CROMATISMO (dal greco χρῶμα "colore")
Significa l'uso di più semitoni che alterino la serie naturale dei suoni, base della musica occidentale, detta serie diatonica.
Mentre nella suesposta serie diatonica non vi sono che due semitoni, la serie cromatica è tutta un seguito di semitoni; tra cui mi-fa e si-do sono diatonici, gli altri cromatici.
Come appare dal nostro esempio, tra ognuno degl'intervalli di tono vi sono in realtà due semitoni cromatici, per es. tra do e re vi sono do ♯ e re ♭. (Sulla misura acustica di questi intervalli, vedi scala). L'uso e la scelta dell'uno o dell'altro non sono regolati da leggi precise, nemmeno nella teoria musicale. In pratica si consiglia di adoperare quella nota che è più vicina al tono del complesso tonale ed armonico in cui la nota si presenta. Ad ogni modo l'uso della scala temperata (v. scala) esclude ogni diversità d'effetto, e pertanto di valore musicale. Anzi, ai nostri giorni, v'è chi propone e pratica l'uso di 12 note (i 12 semitoni) senza distinzione tra semitoni diatonici e cromatici, né tra diesis e bemolli (qualcuno l'ha detta dodecafonia) quale affermazione di perfetta atonalità. Altri distingue i diesis dai bemolli anche in effetto e nella stessa pratica componistica, rinunciando così al sistema temperato.
Senza entrare nel valore di tali opposte tendenze, è un fatto che il concetto teorico e l'indicazione grafica degl'intervalli cromatici quali alterazioni (v.) degl'intervalli diatonici sono essenzialmente falsi. Per es. il do ♯ non è un'alterazione, uno spostamento del do naturale, bensì una nota radicalmente diversa, e che col do naturale si può dire non abbia che vicinanza di luogo e, per ragioni storiche, di nome. Per es. in rapporto al tono di Do Maggiore, mentre do è nota di riposo, do ♯ è nota estranea, appartenente ad un altro tono, nota di moto che tende verso re. È certo che, in teoria, sarebbe bene riconoscere e indicare la realtà tonale d'ognuno dei 17 suoni in cui si divide l'ottava quando si distinguono i diesis dai bemolli; ma, mentre tale innovazione s'invoca a fine di chiarezza e di precisione, la sua applicazione complicherebbe di molto la lettura senza vantaggi corrispondenti. Sicché tutti i progetti fatti in tale senso (coi loro derivati, per es. nella tastiera degli strumenti) sono sempre stati sterili.
Già Prosdocimo de Beldemandis (professore a Padova nel 1422) proponeva di usare una scala di 17 suoni (coi diesis distinti dai bemolli), e nel secolo XVI, per attuare esattamente quello che si credeva essere stato il genere cromatico greco (mentre i teorici dibattevano appassionatamente i problemi dell'acustica in rapporto alla musica), Nicolò Vicentino pensò di costruire a scopo pratico strumenti con le varie posizioni cromatiche ed enarmoniche. Fu cosa infeconda; ma F. Salinas parla d'un organo, da lui trovato a Firenze, con tasti distinti pel re ♯ e mi ♭ e pel sol ♯ e la ♭, e dice che è una singolarità degl'Italiani.
Storicamente il cromatismo è nato col "genere cromatico" degli antichi Greci (v. grecia: Musica). Nel Medioevo la prima notizia sul cromatismo si trova negli scritti di Marchetto da Padova (sec. XIV), che tenta di giustificare con esso la permutazione nella salmizzazione di Guido d'Arezzo (v.). Nel 1500, con la scuola veneziana, il cromatismo assume due significati e si sviluppa, specie nei madrigali, in due sensi: uno ritmico (presto tramontato), di musiche con note a piccoli valori, quindi scritte con note nere piene invece che vuote; e in un altro senso, tonale, ben più vivo e fecondo, cioè quello che oggi ancora si dice cromatismo. Maggiori maestri del cromatismo furono Adriano Willaert, Nicolò Vicentino, Luca Marenzio, Gesualdo da Venosa, Claudio Monteverdi. Questa prima fioritura cromatica si può considerare compresa tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento; continuò quindi anche nel primo periodo della "melodia accompagnata sul basso numerato". Dalla musica vocale il cromatismo passò presto in quella strumentale, dove trovò anche maggiore sviluppo nei secoli successivi.
Fino dall'antichità pare si sia incominciato a riconoscere quel carattere d'intensa, quasi tormentosa espressione che costituisce la sua ragion d'essere. Sulla parte avuta dal cromatismo nell'evoluzione della tonalità e quindi dell'armonia, si consultino gli articoli relativi.