieri orientali, parecchie ville dell'epoca sassanide, con pianta irregolare. Nel Tell adh-Dhahab ("collina d'oro") si riconobbe un terrazzo artificiale, eretto sopra un rione abbandonato e circondato da un muro con quattro grandi scaloni. Dappertutto si sono ritrovate decorazioni murali in stucco con rilievi ornamentali e anche figure. Sono stati rinvenuti vasi di ceramica, smaltata o senza vernice, di epoca parthica, sassanide e abbaside, oltre a frammenti di vetri, resti di mosaico, ecc. Risulta che come materiale da costruzione si usava solo il mattone cotto o seccato all'aria.
I ritrovamenti dei suddetti scavi, che debbono essere proseguiti, sono esposti nella Sezione Islamica dei Musei di Berlino, nel Metropolitan Museum di New York e nel museo di Bagdad.
Bibl.: M. Streck, Seleukia und Ktesiphon, in Der Alte Orient, Lipsia 1907; e s. v. al-Mada'in, in Encycl. de l'Islam, III, Parigi 1928; Honigmann, in Pauly-Wissowa, Suppl. IV, 1924, cc. 1102-1119, s. v. Ktesiphon; E. Meyer, Seleukia und Ktesiphon, in Mitt. deutsch. Orient. Gesell., 1929; O. Reuther, Die Ausgrabungen der deutschen Ktesiphon-Expedition, 1928-1929, Berlino 1930; E. Kühnel, Die Ausgrabungen der 2° Ktesiphon-Expedition, 1931-32, Berlino 1933; O. Reuther, in Survey of Persian Art, I, Londra 1938, pp. 38, 493 ss.