CROCIFISSO
Con il termine c. si intende la rappresentazione della croce con sopra Cristo, indipendentemente da materiale, tecnica, misure, contesto iconografico e funzione iconica. La specificazione c. autonomo, usata talvolta in tempi recenti, è ingannevole e deriva principalmente da un orientamento museale; è molto più importante considerare che la raffigurazione della croce, immagine e veicolo d'immagine al tempo stesso, e quella del corpo crocifisso hanno sempre costituito - e ancora costituiscono, se lo permette lo stato di conservazione - un'unità di significato: trattarli separatamente è pertanto metodologicamente inadeguato. In origine tutti i c. erano legati, a diversi livelli simbolici e iconologici, alle loro funzioni sacrali e religiose. La dottrina patristico-ecclesiastica della doppia natura di Cristo (Dio-uomo), consolidatasi nei grandi concili ed espressa nella letteratura, nella mistica e nell'arte, fornì il quadro d'insieme per l'illustrazione della morte sulla croce del Figlio di Dio fattosi uomo, tema centrale dell'arte medievale.L'evento della crocifissione è narrato brevemente nei vangeli: "lo crocifissero" (Mc. 15, 25; Mt. 27, 35; Lc. 23, 33; Gv. 19, 18). Questo tipo di condanna di origine orientale era considerata nell'Impero romano la forma più ignobile di pena capitale; il condannato a morte veniva legato o inchiodato a un semplice palo o a una croce che poteva essere commissa, a T, o immissa, la croce latina, e sulla testa del giustiziato si poneva un titulus con il nome e la sentenza; non è attestato in origine un sostegno per i piedi (suppedaneum). Sulla base di Gv. 20, 25, e Lc. 24, 39, si può ritenere che le mani e i piedi di Cristo siano stati inchiodati. L'inclinazione della testa e la bocca leggermente aperta possono essere interpretati come segni della morte: "E, chinato il capo, spirò" (Gv. 19, 30). Secondo Gv. 19, 34, alle quattro piaghe delle mani e dei piedi si aggiunse la quinta della lancia nel costato, segno del compiuto sacrificio. Cristo crocifisso è il punto centrale anche della teologia paolina (1 Cor. 1, 23; Col. 2, 14). Il Vangelo di Nicodemo menziona inoltre il perizoma e la corona di spine sul capo (10, 2-4).I concetti più importanti dell'epoca paleocristiana e altomedievale, che hanno esercitato anche un influsso indiretto sulla genesi delle opere d'arte, sono la vittoria di Cristo crocifisso sulla morte, la sua apoteosi sulla croce, la croce come segno di trionfo e di parusía - il secondo avvento di Cristo nel Giudizio finale - e infine l'analogia tra il sacrificio della messa e il sacrificio della croce. Già in Giovanni Crisostomo (m. nel 407) l'eucaristia viene spesso definita un sacrificio e identificata con quello della croce (Hom. in crucem; PG, XLIX, coll. 399-408); Ilario di Poitiers (m. nel 367) descrive la morte senza dolore di Cristo sulla croce come un atto di volontaria autoumiliazione (De Trinitate, X, 23; PL, X, coll. 361-363), Ambrogio (m. nel 397) parla della persona hominis di Cristo, ma dichiara che, pur essendo uno in ambedue le nature, in ambedue è compiuto (De excessu fratris sui Satyri, I, 12; PL, XVI, col. 1294) e ripetutamente mette in chiaro il carattere sacrificale dell'eucaristia. I Padri della Chiesa hanno visto nella croce di Cristo le quattro dimensioni del mondo, il simbolo dell'universalità della redenzione. A partire da Gregorio Magno (m. nel 604) la messa assunse il valore di reale ripetizione del sacrificio di Cristo sulla croce. Nella controversia sulla comunione di epoca carolingia si affermò la dottrina di Pascasio Radberto, che equiparava il corpo sacramentale di Cristo con quello storico (De corpore et sanguine Domini; PL, CXX, coll. 1267-1350).Già verso la fine del sec. 11° si ebbero con la dottrina di Anselmo d'Aosta (Cur deus homo, 1098; PL, CLVIII, coll. 359-432) i presupposti dogmatici per una rappresentazione di Cristo crocifisso sofferente e morto (Haussherr, 1970). Ma nel sec. 12° fu determinante l'atteggiamento verso l'arte della riforma benedettina, che si manifestò per es. negli scritti di Ruperto di Deutz, per il quale il c. è, in senso altomedievale, il segno della vittoria di Cristo e l'immagine più efficace da porre davanti agli occhi degli uomini, purché il corpo di Cristo sia conforme a una bellezza ideale e privo di segni di sofferenza (In Evangelium s. Johannis, XIII; PL, CLXIX, col. 787; De divinis officiis, VII, 20; PL, CLXX, coll. 200-201).Con Bernardo di Chiaravalle (ca. 1090-1153) Cristo crocifisso divenne il punto di partenza della meditazione mistica; riflettendo infatti fin dall'infanzia sulla vita di Cristo, Bernardo vide in essa una via del dolore che conduceva alla croce. Anche la mistica francescana, che tanta influenza ebbe sulle arti, fu mistica della sofferenza e della croce. All'elaborazione dell'immagine del patire di Cristo in croce contribuì ancora di più la devozione mistica del Tardo Medioevo, che si manifestò in modo esemplare nell'opera di Ludolfo di Sassonia (m. nel 1377) e di Brigida di Svezia (m. nel 1373) e acquistò nuova vita e rinnovato vigore nella Devotio moderna inaugurata dal predicatore penitenziale Geert Groote (1340-1384). Anche l'istituzione della via crucis intorno al 1400 e i numerosi casi di partecipazione sofferta nel corpo ai misteri della Passione, come il ripetuto verificarsi di stigmatizzazioni, incoronazioni di spine, visioni di Cristo, e soprattutto l'intensità della devozione alla croce e al Prezioso Sangue di Cristo (per es. Margareta Ebner, Heinrich Suso, Caterina da Siena, Osanna di Mantova, Caterina de' Ricci), ebbero un considerevole risvolto nelle arti figurative. Questo patrimonio di idee giungeva agli artisti sia tramite le concezioni individuali dei committenti sia attraverso la predicazione pubblica.È necessario considerare in primo luogo, tra i c. presenti in ogni ambito del culto cristiano e della devozione privata, il c. parte dell'arredo dell'altare: c. d'altare sono documentati dal 10°-11° secolo. Più volte attestati sono i c. come decorazione di suppellettili liturgiche e i c. della consacrazione su calici, patene, cibori e ostensori. A partire dall'epoca carolingia tali raffigurazioni decorarono anche libri liturgici, soprattutto sacramentari e messali; dal pontificato di Innocenzo III (1198-1216) nella maggior parte dei sacramentari venne introdotta, tra il prefazio e il canone, una rappresentazione a piena pagina di Cristo crocifisso per indurre alla meditazione sulla sua morte; la stessa cosa avvenne nelle preziose legature dei libri liturgici. Anche le vesti degli officianti recavano il c., nella maggior parte dei casi sul lato frontale della casula e del piviale, a volte anche sulla mitra. Insegne sacerdotali e vescovili erano spesso contrassegnate dalla croce, per es. gli encolpi, i pastorali e gli anelli vescovili. Le croci astili o processionali, quelle trionfali e quelle sul jubé erano per lo più in forma di crocifisso. Ogni rappresentazione scenica della crocifissione aveva al centro il c., in primo luogo le pale d'altare e gli altari-reliquiario o a sportelli, ma anche i programmi iconografici degli arredi ecclesiastici, per es. dei tabernacoli e dei repositori degli oli santi. Oltre che nelle immagini dei canoni, nei gruppi del trionfo della croce e nelle affollate scene della crocifissione, il c. costituiva il centro anche nelle raffigurazioni della Trinità, secondo il tipo iconografico del Trono di grazia. Al di fuori degli edifici liturgici i c. si trovavano sulle croci poste lungo le strade, nei mercati, nei cimiteri e sui sepolcri. Il c. era inoltre oggetto di devozione privata: personaggi in adorazione di Cristo crocifisso erano spesso raffigurati in immagini di dedicazione, epitaffi e altari-epitaffio.Le più antiche rappresentazioni (rilievo su una cassetta eburnea del 420-430 proveniente dall'Italia settentrionale ora a Londra, British Mus.; pannello della porta lignea del 432 ca. di S. Sabina a Roma) mostrano Cristo morto con perizoma a fascia, dritto sulla croce nell'atteggiamento dell'orante e con gli occhi aperti, come segno della divinità. Tale versione restò in un primo momento senza seguito, mentre le prime raffigurazioni che dettero luogo a una tipologia risalgono al sec. 6° e presentano Cristo crocifisso - Lógos immortale e Christus crucifixus vigilans - vestito di un colobium purpureo con clavi dorati, senza maniche, in posizione eretta sulla croce, a cui è inchiodato con quattro chiodi, con una ferita sul fianco, segno della morte, e con gli occhi aperti, segno del trionfo sulla morte (per es. Vangeli di Rabbula, eseguiti in Siria nel 586, Firenze, Laur., Plut. 1.56, c. 13r; coperchio di una cassetta-reliquiario di provenienza palestinese del 580-600, Roma, BAV, Mus. Sacro; pittura murale del 750 ca. nella cappella di Teodoto in S. Maria Antiqua a Roma). Cristo è già contrassegnato dal nimbo crociato in S. Maria Antiqua a Roma, sia nella cappella di Teodoto sia nella parete absidale.Nell'arte carolingia compaiono nuovi tipi del Dio-re sulla croce. A partire dall'800 ca. ai piedi di Cristo - con gli occhi aperti, la ferita nel costato, il perizoma e i quattro chiodi - venne raffigurato il serpente del paradiso terrestre che si avvolge alla croce. Tale simbologia allude alla vittoria sulla morte e sul peccato del Christus triumphans, a volte raffigurato su una croce di luce, in una iconografia in cui si sommano le immagini di Cristo morto crocifisso e del Redentore che torna per il Giudizio finale (per es. copia del 1540 di un c. d'argento dell'800 ca., Roma, BAV, Mus. Sacro; reliquiario di Pipino I di Aquitania, della prima metà del sec. 9°, Conques, Trésor de l'Abbaye; seconda coperta dell'880 ca. dell'Evangeliario di Lindau, New York, Pierp. Morgan Lib., M.1; Sacramentario dell'incoronazione di Carlo il Calvo, dell'870, Parigi, BN, lat. 1141, c. 6v; placchetta di avorio dell'870 ca. inserita nella coperta, dell'inizio del sec. 11°, del Libro delle Pericopi di Enrico II, Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4452). Nell'arte ottoniana il tema del Dio-re si trasformò in quello di Cristo-sommo sacerdote sulla croce: in posizione dritta o abbandonata, con nimbo crociato, vestito di una tunica con le maniche, a braccia aperte, con quattro chiodi alle mani e ai piedi (per es. una immagine dedicatoria del 950-970, ora in un messale a Halberstadt, Domschatz; una immagine dei canoni di un sacramentario del 950-980, Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 10077, c. 12r; un evangeliario del 970-980 di produzione mosana, Parigi, BN, lat. 9453, c. 125v). L'evangeliario del 990-996 offerto da Lotario a Ottone III (Aquisgrana, Domschatzkammer, c. 234v) mostra la crocifissione in due momenti: Cristo con Stephaton prima della morte e con Longino che lo trafigge con la lancia dopo la morte. Ulteriori varianti di questa tipologia, importanti dal punto di vista artistico, si trovano sia in una miniatura del Libro delle Pericopi di Enrico II (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4452, c. 107v), sia in un intaglio in avorio del 1040 ca. proveniente da Liegi (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny), sia in una miniatura dell'Evangelistario della badessa Uta di Niedermünster, eseguito a Ratisbona nel 1020 ca. (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13601, c. 3v), dove sulla testa di Cristo compaiono la corona del cielo e la stola aurea, distintiva dell'ufficio sacerdotale, come segni tipologici della vittoria della Chiesa e della sconfitta della Sinagoga, e dunque della nascita della Chiesa dalla ferita nel costato di Cristo.Già verso la fine del sec. 8° - parallelamente alle rappresentazioni di Cristo crocifisso come sommo sacerdote - appaiono c. in cui Cristo è raffigurato con il perizoma, la ferita nel costato e il nimbo crociato, su una croce d'oro decorata con gemme e perle, cioè sulla croce di luce della parusía (crux gemmata), con una nuova sovrapposizione tra i concetti iconografici di morte sulla croce e croce della parusía, segno (Mt. 24, 4-31; 25, 31) del ritorno del Figlio dell'Uomo (per es. immagine dei canoni del Sacramentario di Gellone, del 790-795, proveniente dalla Francia settentrionale e ora a Parigi, BN, lat. 12048, c. 143v; c. di Matilde e Ottone di Svevia, del 973-982, Essen, Münsterschatzmus.; c. di Egberto, del 977-993, Maastricht, Schatkamer van de Sint-Servaasbasiliek; c. della regina Gisella d'Ungheria, del 1006 ca., eseguito a Ratisbona e ora a Monaco, Schatzkammer der Residenz; c.-reliquiario della badessa Berta di Borghorst, del 1050 ca., prodotto a Essen e ora a Steinfurt-Borghorst, St. Nikomedes, Stiftskammer).I preziosi c. dell'epoca intorno al Mille, decorati con gemme, perle e smalti, recano sui bracci le immagini delle quattro essenze apocalittiche, dei grandi simboli cristologici (nascita, morte, risurrezione, ascensione) e delle quattro essenze celesti alate (uomo, trono, leone, aquila) e precorrono l'idea del c. trionfale di grandi dimensioni (per es. croce processionale del 1000 ca., proveniente dalla Renania e ora a Essen, Münsterschatzmus.; croce-reliquiario del 990-1030 con il corpo di Cristo in avorio, Londra, Vict. and Alb. Mus.).Verso il Mille apparvero anche raffigurazioni che mostrano Cristo fissato alla croce con chiodi invisibili (per es. immagine dei canoni del Sacramentario di Enrico II, del 1002-1014, Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4456, c. 15r), forse ispirate dalle riflessioni mistiche di Agostino (Hom. in s. Pascha; PL, XXXVII, col. 1236).Accanto al tipo di c. che mostra Cristo con gli occhi aperti e quattro chiodi alle mani e ai piedi, generalmente diffuso soprattutto nelle immagini a corredo delle tavole dei canoni (per es. Sacramentario di Lorsch, del 980 ca., Chantilly, Mus. Condé, 1447, c. 4v), apparve verso il 970-980 anche la raffigurazione di Cristo sulla croce con gli occhi chiusi e sul corpo evidenti segni della morte. Questo tipo - in cui ricorrono la ferita nel costato, il perizoma, il nimbo crociato e i quattro chiodi - appare sia isolato sia accompagnato dalla Vergine e da s. Giovanni Evangelista, testimoni chiave della morte redentrice di Cristo, o anche da Longino e Stephaton, testimoni principali della morte terrena. Costitutivo del tipo fu soprattutto il c. di Gerone (Colonia, duomo, cappella della Croce), la più antica croce monumentale dell'arte occidentale, eseguito prima del 976, di cui Haussherr (1968, p. 687) ha evidenziato gli influssi bizantini e ha segnalato l'influenza sulla scultura e sulla miniatura di Colonia. Recenti studi, basandosi sulla presenza di una lamina d'oro, hanno sottolineato che anche in questo caso Cristo era raffigurato su una croce di luce, segno della parusía, iconografia a cui del resto si riferisce anche il nimbo crociato decorato di gemme ancora oggi conservato. Al seguito del c. di Gerone si pongono una miniatura su un frammento di sacramentario del 970 ca., proveniente da Corvey ma prodotto nella Reichenau (Lipsia, Universitätsbibl., Rep. I.4°57a), e l'incisione sul rovescio della croce di Lotario, del 980 ca. (Aquisgrana, Domschatzkammer). Variazioni di questo tipo di c., con gli occhi chiusi e sul corpo tracce evidenti di morte - nel segno della nuova pietà della passio humilissima -, si trovano anche in opere prodotte altrove, come per es. un salterio del 980-990, proveniente dall'abbazia di Ramsey (Londra, BL, Harley 2904, c. 3v), la coperta del Codex Aureus Epternacensis, del 990 ca., eseguita a Treviri (Norimberga, Germanisches Nationalmus., K.G. 1138), il rilievo in avorio della c.d. tavola di Adalberone, eseguito a Metz nel 1000 ca. (Metz, Mus. Central), il c. d'altare del vescovo Bernoardo prodotto a Hildesheim nel 1007-1008 (Hildesheim, Diözesanmus. mit Domschatzkammer). Alla rappresentazione di Cristo sulla croce si accompagnano, anche in quest'epoca, i già menzionati simboli cristologici (mano di Dio, corona della vittoria e corona celeste, calice della Nuova alleanza, sole e luna afflitti dallo sconvolgimento cosmico), introdotti per porre in risalto la divinità di Cristo.Il tentativo di far trasparire la realtà soprannaturale e divina in ciò che era terreno e storico portò in seguito alla rappresentazione del Christus crucifixus vigilans, ovvero di Cristo crocifisso con gli occhi aperti (per es. c. di Bernoardo, prodotto a Hildesheim nel 1000 ca. e ora a Ringelheim, chiesa parrocchiale; c. del 1020 ca. eseguito a Colonia, già Coll. Neuerburg ora Schnütgen-Mus.), attestato anche in numerosi c. di piccolo formato o in miniature di manoscritti tardo-ottoniani che anticipano i tipi dell'arte romanica.I c. delle regioni tedesche all'inizio dell'epoca romanica mostrano ancora, per lo più, Cristo morto quasi senza segni di sofferenza, del quale solo la magrezza del corpo fa riferimento alla passione (per es. c. del 1067 ca., Colonia, già St. Georg ora Schnütgen-Mus.; c. bronzeo del 1080 ca. da Helmstedt, Essen, Schatzkammer der Propsteikirche St. Ludgerus; c. del 1070-1080, Benninghausen, St. Martin). Sono esempi analoghi di area francese il monumentale c. ligneo di Saint-Paulin a Château-de-la-Rochelambert (Coll. L.P. Bresset) e il Cristo crocifisso di una croce astile in Saint-Pierre a Moissac. Più rari sono i c. del primo Romanico spagnolo, come il c. del sec. 12° di San Salvador a Fuentes ora a New York (Metropolitan Mus. of Art). I c. bronzei che determinarono una tipologia furono opera principalmente dei due orafi più importanti del sec. 12°: Renier de Huy (per es. Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire; Colonia, Schnütgen-Mus.) e Ruggero di Helmarshausen (per es. Dortmund, Mus. für Kunst und Kulturgeschichte; Münster, Westfälisches Landesmus. für Kunst und Kulturgeschichte). Vanno anche menzionati alcuni esempi di alta qualità con caratteristiche stilistiche singolari: il c. d'altare del 1130 ca. dell'abate Baldovino di Liesborn, eseguito a Hildesheim e ora a Münster (Westfälisches Landesmus. für Kunst und Kulturgeschichte); due opere di produzione sveva, un c. bronzeo del 1130-1140 (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz) e il c. di Gurktal, del 1160-1170 (Klagenfurt, Landesmus. für Kärnten); una pisside con c. del 1150-1170 (Hildesheim, Diözesanmus. mit Domschatzkammer); il corpo bronzeo di un c. del 1150 ca., con testa coronata e occhi chiusi, eseguito in Borgogna e ora a Parigi (Louvre); l'eburneo c. spagnolo di Carrizo, del 1120-1140, con occhi di pietre preziose (León, Mus. Arqueológico Prov.).Numerosi c. dell'epoca romanica rappresentano Cristo morto su una croce costituita da un albero carico di germogli, ma esempi isolati di tale tipologia sono rintracciabili già dal 9° secolo. L'albero sempreverde si riferisce simbolicamente all'immortalità del Lógos (per es. c. ante 1050 di bottega coloniense a Mohnheim, St. Gereon; miniatura del sec. 11° del Sacramentario di San Gallo, Stiftsbibl., 341; miniatura del 1060 ca. del Salterio di Winchester, Londra, BL, Arund. 60, c. 52v; miniatura del 1050 ca. dell'Evangeliario della contessa Giuditta di Fiandra, prodotto a Winchester e ora a New York, Pierp. Morgan Lib., M.709, c. 1v). Talvolta questa versione del c. si trova in opere in legno e bronzo e in lavori di oreficeria (per es. c. d'altare mosano del 1150-1160, Londra, Vict. and Alb. Mus.). L'importante c. monumentale del 1250 ca. della chiesa di St. Johann Baptist del monastero di Wessobrunn in Baviera costituisce un esempio tardo di tale tipologia.La tradizione dei c. aurei della parusía è attestata da croci d'altare e croci-reliquiario ed ebbe seguito nel periodo romanico (per es. c.d. croce dei Guelfi, del 1060-1080, forse prodotta a Milano e ora a Berlino, Staatl. Mus., Kunstgewerbemus.; c. d'oro del 1060-1080, anch'esso forse di produzione milanese, già Velletri, Mus. Capitolare; c. di Erpho, del 1090 ca., prodotto a Colonia o a Essen e ora a Münster, St. Mauritz; croce-reliquiario di Münster, Domkammer der Kathedralkirche St. Paulus zu Münster, del 1040-1150, forse prodotta in città; croce-reliquiario di Enrico il Leone, del 1180-1190 ca., passata da Heilig-Kreuz a Hildesheim, Diözesanmus. mit Domschatzkammer). Lo stesso tema appare anche in versioni più modeste, in bronzo o legno con gemme dipinte, di cui sono esempi un c. bronzeo del 1120-1140, forse prodotto in Italia settentrionale (Bregenz, Voralberger Landesmus.); il c. processionale del 1160-1180 (Ratisbona, Domschatzmus.); la croce stante del 1180 ca., prodotta in Vestfalia (Münster, St. Paulus-Dom, cappella di S. Maria). In questa tipologia va inserito anche l'ampio gruppo di c. scandinavi con il Cristo-re apocalittico incoronato (per es. c. del 1180 ca. nella chiesa di Hemse nel Gotland, di produzione svedese; c. da Broddetorp, del 1160-1170, Stoccolma, Statens historiska mus.; c. aureo del 1200 ca. dell'altare della chiesa di Sahl, nella penisola dello Jutland; c. del 1140 ca. dell'altare della chiesa di Lisbjerg, Copenaghen, Nationalmus.).Del periodo tardoromanico (1100-1180) si sono conservati altri importanti esempi di c. realizzati in Germania, Francia e Italia in cui si possono riconoscere varianti tipologiche o tipologie miste, sebbene la tradizione sia lacunosa e l'indagine sui singoli tipi ancora assai carente (per es. c. ligneo del 1150 ca., Monaco, Bayer. Nationalmus.; c.d. c. di Bockhorst, del 1150-1160, prodotto in Vestfalia, Münster, Westfälisches Landesmus. für Kunst und Kulturgeschichte; c. ligneo del 1160-1170, Magonza, duomo, cappella di S. Gottardo; c.d. c. di Frauenberg, del 1150-1170, Euskirchen-Frauenberg, St. Georg; c. del 1190 ca., da Vorwitzhof presso Gaal, Innsbruck, Tiroler Landesmus. Ferdinandeum; c. detto Le Christ David-Weill, del 1110-1120, Parigi, Louvre; testa coronata di un c. del 1130-1140, da Lavadieu, Parigi, Louvre). Di particolare rilevanza sono i c. del Romanico italiano, di struttura semplice ma di alto livello artistico (per es. c. ligneo del 1120-1130 nell'abbazia di S. Antimo presso Montalcino; c. ligneo del 1130-1150 della cattedrale di S. Eusebio a Vercelli, con guarnizione d'argento; c. del 1170 ca. in S. Michele a Pavia; c. del 1175 ca. nel duomo di S. Evasio a Casale Monferrato). Un atteggiamento severo e maestoso caratterizza il c. ligneo del 1140-1150 della cattedrale di Arezzo, con sul perizoma riccamente decorato un singolare nodo a croce in grande evidenza, il c. del 1150-1160 nella chiesa di S. Agostino a Monte San Savino e quello del 1160-1170 nell'abbazia di S. Salvatore ad Abbadia San Salvatore al monte Amiata.Numerosi c. bronzei del sec. 12° rappresentano la crocifissione con solo i due chiodi delle mani (per es. c. stante del 1160-1180 ca., prodotto in Lorena o a Treviri e ora a Monaco, Bayer. Nationalmus.; croce processionale in bronzo del 1160-1180 ca., Bonn, Rheinisches Landesmus.; c. stante in bronzo del 1170-1180, eseguito nella regione mosana e ora a Hildesheim, Diözesanmus. mit Domschatzkammer).I c. del Volto Santo raffigurano Cristo sulla croce come sommo sacerdote, con o senza la ferita nel costato, con gli occhi aperti, vestito di una lunga tunica con maniche e con le braccia tese orizzontalmente in un atteggiamento quasi fluttuante. Dal punto di vista iconologico queste raffigurazioni sono da mettere in rapporto con i tipi di c. altomedievali con il colobium o la tunica manicata; per quanto riguarda la tipologia, sono strettamente affini al leggendario c. di Lucca, documentato solo dall'11° secolo. L'odierno c. del Volto Santo (Lucca, duomo), immagine miracolosa e meta di pellegrinaggio, risale al 1200 ca. ed è forse opera della cerchia di Benedetto Antelami. Numerose furono le copie dell'antico c. del Volto Santo, come il c. Majestad Batlló, del 1150 ca. (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya), un c. in legno d'olivo del 1160-1170 (Le Puy, Saint-Michel-d'Aiguilhe), il c.d. c. Imervard, del 1150 ca. (Brunswick, Blasiusdom), il c. da Erp, del 1180 ca. (Colonia, Erzbischöfliches Diözesanmus.).Al declinare del sec. 12° e negli anni intorno al 1200, nel momento di passaggio tra l'età tardoromanica e il primo Gotico, i c. cominciarono a mostrare, soprattutto Oltralpe, la sofferenza di Cristo in misura crescente. Il confronto tra il c. del 1190 ca. della chiesa di Auzon, ancora fortemente improntato dai lineamenti dolci del Beau-Dieu, e il c. realizzato poco dopo per la chiesa monastica premostratense di St. Johannes Evangelist di Cappenberg-Selm (ca. 1200-1220) - in cui la testa di Cristo, sebbene appartenente anch'essa al tipo del Beau-Dieu, presenta profonde rughe intorno agli occhi e sulla fronte - illustra gli inizi di quel processo di umanizzazione gotica che così profondamente improntò l'immagine divina nel 13° secolo. La corona di spine sul capo di Cristo crocifisso comparve sempre più spesso a partire dal 1200, anche se continuarono a essere essenziali i motivi trionfali (corona celeste, nimbo decorato di gemme, agnello con il vessillo della risurrezione, mano destra benedicente di Dio). Tra gli esempi vanno citati un c. ligneo ante 1200 di produzione mosana (Bruxelles-Vorst, Saint-Denis), un c. aureo del 1200 ca. (Friburgo in Brisgovia, Liebfrauen Münster, cappella Böcklin) e un c. ante 1200 di produzione renana (Boppard, St. Severus).Accanto ai tipi di transizione del primo Gotico si sviluppò in Italia la tipologia delle croci dipinte, in cui la forma della croce latina fu ampliata da tabelle alle estremità dei bracci e ai lati del c. per dare spazio a scene della storia sacra. Più tardi furono aggiunte figurazioni secondarie sulla cimasa, sulla base e sulle estensioni alle estremità dei bracci, dove sono effigiati i testimoni principali della morte redentrice, Maria a sinistra e Giovanni Evangelista a destra. Le croci dipinte occupano un arco cronologico che va dalla metà del sec. 12° fino alla metà del 15°; esempi della fase iniziale possono essere considerati il c. di Guglielmo, del 1138, nella cattedrale di Sarzana, il c. del 1180-1200 da S. Damiano ora in S. Chiara ad Assisi e il c. del 1200 ca. di Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), che mostrano Cristo eretto con gli occhi aperti senza segni di sofferenza fisica. Il successivo sviluppo è caratterizzato dalla rappresentazione di Cristo crocifisso con gli occhi chiusi e con il corpo abbandonato, flesso in una curva (per es. c. di Giunta Pisano, del 1250-1255, nella basilica di S. Domenico a Bologna; c. di Coppo di Marcovaldo, del 1255-1260, a San Gimignano, Mus. Civico). Il tipo, non sempre caratterizzato dalla presenza dei quattro chiodi, giunse a piena maturazione artistica con due c. di Cimabue, quello del 1260-1270 ad Arezzo (S. Domenico) e quello del 1290 ca. a Firenze (Mus. dell'Opera di Santa Croce). Intorno al 1270-1280 nell'ambito di tale tipologia apparvero anche le prime raffigurazioni in cui Cristo crocifisso con tre chiodi mostra segni di sofferenza (per es. c. aretino del 1270 ca., Arezzo, Mus. Statale di Arte Medioevale e Moderna). Un ulteriore passo fu compiuto da Giotto, che nel rappresentare il sacrificio di Cristo sulla croce volle esprimere la sofferenza dell'uomo e la morte del corpo, come appare nel c. di S. Maria Novella a Firenze, terminato poco prima del 1312. Questa forma matura di croci dipinte fu molto diffusa nel sec. 14° in Italia e si ritrova per es. nel c. del Maestro di S. Polo in Rosso, del 1320-1340, a Bibbiena (S. Lorenzo) o in quello di un maestro riminese, del 1340 ca., a Sestino (Pieve di S. Pancrazio).Non è possibile seguire lo sviluppo del c. gotico francese poiché pochi sono gli esempi superstiti (per es. c. del 1320-1340 ca. di Mussegros-Eure a Ecouis, collegiata di Notre-Dame). I tipi di c. adottati nelle cattedrali francesi si possono ricostruire dunque sia grazie a numerosi dittici e trittici eburnei sia attraverso lavori a smalto limosini, in cui di preferenza compare il Christus patiens con gli occhi aperti.Nella miniatura di epoca gotica dominò il Beau-Dieu che spira serenamente sulla croce, generalmente senza corona di spine e con la ferita del costato aperta. Dalla metà del sec. 13° tuttavia anche in questo ambito comparve sempre più spesso il Christus patiens crocifisso con tre chiodi e coronato di spine, come in una miniatura del Salterio di Ermanno di Turingia, del 1210-1220 ca. (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., HB II.24, c. 73v), e in un c. con le virtù nel Salterio di Bonmont, del 1260 ca., in cui viene collegata simbolicamente la morte di Cristo sulla croce alla nascita della Chiesa (Besançon, Bibl. Mun., 54, c. 15v).I c. trionfali di scala monumentale di epoca gotica, precisamente quelli posti sul jubé, che mostravano Cristo con la corona di spine e con i tratti del volto segnati dalla sofferenza, possono essere considerati un momento successivo dello sviluppo della croce di luce, contrassegnato dalla presenza dei viventi dell'Apocalisse. Gli esempi conservati si trovano soprattutto nella Germania settentrionale e nordorientale, ma anche in Italia e in Spagna (per es. c. del 1220 ca. nel duomo di Osnabrück; c. del 1220 ca. nel duomo di Halberstadt; c. del 1230-1235 ca. nella chiesa del convento dei Canonici regolari di s. Agostino a Wechselburg; c. del 1250 ca. nel duomo di Naumburg; c. del 1230-1240 ca. nel duomo di Friburgo; c. del sec. 13° nella cattedrale di S. Maria Assunta a Torcello; c. del sec. 14° nella basilica di S. Michele a Pavia) e sporadicamente anche in Inghilterra e Danimarca (per es. c. del 1240 ca. nella cattedrale di Wells; c. del sec. 13° nella abbaziale cistercense a Sorö).La raffigurazione plastica di Cristo crocifisso in epoca gotica ebbe in Italia un particolare sviluppo, grazie soprattutto all'opera degli scultori Nicola Pisano e Giovanni Pisano. Già nel 1260 il pulpito di Nicola nel battistero di Pisa mostra Cristo morto con grande sofferenza sulla croce. Tale tipologia, che rappresenta Cristo morto, crocifisso con tre chiodi, venne sviluppata in seguito da Giovanni Pisano nei suoi c. lignei (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Skulpturengal.; Pisa, duomo; Pistoia, S. Andrea; Prato, duomo; Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana). Intorno al 1300 nacque Oltralpe il c. detto della peste (Pestkruzifixe) o a forcella (Gabelkruzifixe), in cui il Figlio di Dio appare con il corpo e il volto orrendamente deformati, coperto da piaghe e bubboni (per es. c. del 1304 a Colonia, St. Maria im Kapitol; c. del 1307 ca. nella cattedrale di Perpignano; c. del 1300-1310 ca. nella chiesa parrocchiale di St. Simon und Judas a Thorr nel distretto di Bergheim; c. del 1310 di Coesfeld, Lambertikirche; c. del 1320-1340 da Breslavia, Corpus Christi, ora a Varsavia, Muz. Narodowe; c. del 1380 ca. a Colonia, St. Georg).I c. plastici tardogotici del sec. 15° sono caratterizzati da una nuova forza espressiva: Cristo mostra una vitale corporeità in cui predominano bellezza e forza. Gli esempi vanno dal weicher Stil degli anni intorno al 1400 (per es. c. in pietra di Claus Sluter, del 1395-1403, dalla certosa di Champmol, ora a Digione, Mus. Archéologique) al primo Rinascimento italiano.
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