Cronaca di un amore
(Italia 1950, bianco e nero, 110m); regia: Michelangelo Antonioni; produzione: Franco Villani per Fincine; soggetto: Michelangelo Antonioni; sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Daniele D'Anza, Silvio Giovaninetti, Francesco Maselli, Pietro Tellini; fotografia: Enzo Serafin; montaggio: Mario Colangeli; scenografia: Piero Filipponi; costumi: Ferdinando Sarmi (per Lucia Bosè); musica: Giovanni Fusco.
In un'agenzia investigativa, il detective Carloni sta osservando le fotografie di Paola Molon in Fontana, il suo prossimo caso: giovane donna, elegante, sposata con un miliardario, amante della mondanità. Proprio il marito, l'ingegner Enrico Fontana, si è rivolto all'agenzia privata per conoscere il passato della moglie. Il detective si reca nella città natale di Paola, Ferrara: riaffiora nella memoria di amici e conoscenti un'unica relazione seria della donna. Carloni scopre che Paola ha lasciato improvvisamente Ferrara dopo la tragica disgrazia occorsa a una sua amica e rivale in amore. La donna, fidanzata con Guido, è precipitata nella tromba dell'ascensore, in presenza dei due. Guido, informato dell'indagine, raggiunge Paola, che pensando si tratti di un'inchiesta della polizia lo convince a fermarsi a Milano. La passione tra i due si riaccende. I due amanti, fermi sul ciglio di una strada, attendono su un'auto che il marito di Paola provi la nuova Maserati. Si abbracciano appassionatamente: un cane attraversa la strada e il marito della donna rischia di investirli, sbandando. Il pericolo scampato spinge Paola alla ricerca di una soluzione definitiva. Pesa su Guido il rimorso per ciò che è accaduto anni prima, un senso di colpa che Paola rifiuta, cinicamente. Dopo poco tempo, il marito, tornato alticcio dal lavoro, le confessa di aver assoldato un detective, confidandole che ora la pratica è chiusa (anche se in realtà il detective continuerà l'inchiesta individualmente). Paola e Guido preparano un piano: Guido sparerà all'uomo nei pressi di un ponte, quando l'auto sarà costretta a diminuire la velocità. Ma anche questa seconda morte si concretizzerà in maniera accidentale: l'auto dell'ingegnere sbanda per la forte velocità e finisce nel Naviglio. Quest'avvenimento segnerà di nuovo ‒ come già anni prima ‒ il futuro dei due amanti.
Forte di un'esperienza maturata attraverso i film documentari, Michelangelo Antonioni, al suo primo lungometraggio, si apre a una nuova forma cinematografica, alla struttura discorsiva della finzione. La prima sequenza del film è paradigmatica dell'originalità e dell'acutezza che presiedono a questo passaggio. Il punto cardine della futura detection ci viene mostrato nella prima inquadratura: una serie di foto di una giovane donna, 'amatoriali' istantanee rubate al tempo. La questione relativa all'emanazione del referente, a un prelevamento di reale si addice a Cronaca di un amore. Una foto è un documento: così pure per le foto segnaletiche. Qui le fotografie documentano l'esistenza di una giovane donna (sono gli unici resti che testimoniano il suo passato, cancellato attraverso una tabula rasa operata dai bombardamenti, dalla guerra : anche i registri scolastici sono stati inghiottiti dal conflitto mondiale). Qualcuno è stato, dunque. Ma la fotografia possiede un'ulteriore qualità: questo prelevamento del reale è una messa a morte del soggetto, che apre alla finzione. Di questa donna, di questa emanazione del referente, si fa altro. Spariti i documenti, restano le testimonianze, i ricordi: una finzione possibile si introduce dunque surrettiziamente (dopotutto, anche il detective si spaccia per zio della ragazza). Perfetta duplicazione speculare del movimento di Antonioni verso il cinema: passaggio dal documentario alla finzione. "No, non è la solita storia", si afferma nella prima scena del film. Foto di donna: tra le tante, una risulta palesemente tagliata. Qualcosa è stato dunque eliso, reciso, obliato. Il soggetto si trova ora trasportato in una nuova dimensione: Paola Molon vive a Milano. È cambiata. Ha sposato un ricco imprenditore tessile, ha cancellato le sue origini. Da qui la detection: un taglio apre alla finzione.
Cronaca di un amore ‒ ha sottolineato la critica ‒ evidenzia la volontà di Antonioni di segnare una distanza rispetto all'esperienza neorealista. Aspetto, quest'ultimo, segnalato acutamente da André Bazin, che parla appunto di un approdo verso un "cinema-scrittura". Dietro questa storia, il film mostra infatti un complesso e preciso lavoro di messa in scena. I personaggi si spostano nello spazio dell'inquadratura seguiti dalla macchina da presa, che si muove come danzando intorno a loro. Si tratta per lo più di riprese effettuate in continuità, elaborate da continue re-inquadrature: come per esempio la sequenza all'idroscalo, dove Antonioni non dimentica i suoi trascorsi documentaristici. Il regista seziona qui materialmente le inquadrature, all'interno di una continuità di ripresa; si sofferma sui corpi, sull'ambiente: declina insomma varie scale dei piani, passando dal totale e giungendo fino al dettaglio (la lettera dell'amica di Paola). A questa sequenza possiamo avvicinare quella dei due amanti ripresi sul ponte, realizzata grazie a un preciso movimento di macchina a 360 gradi: qui Antonioni lavora sulla focale dell'obiettivo, ottenendo una profondità di campo tesa a sviluppare quella che per lui finirà col diventare una figura stilistica preminente, il rapporto tra figura e sfondo.
Altra sequenza paradigmatica è quella in cui i due amanti si trovano rinchiusi nella camera della pensione. Qui il gioco degli attori, unito al piano-sequenza e alla scenografia spoglia, mette in risalto il lato più drammatico del film; ma anche quello più moderno. Ci riferiamo alle pertinenti osservazioni di Noël Burch: la dizione e i dialoghi dei personaggi, le loro posture, la loro recitazione non si presentano solo come veicolo narrativo, o riflesso del vuoto e della solitudine dei personaggi, ma soprattutto permettono di rendere autonoma la macchina da presa. "Invece di tentare di ricreare lo spazio teatrale, come gli americani degli anni Trenta, invece di cercare di circoscrivere con molta discrezione il gioco dei personaggi, come Dreyer in Gertrud (1964), invece di eseguire arabeschi perfettamente gratuiti attorno a una disposizione degli elementi scenici di una teatralità banalissima, Antonioni ha creato tra i suoi personaggi che parlano e la cinepresa che li guarda mentre parlano un tipo di relazione che non sappiamo qualificare in altro modo che con la parola balletto. Ed è un balletto di una ricchezza e nello stesso tempo di un rigore senza precedenti". Proprio il continuo gioco delle re-inquadrature all'interno del piano-sequenza dona la sensazione di un cinico balletto, teso a inchiodare ‒ senza pietà alcuna ‒ i gesti, le voci, gli atteggiamenti di questi personaggi senza qualità.
Interpreti e personaggi: Lucia Bosè (Paola Molon), Massimo Girotti (Guido), Ferdinando Sarmi (Enrico Fontana), Gino Rossi (Carloni, il detective), Marika Rowsky (Joy, un'indossatrice), Rosi Mirafiore (la barista), Franco Fabrizi (presentatore della sfilata), Vittoria Mondello (Matilde), Rubi D'Alma, Anita Farra, Carlo Gazzapini.
E. Flaiano, Cronache e briganti, in "Il Mondo", n. 51, 23 dicembre 1950, poi in Lettere d'amore al cinema, Milano 1978.
E. Bruno, Cronaca d'un amore, in "Filmcritica" n. 2, gennaio 1951.
F. Di Giammatteo, Cronaca di un amore, in "Bianco e nero", n. 4, aprile 1951.
R. Tailleur, Chronique d'un amour, in "Positif", n. 30, juillet 1959.
N. Burch, Praxis du cinéma, Paris 1969 (trad. it. Parma 1990).
G. Deleuze, L'Image-temps, Paris 1985 (trad. it. Milano 1989).
F. Casetti, Altre storie. La narrazione come problema in 'Cronaca di un amore', in Michelangelo Antonioni. Identificazione di un autore, a cura di G. Tinazzi, Parma 1985.
Sceneggiatura: in Il primo Antonioni, a cura di C. di Carlo, Bologna 1973.