Crónica de un niño solo
(Argentina 1965, bianco e nero, 70m); regia: Leonardo Favio; produzione: Luis de Stefano; sceneggiatura: Leonardo Favio, Jorge Zuhair Jury; fotografia: Ignacio Souto; montaggio: Antonio Ripoll, Gerardo Rinaldi; scenografia: María Vaner.
Polín è un ragazzino emarginato nato in un sobborgo di Buenos Aires. Rinchiuso in un riformatorio dove riceve crudeli punizioni, è ossessionato dall'idea di fuggire. Quando finalmente ci riesce, si dirige verso la 'città della miseria', dove si trova la sua precaria abitazione, e si muove liberamente per il quartiere, la laguna e le zone circostanti. La macchina da presa registra la vita di Polín e i suoi movimenti quotidiani; nonostante la cornice sia quella di un ambiente sociale di grande aridità, per la prima volta assistiamo ad alcuni momenti sereni. Dietro questa apparente tranquillità recuperata, tuttavia, iniziano ad affiorare le tensioni, le miserie e le umiliazioni sempre in agguato, gli ingredienti quotidiani della vita in un quartiere degradato di Buenos Aires. Un operaio muore in circostanze poco chiare tra l'indifferenza delle autorità, mentre un ragazzino viene violentato da altri poco più grandi di lui. Polín frequenta Fabián, un giovane per cui nutre ammirazione e che si guadagna da vivere con mezzi illegali. Quando va a fare un giro con il cavallo di Fabián, viene sorpreso da un agente di polizia, che lo arresta per affidarlo di nuovo al riformatorio, segnando così l'inizio di un altro ciclo nella vita del ragazzino solo.
Di solito Leonardo Favio viene considerato un regista 'intuitivo', definizione che, rappresenta non un elogio ma tende a essere velatamente denigratoria. Perfino i suoi difensori ammettono che l'uso di questo aggettivo indica l'assenza di una formazione tradizionale, come se si trattasse di una grave mancanza e il regista fosse riuscito a progredire e a costruire la sua opera 'nonostante ciò'. I critici Gonzalo Aguilar e David Oubiña parlano di "una profonda intuizione posta al servizio di un elaborato metodo espressivo", mentre lo stesso Favio è arrivato ad ammettere: "So di essermi dedicato al cinema perché al cinema non si notano gli errori di ortografia". Comunque sia, in un'intervista rilasciata in occasione della presentazione di Gatica, el mono (1993), a tutt'oggi il suo ultimo lungometraggio di finzione, il regista accennava alla propria formazione, evidentemente assai solida: "Io non cerco di essere originale. Semplicemente faccio cinema come potrei fare l'amore. Quando faccio l'amore non ci penso prima: vado a letto con la persona che amo e lo faccio. Con il cinema è la stessa cosa. Come ci riesco? Lavorando in esterni dopo aver studiato molto, moltissimo, dopo aver sperimentato tutte le tecniche, dopo aver praticato il cinema così tanto da non dover più pensarci quando lo faccio". E questo potrebbe essere uno dei segreti di Favio, che con appena sette film realizzati in poco meno di trent'anni è divenuto il più grande regista della storia del cinema argentino, ottenendo più di chiunque altro un enorme successo popolare unito a una sperimentazione formale ancora oggi sorprendente. Evidentemente Favio riusciva a metabolizzare il cinema che vedeva, quello che ammirava, incorporandolo nella sua visione in maniera organica fin dal suo primo film, Crónica de un niño solo. Spesso si cita l'innegabile ammirazione di Favio nei confronti di Robert Bresson, ma il critico Sergio Wolf ha ragione nel definirla una relazione sorretta da un atteggiamento spontaneo e non premeditato. Wolf parla di un cinema sussurrato, confidenziale, fatto di mezzi toni e di dialoghi scarni, aggiungendo: "Forse è proprio questa mancanza di enfasi, più che le ovvie similitudini tra la fuga di Crónica de un niño solo e quella di Un condamné à mort s'est échappé , ciò che avvicina alcune soluzioni del cinema di Favio a quelle dell'opera del maestro Bresson".
"So, o meglio intuisco, che la bellezza che dobbiamo cercare ha una certa somiglianza con quella del cinema iraniano", ha scritto Favio non molto tempo fa, affermazione che fornisce altri indizi sulla sua maniera per così dire 'somatica' di percepire la direzione in cui muoversi. In realtà già la sua opera prima preannunciava in gran parte il cinema iraniano, che avrebbe iniziato a circolare in occidente a partire dalla scoperta di Abbas Kiarostami. Crónica de un niño solo ha molti punti in comune con Mosāfer (Il viaggiatore, 1974) di Kiarostami: sono entrambi film in bianco e nero realizzati da registi poco più che ventenni, che si concentrano sulla figura di un ragazzino in fuga, unendo un tema di 'denuncia sociale' a una sua rappresentazione coraggiosa, lontana dal naturalismo. Solo che il film di Favio fu realizzato dieci anni prima di quello di Kiarostami. Crónica de un niño solo possiede uno sfondo a tema sociale, caratteristica che in un modo o nell'altro avrebbe contraddistinto la prima fase del cinema di Favio. Come sottolinea lo studioso Abel Posadas: "I suoi tre primi film sono caratterizzati da un denominatore comune: il protagonista solitario, sradicato, autodistruttivo. Polín, Aniceto o Fernández non sanno come collocarsi all'interno della società in cui vivono. Il loro unico obiettivo è la fuga". Comunque vada, nel caso di Polín, il protagonista di Crónica de un niño solo, la fuga può essere soltanto circolare. Grazie a una rappresentazione magnifica e nello stesso tempo spoglia, Favio mette in chiaro con assoluta certezza che per questo ragazzino solo non vi è alcun luogo dove andare.
Interpreti e personaggi: Diego Puente (Polín), Tino Pascali (ufficiale di polizia), Cacho Espíndola (professore), Victoriano Moreira (Fiori), Beto Gianola (poliziotto), Leonardo Favio (Fabián), María Vaner (la ragazza), Elcira Olivera Garcés, María Luisa Robledo, Hugo Arana, Carlos Lucero, Mario Pena, Juan Valunes, Amadeo Sáenz Valiente, Juan Castro, Juan Delicio, Carlos Medrano, Miguel Medrano, Jorge Puente.
A. Posadas, Leonardo Favio: crónica de un cineasta censurado, in "Crear en la cultura nacional", n. 10, setiembre-octubre 1982.
Lent., Cronica de un niño solo, in "Variety", October 14, 1987.
S. Wolf, Leonardo Favio: Intuición del tiempo, in Cine argentino. La otra historia, Buenos Aires 1992.
G. Aguilar, D. Oubiña, El pensamiento emocional, in "El Amante/Cine", n. 15, mayo 1993.
A. Farina, Leonardo Favio, Buenos Aires 1993.
El regreso de Leonardo Favio, intervista a cura di J. Ruffinelli, in "Entreextremos", n. 2, 1997.
L. Favio, Lo que sé, in "Página 12", abril 2003.