CROMOSOMA
Per quanto riguarda il c. (v. anche citogenetica, in App. IV, i, p. 458; citologia, X, p. 467; App. II, i, p. 626; IV, i, p. 467; genetica, XVI, p. 513; App. II, i, p. 1022; III, i, p. 716; IV, ii, p. 7), il problema dei rapporti tra la struttura chimico-fisica del c. eucariote e la sua funzione di depositario dell'informazione genetica è ancora irrisolto; infatti sono a tutt'oggi poche le conoscenze sulla disposizione e sul funzionamento della cromatina del nucleo interfasico e sull'organizzazione ultrastrutturale del c. metafasico.
Disposizione e funzionamento della cromatina nel nucleo interfasico. − È stato evidenziato sperimentalmente che nel nucleo interfasico i c. interfasici occupano territori ben definiti e fissi; infatti, in embrioni di Drosophila allo stadio di blastoderma sinciziale, sembra che i c. mantengano l'orientamento polarizzato della telofase mitotica, con il centromero rivolto verso un polo, i telomeri verso il polo opposto, e un contatto con la membrana nucleare. Sembra inoltre che durante lo sviluppo embrionale anche i nuclei abbiano un orientamento fisso rispetto al citoplasma con il polo centromerico rivolto verso l'esterno dell'embrione, mentre quello telomerico rivolto all'interno. Non è stato però possibile stabilire se l'asse centromero-telomero sia permanente da un punto di vista rotatorio; se così fosse, si garantirebbe a particolari regioni o domini cromosomici di rimanere in contatto con una stessa regione citoplasmatica.
Secondo una teoria piuttosto recente (1978) tutti i c. del nucleo cellulare costituirebbero una superstruttura in cui il DNA aploide sarebbe organizzato in un anello a cui partecipano tutti i c. legati tra loro da fibre intercromosomiche; nelle cellule diploidi ci sarebbero due anelli. Ciascun anello, inoltre, sarebbe fornito di tratti cromosomici specifici in grado di costituire punti di contatto con le appropriate regioni della membrana nucleare interna. Questo modello sembra in grado di spiegare numerosi problemi ancora aperti come l'organizzazione in repliconi dei c., la polverizzazione e gli scambi tra cromatidi fratelli; interpreta fenomeni quali l'aneuploidia cellulare, molte delle anomalie cromosomiche delle cellule tumorali, nonché fornisce un'ipotesi suggestiva per i meccanismi implicati in numerosi casi di evoluzione citotassonomica animale e vegetale. Purtroppo dalla data in cui è stato proposto a oggi non sono state presentate né conferme convincenti né prove sperimentali: per questo il modello è stato praticamente abbandonato.
Organizzazione ultrastrutturale del cromosoma metafasico. − Il compito principale dell'organizzazione strutturale del nucleo interfasico è quello di garantire il regolare flusso di informazioni tra DNA e DNA, DNA e citoplasma, citoplasma e DNA; la complessità delle interazioni tra modificazioni chimiche e strutturali del DNA, però, è tale da non consentire attualmente la formulazione di un modello generale sulla modulazione dei geni cromosomici. I complessi istoni-DNA (che costituiscono i nucleosomi) non sono stati ancora del tutto decifrati in relazione alla loro funzione nella condensazione dei c. durante la mitosi e la meiosi e nella trascrizione selettiva delle varie regioni del DNA (regolazione dell'attività genica). Recenti osservazioni hanno messo in evidenza che − una volta rimossi DNA e istoni dai c. prometafasici − restano altre proteine di natura non basica (SC1 e SC2) che costituiscono una specie di impalcatura o matrice nucleare (scaffold) con cui interagiscono particolari regioni del DNA, e forse anche gli istoni che partecipano al collegamento e ripiegamento dei nucleosomi. Il ruolo di questa matrice nucleare costituita dalle proteine SC1 e SC2 sembra duplice: assicurare l'impalcatura scheletrica del c. nelle varie fasi del ciclo cellulare e mitotico e permettere un accesso differenziale alla trascrizione di segmenti diversi del DNA. Mentre la regolazione genica del c. in E. coli è affidata all'interazione tra proteine e particolari sequenze di nucleotidi, per il c. eucariotico l'analisi dell'interazione tra le proteine dei nucleosomi e dello scaffold e il DNA è ancora lontana dall'essere conclusa; si conosce una classe di proteine non istoniche, definite HMG (High Mobility Group, dal loro comportamento elettroforetico), che è stata purificata e si ritiene sia associata alla maggior parte dei geni che possono essere trascritti attivamente. Anche delle proteine DNA-finger protein, recentemente isolate e descritte, si sa ben poco oltre al fatto che sono implicate nella regolazione dell'attività genica in quanto hanno la possibilità di riconoscere specifiche sequenze del DNA.
Centromeri. − Le conoscenze su questa regione, essenziale per il movimento dei c. durante i processi di moltiplicazione cellulare, si sono molto accresciute negli ultimi tempi ma ancora non sono state perfettamente determinate né la struttura fisico-chimica, né i meccanismi con cui si replicano e neanche i rapporti con l'impalcatura del c. e con i tubuli delle fibre del fuso. Gli estesi addensamenti di materiale eterocromatico presenti nella zona pericentromerica sono stati studiati approfonditamente con la tecnica delle C-bande: dall'analisi del DNA di queste regioni è stato possibile stabilire che si tratta di sequenze altamente ripetitive di tipo A-T o G-C in varie proporzioni a seconda delle specie considerate. Questo DNA ripetitivo è stato assimilato a una frazione del DNA satellite, altamente ripetitivo, isolato dal DNA nucleare; inoltre in queste regioni sono state identificate e caratterizzate delle proteine particolari, di natura acidica, differenti dagli istoni. La particolare struttura costituita dall'associazione di queste proteine con il DNA viene ritenuta il sito di attacco dei microtubuli del fuso alle zone centromeriche dei cromosomi. Una volta separati dai c., i centromeri possono muoversi liberamente lungo le fibre del fuso. Nella regione centromerica all'interno dei due cromatidi fratelli sono state identificate tre proteine (CENPA, 17 Kdalton; CENPB, 80 Kdalton; CENPC, 140 dalton: la CENPB è risultata essere una componente dello scaffold con una regione fortemente acidica) responsabili del movimento dei cromatidi all'anafase: questo infatti sarebbe il risultato dell'interazione dei complessi costituiti da DNA e proteine centromeriche con i microtubuli delle fibre del fuso.
Telomeri. − Già da tempo si riteneva che le regioni terminali dei c. fossero dotate di caratteristiche particolari: infatti qualsiasi c., privato della regione telomerica, finisce col ricongiungersi a un altro segmento di c. privo di telomero durante la fase S o col risaldarsi con il cromatidio fratello. Comunque c. con rotture ''beanti'' non rimangono mai come tali nel corso delle divisioni cellulari, ma vanno incontro a cicli di riunioni e rotture con formazione di dicentrici. Inoltre anche le traslocazioni semplici sono in realtà sempre reciproche, in quanto i c. devono sempre terminare con un telomero. Dal punto di vista molecolare si deve trattare di zone specificamente strutturate, dato che la doppia elica del DNA deve essere protetta nei punti di terminazione. I molti e recenti studi in proposito hanno permesso di determinare la struttura del telomero di alcuni c. di protozoi, piante e mammiferi. Nella specie umana sono costituiti da sequenze monotone di basi di tipo TTAGGG ripetute per circa 1500-6000 nucleotidi all'estremità della doppia elica. La stessa sequenza è presente nei c. di numerosi mammiferi, oltre l'uomo, e anche in diversi uccelli e rettili; sequenze analoghe sono state identificate anche in protozoi e piante. Vengono sintetizzate da un enzima (la telomerasi) che è una ribonucleoproteina, ma non è ancora chiaro l'esatto meccanismo di sintesi di questi tratti di DNA che sembra non presentino una doppia elica secondo il modello di Watson e Crick e che si duplichino con sistema diverso da quello semiconservativo.
Bandeggio. − La tecnica del bandeggio, con Giemsa o in fluorescenza, è stata messa a punto già nel 1969; da allora tutti gli studi del cariotipo utilizzano qualche tipo di bandeggio. Alla tecnica di base sono state apportate soltanto piccole modifiche di carattere tecnico e ora si ottengono mappe cromosomiche veramente accurate con bande G, Q, R, C per l'uomo, il topo, il ratto, l'hamster cinese, la Drosophila, la Vicia, ecc.
Per la definizione di regioni di particolare interesse citogenetico (localizzazioni di geni, di siti di integrazione virale, dei punti di rottura di riordinamenti strutturali) si utilizza ora la tecnica del bandeggio sui c. prometafasici: in questo modo si ottiene un miglioramento della definizione (bandeggio ad alta definizione). Per es., per il complemento aploide umano, si è passati da un totale di circa 350 bande a oltre 750. Il bandeggio dei c. pone dei problemi a livello di comprensione della struttura del c. stesso: ricerche recenti hanno proposto di spiegare il bandeggio con la presenza nel DNA del genoma umano di sequenze di basi altamente ripetute. Da osservazioni sperimentali sembrerebbe che due tipi di sequenze sono rappresentate nelle diverse bande cromosomiche G e Q positive: SINE (Short Interposed Element) e LINE (Long Intersperred Element), che contengono un'elevata percentuale di coppie G-C. Anche se questi dati sono abbastanza in accordo con l'ipotesi sperimentale, le problematiche rimangono aperte: infatti sembra che il bandeggio sia funzione anche del tipo di proteine presenti lungo il c. e dei loro rapporti con il DNA. Dunque solo una comprensione più approfondita dell'organizzazione strutturale del c. potrà definitivamente chiarire le basi molecolari che determinano il bandeggio.
Eucromatina ed eterocromatina. − L'alternarsi lungo il c. di zone eucromatiche (DNA e geni attivamente trascritti) ed eterocromatiche (cromatina condensata, non trascritta e dunque geni inattivi) può essere messa in evidenza con le normali tecniche di bandeggio. Alle volte, come nel caso di uno dei due c. X delle femmine di mammifero, l'inattivazione è facoltativa e dunque il c. è funzionalmente inattivo. Altre volte, invece, l'eterocromatina viene definita costitutiva in quanto sembra differenziabile dalla cromatina di altre regioni cromosomiche; è questo il caso della regione centromerica della maggior parte dei c. che è sempre interessata da tratti di eterocromatina costitutiva, che può essere messa in evidenza con bandeggio di tipo C. In questa zona è presente la maggior parte del DNA satellite a sequenze altamente ripetute, che non è in grado di specificare alcuna proteina.
Siti fragili. − Sono definiti come regioni specifiche lungo i c. che, dopo un trattamento specifico delle cellule in coltura, si evidenziano come tratti non colorati e despiralizzati. Di estensione variabile, sono di solito presenti in entrambi i cromatidi e talvolta determinano la formazione di frammenti acentrici. Sono ereditati secondo uno schema di eredità mendeliana monofattoriale dominante e mostrano una penetranza variabile ma sempre molto alta. L'importanza di questi siti è data dalla proprietà di essere localizzati spesso nelle regioni dove sono stati mappati anche particolari oncogeni. Evidenze sperimentali indicano anche un loro coinvolgimento nelle rotture e nei riordinamenti cromosomici dei c. di individui portatori di specifici tumori (neuroblastoma, retinoblastoma, tumori ovarici, ecc.); inoltre, ci sono indicazioni che siti fragili e zone di integrazione virali coincidano, almeno per alcuni virus esaminati in dettaglio. Un promettente campo di studio è quello dei meccanismi biochimici e strutturali responsabili della comparsa dei siti fragili, di cui, per ora, non si sa quasi nulla.
Tecniche di indagine più recenti. − I microscopi elettronici a trasmissione e a scansione hanno permesso di approfondire lo studio della struttura fine del c., come l'organizzazione dei nucleosomi e le relazioni tra scaffold, anse e membrana nucleare. La sempre più sofisticata microscopia ottica, a luce visibile o a fluorescenza, ha permesso l'osservazione delle bande in preparati di c. prometafasici e la localizzazione dei siti fragili, delle zone centromeriche e telomeriche. La microspettroscopia permette di produrre − con la scansione automatica dei c. bandeggiati − anche profili del contenuto di DNA e riconoscimento di sequenze identiche in c. omologhi o di sequenze alterate da riordinamenti strutturali. I citofluorimetri a flusso permettono inoltre di determinare una serie di parametri morfologici e funzionali per cellule in sospensione senza alterarne vitalità e capacità riproduttiva e inoltre sono in grado di separare cellule a seconda della fase del ciclo in cui si trovano. Ciò permette di ottenere popolazioni cellulari sincronizzate da cui si ottengono campioni omogenei costituiti da migliaia di esemplari di ciascun elemento del cariotipo; questo facilita notevolmente gli esperimenti con le tecniche del DNA ricombinante per la localizzazione dei geni e la loro messa in sequenza.
Bibl.: Human cytogenetics, a cura di D. E. Rooney, B. H. Czepulkowski, Oxford 1978; T. C. Hsu, Human and mammalian cytogenetics, New York 1979; B. Alberts, D. Bray, J. Lewis, M. Raff, K. Roberts, J. D. Watson, Molecular biology of the cell, New York-Londra 1983; J. Darnell, H. Lodish, D. Baltimore, Molecular cell biology, New York 1986; Medical and experimental mammalian genetics: a perspective, a cura di V. A. McKusick, T. H. Roderick, J. Morè, N. W. Pane, ivi 1987.