CRUZ CANO y OLMEDILLA, Ramón de la
Commediografo spagnolo, nato a Madrid il 28 maggio 1731, morto ivi il 5 marzo 1794. Nel 1759 dovette troncare gli studî universitarî per assumere un modesto ufficio nella ragioneria di stato. Sotto la protezione di Fernando Álvarez de Toledo e, alla sua morte, della duchessa Benavente, trascorse una vita tranquilla tutta dedita al teatro. Esordì con opere d'ispirazione francese, rimaneggiando L'Amour médecin di Molière (La enferma de mal de bota, 1757, ripreso più tardi nel 1768) e componendo una zarzuela (operetta) con musica di Manuel Pla: Quien complace á la deidad acierta a sacrificar (1757), strano miscuglio di elementi mitologici, romanzeschi e storici. Presto s'avvide che la riforma neoclassica del teatro, di stampo straniero, repugnava al gusto tradizionale, e tornò dal 1760 a quella rappresentazione giocosa e popolaresca schiettamente spagnola, che è il sainete, come si chiamò nel sec. XVIII l'antico e glorioso entremés. Già nella zarzuela intitolata Las segadoras de Vallecas il C. aveva abbandonato i temi mitologici per attenersi ad argomenti popolari del tempo suo: e questo divenne il carattere fondamentale dei 300 sainetes, con i quali il C. restaurò il teatro spagnolo, mettendo a base di esso il principio goldoniano di ritrarre la natura e la verità. I dieci volumi che egli stesso pubblicò dal 1786 al 1791 (Colección de los sainetes y demás obras dramáticas de B. de la Cr. y C.) contengono appena una trentina di sainetes: deliziosi quadri comici ritratti dal vero, di struttura quanto mai semplice, ma fedele specchio della società contemporanea. Avendo il C. compreso quale ricca e viva sorgente per l'arte drammatica poteva derivare dall'osservazione attenta e dalla rappresentazione della vita varia e multiforme, dei costumi, delle passioni, dei caratteri inesauribili anche della gente minuta, e come in pari tempo l'arte poteva farsi strumento di ammaestramenti morali attraverso la festevole pittura di quell'ampio mondo, che egli studiava con amore di artista, incominciò verso il 1763 a scrivere e rappresentare sainetes di artistica fattura: alle usate grossolanità sostituì con finissimo gusto e con composta arguzia l'umanità dei caratteri, la verità delle situazioni e la satira bonaria diretta ad un fine morale con un dialogo naturale e vivace. E da Los novios espantados, La petimetra en el tocador (1762), El refunfuñador, El tío Felipe, Los propósitos de las mujeres (1763), la sua arte si andò sempre più affinando fino a raggiungere la maggiore perfezione di cui fosse capace tale modesto genere drammatico.
Accanto a tipi e caratteri borghesi: avvocati e notai, ufficiali e nobiluomini, spiantati, bellimbusti pretensiosi e chiassosi studenti, galanti abati intermediarî di amori, sacrestani e chierichetti, passa tutta una folla varia di gente minuta: tavernieri e acquaioli, comari pettegole, popolane sgargianti, vispe servette e beghine, contadini e artigiani. Sono per questo rispetto veri gioielli artistici: El rastro por la mañana, La Plaza Mayor por Navidad, El fandango de candil, Los bandos del Avapiés, La Pradera de San Isidro, El careo de los majos, Las majas forasteras, Las verbenas, Los panderos, ecc.
Nell'opera di restaurazione incontrò viva opposizione e aspre polemiche da parte d'invidiosi e da partigiani del neoclassicismo francese, capeggiati da letterati di fama, quali il Moratin, il Clavijo e il Samaniego, specialmente quando, nel 1766, salì al potere il volteriano Conte de Aranda Pedro de Abarca y Bolea che protesse apertamente i galicistas. Tra i quali non meno aspro e malevolo degli altri fu il napoletano Pietro Napoli Signorelli che si scagliava contro il C. nella sua Storia critica dei teatri antichi e moderni (Napoli 1777, e più accanitamente nella seconda edizione del 1790).
Ai moltissimi sainetes il C. dovette alternare tragedie e commedie, sia originali sia imitate e tradotte dal nostro Metastasio, che ebbe carissimo, da Racine, da Voltaire. Una commedia, Eugenia, è traduzione dal Beaumarchais, intorno all'avventura di Luisa Caron, sorella di questo, con Clavijo y Fajardo.
Bibl.: Oltre alla citata ediz. del 1786-91 (65 opere in 10 voll.); cfr. A. Durán, Collección de los sainetes, Madrid 1843, voll. 2; C. Cambronero, Sainetes inéditos, Madrid 1900, e Sainetes desconocidos, Madrid 1906; E. Cotarelo y Mori, Sainetes de R. de la C. in Nueva bibl. de aut. esp., XXIII, Madrid 1915. Cfr. B. Pérez Galdós, R. de la C. y su época, in Revista de España, XVII (1870), pp. 200-227; XVIII (1871), pp. 27-52; E. Cotarelo y Mori, R. de la C. y sus obras, Madrid 1899; F. Pérez y González, Cuatro sainetes anónimos de R. de la C., in La Ilustración Esp. y Amer., LXXXIV (1907); J. Cejador y Frauca, Historia de la lengua y lit. cast., VI, Madrid 1917, pp. 100-112.