Croce bibliografo
In una nota pagina del Contributo alla critica di me stesso Benedetto Croce afferma che la cronaca della sua vita, in ciò che merita di essere ricordata, è racchiusa nella cronologia e nella bibliografia dei lavori letterari (1918, 1989, p. 13). Nel tracciare un bilancio sulla propria attività di studioso, il filosofo dichiara di aver raggiunto, sulla soglia dei cinquant’anni, la calma a lungo cercata negli anni tormentati della giovinezza e ottenuta attraverso la quotidiana operosità che i Taccuini di lavoro (1987) registrano fedelmente. L’uomo Croce perde i connotati di persona e presenta se stesso come attività, identificandosi totalmente con la sua opera che assume, fin dagli esordi, una corporeità spazio-temporale ben definita. Il rapporto tra la produzione compiuta e quella progettata, punto d’arrivo che si trasforma in base di partenza per un nuovo percorso, si configura come un movimento a spirale, che ingloba, integra e completa le conoscenze acquisite. Più che rimandare al concetto di sistema, sembra attagliarsi all’edificio crociano del sapere l’espressione «serie di sistemazioni», coniata dall’autore per definire il percorso filosofico ma anche idonea a rappresentare gli ambiti disciplinari storico-letterari indagati (Contributo, cit., p. 63).
Nel 1902 il filosofo aveva redatto a uso privato un curriculum vitae e un piano di studi quinquennale che avrebbe verificato nel 1907 e rinnovato fino al 1912 (B. Croce, Memorie della mia vita, 1992, pp. 14, 25). Se il curriculum offre il resoconto sui primi scritti di storia napoletana, sulle indagini di filosofia della storia, sul confronto con la teoria di Karl Marx e con la scienza economica, il piano di studi costituisce un esempio di ‘bibliografia futura’. Consapevole di aver raggiunto una notevole dimestichezza nella ricerca e nell’esposizione storica così come nell’indagine e nella meditazione filosofica, Croce ritiene di aver accumulato problematiche e materiali filosofici e storici che potrebbero tenerlo occupato per tutto il resto della vita. Alla vigilia della pubblicazione dell’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale (1902) egli annuncia gli altri volumi sulla Filosofia dello spirito, anticipa in ambito storico la ricognizione sulla produzione intellettuale, artistica e morale della ‘nuova Italia’ e, infine, vagheggia una monografia su Giambattista Vico. Se si considera che all’altezza del 1902 l’elenco delle pubblicazioni realizzate, aggiornato con meticolosità dal filosofo e menzionato nel piano di studi, registra ben 143 titoli, non sorprende che una così vasta produzione comporti per lui il ‘dovere’ di completare ricerche avviate in precedenza e di correggere lavori già editi.
Nel corso della lunga attività di studioso, Croce ha declinato tutte le accezioni del termine bibliografia. Intesa in primo luogo come lo studio sistematico delle opere di una materia o di un autore, la disciplina comprende anche i repertori più o meno completi, ragionati o selezionati, di tali opere, oltre a includere gli elenchi che accompagnano uno studio o un’edizione di un testo e, infine, le pubblicazioni periodiche che segnalano tutti gli scritti riguardanti un determinato argomento.
Abituato a prendere appunti e fare schede per gli autori che studio e che mi sono più particolarmente cari (donde le parecchie ‘bibliografie’ da me pubblicate) – scrive il filosofo – osservo questa pratica anche verso me stesso, che mi studio e, in certa misura al meno, mi sono caro (Contributo, cit., p. 66).
Per lui la disciplina bibliografica è, innanzitutto, uno strumento di lavoro acquisito da autodidatta e – come ricorda nel 1902 – perfezionato fin dagli anni del soggiorno romano:
Molte ore intanto passavo in ricerche, spesso mal condotte, alla Biblioteca Casanatense (servita ancora in quel tempo da frati domenicani e fornita soltanto di penne d’oca!); e imparavo da me la tecnica della ricerca, e i sussidi bibliografici (Memorie, cit., p. 14).
Utilizzata secondo modalità diverse, essa diviene parte integrante nella redazione di molti saggi e, al pari del loro contenuto, subisce nel corso del tempo revisioni e aggiornamenti in vista di nuove edizioni. Frequenti riferimenti a controlli bibliografici su volumi non facilmente reperibili e a verifiche su esemplari di opere rare si incontrano nella corrispondenza intercorsa con studiosi, bibliotecari e archivisti. Insieme a Croce essi danno vita a una comunità del sapere in grado di muoversi oltre i confini nazionali e di attraversare indenne la stagione dei regimi totalitari. Il ricorso a elenchi di pubblicazioni si rivela, infine, per lui procedura indispensabile per gestire una produzione ampia, che si sarebbe incanalata in percorsi tematici ben definiti in campo filosofico, storico e letterario.
Affidati a ricerche su antiche leggende e tradizioni popolari napoletane, gli esordi letterari del giovane Croce comportano l’adozione di una forma espositiva quasi repertoriale in cui le fonti si susseguono e sono corredate in nota dai rispettivi riferimenti bibliografici. Emblematico è il caso della Leggenda di Niccolò Pesce apparsa nel luglio del 1885 sulle pagine del «Giambattista Basile. Archivio di letteratura popolare». Dopo aver riportato una versione della leggenda, l’autore presenta le fonti individuate a partire dal 13° sec., ne cita autori e titoli in nota, ringraziando nel commiato Giuseppe Ferrarelli cui deve preziose informazioni sull’argomento e, soprattutto, il racconto della versione da lui utilizzata. Il mese seguente la rivista ospita un secondo articolo dal titolo Giunta alla leggenda di Niccolò Pesce, nel quale Croce rimedia a una grave omissione della precedente rassegna – la ballata di Johann Christoph Friedrich Schiller Der Taucher (1797; Il Palombaro) – e, consapevole della perfettibilità di ogni ricognizione bibliografica, conclude il breve contributo con l’invito ai suoi lettori di segnalare altre versioni dell’opera. Nel gennaio 1886 interviene una terza volta sull’argomento per replicare ad Arturo Graf, che sul «Giornale storico della letteratura italiana» aveva recensito negativamente i suoi articoli segnalando fonti più antiche a lui sfuggite. Rielaborato mediante il ricorso a una narrazione non priva di motivi autobiografici, il saggio è stato poi inserito nel 1919 tra le Storie e leggende napoletane.
Un simile iter redazionale avrebbe contraddistinto larga parte della produzione crociana che, fin dagli anni Novanta, coniuga non di rado attività saggistica e impegno editoriale. Nella collana Biblioteca napoletana di storia e letteratura, diretta personalmente, nel 1891 il giovane Croce dà alle stampe l’edizione annotata di Lo cunto de li cunti (Il Pentamerone) di Giambattista Basile, prevista in due volumi. Nell’ampia introduzione l’esposizione della vita e delle altre opere dell’autore precede il racconto delle vicende editoriali del Pentamerone, apparso postumo per volere della sorella Adriana Basile, e la rassegna bibliografica sulla principale letteratura critica a esso relativa. Lo scarso successo riservato al volume avrebbe dissuaso il curatore dal pubblicare la seconda parte. Circa vent’anni dopo, in apertura dei Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, nel riproporre con alcune modifiche la precedente monografia, egli stesso si dichiara consapevole di averla condotta a suo tempo «un po’ scolasticamente» secondo il seguente schema: «biografia, bibliografia, opere italiane, opere dialettali, fonti, valore letterario, fortuna, influsso, ecc.» (1911, p. XXI). Il secondo capitolo dell’appendice ospita la “Bibliografia delle opere italiane del Basile”, mentre nelle note al testo sono aggiornati i riferimenti bibliografici sull’autore e i suoi scritti. Nel 1929 Croce inserisce ulteriori ragguagli sull’argomento nel contributo sulla Letteratura dialettale e i costumi napoletani, contributo che confluirà due anni dopo, come capitolo XIX, nel volume Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento. Modificato in parte e aggiornato nell’apparato bibliografico, il brano riguardante Basile avrebbe costituito l’introduzione al fascicolo apparso nel 1939 dell’Appendice all’edizione italiana del “Cunto de li Cunti” di Giambattista Basile, che era stata pubblicata in due volumi nel 1925. È lo stesso Croce a rendere partecipe il lettore del metodo di lavoro adottato, che gli consente di integrare e approfondire in ciascuna disciplina le conoscenze acquisite in precedenza. Scrive nell’“Avvertenza” ai Nuovi saggi:
Così nei miei lavori storici come in quelli filosofici ho seguito costantemente il metodo di studiare dapprima l’argomento propostomi per fissarne le linee essenziali e darne la trattazione complessiva; e di continuare poi con l’aggiungere altre prove ed esemplificazioni, svolgimenti particolari, notizie filologiche e bibliografiche, e, finanche, quelle che si chiamano ‘curiosità’ (a cura di A. Fabrizi, 2003, p. 7).
Sul finire degli anni Novanta, epoca del confronto con le teorie di Marx, alle quali il filosofo si era avvicinato come editore di alcuni scritti dell’amico Antonio Labriola, è ormai delineato l’orizzonte entro il quale egli intende svolgere la sua battaglia culturale per la formazione di una coscienza italiana moderna. Composti tra il 1895 e il 1899, i saggi sul materialismo storico e sull’economia marxistica costituiscono per lui un «periodo di studii chiuso» (Memorie, cit., p. 20). Della breve ma intensa esperienza intellettuale, che non uscirà mai del tutto dai confini della sua produzione, egli lascia una concreta traccia a quanti fossero interessati ad avvicinare tali discipline o ad approfondirne i contenuti. In calce alla prima memoria Sulla concezione materialistica della storia, letta il 3 maggio 1896 all’Accademia pontaniana, Croce pone in appendice una bibliografia ragionata con l’intento di presentare agli ‘storici di professione’ italiani la letteratura sull’argomento. In apertura vengono elencate in ordine cronologico le opere di Karl Marx e Friedrich Engels, affiancate dalle rare traduzioni o divulgazioni in italiano e dalla letteratura critica di area socialista e del campo avverso. A seguire sono riportati brevi riferimenti ai precursori nell’ambito degli studi sociali ed economici e, in chiusura, l’esigua produzione critica in lingua italiana. Nel congedarsi dal lettore, egli ribadisce che le informazioni fornite non intendono essere «una bibliografia dell’argomento», ma si propongono di «metter lo studioso sulla via di cercar da sé il resto» (Sulla concezione materialistica della storia, «Atti dell’Accademia pontaniana di Napoli», 1896, 26, p. 21).
Su richiesta della vedova di Francesco De Sanctis, in quegli stessi anni Croce inizia una lunga impresa editoriale che lo porterà a pubblicare, in sedi diverse, corrispondenze e testi editi e inediti del critico irpino. Molti di questi volumi sono corredati da indicazioni bibliografiche, a partire da quello sulla Letteratura italiana nel secolo 19°. Scuola liberale. Scuola democratica apparso nel 1897, nel quale, dopo le nove lezioni sulla letteratura napoletana, sono poste numerose note con informazioni biografiche e bibliografiche. L’anno seguente un contributo bibliografico chiude la raccolta di Scritti vari inediti o rari, prima del saggio Gli scritti di F. De Sanctis e la loro varia fortuna, che il filosofo avrebbe curato nel 1917 in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita. Nel 1934 egli affida a Carlo Muscetta il supplemento alla bibliografia inserito accanto ad alcuni contributi biografici nel volume di Pagine sparse. Nella recensione all’opera, curata peraltro personalmente, Croce inserisce la segnalazione di un giudizio che De Sanctis aveva vergato su un esemplare delle Poesie scelte di Mariannina Coffa apparse postume nel 1883, giudizio sfuggito agli altri studiosi e da lui letto fortuitamente.
La costante attenzione riservata alla disciplina bibliografica induce Croce a iscriversi alla Società bibliografica italiana fondata a Milano nel 1896, sull’esempio di analoghe istituzioni europee, al fine di promuovere lo sviluppo degli studi bibliografici, l’amore per i libri e per le collezioni bibliografiche e l’incremento delle biblioteche in Italia. Attivo fino al 1915, il sodalizio raccoglie in una sorta di comunità bibliografica esponenti di primo piano della vita culturale e politica, da Giosue Carducci, Gabriele D’Annunzio, Graziadio Isaia Ascoli e Alessandro D’Ancona ai ministri Ferdinando Martini e Luigi Rava, ai deputati Ettore Ciccotti ed Emanuele Greppi. Fin dalla prima riunione indetta nel settembre 1897, l’impegno dei soci è rivolto alla realizzazione di un Dizionario bio-bibliografico degli scrittori italiani, progetto affidato due anni dopo a una Giunta di compilazione presieduta da D’Ancona e affiancata da un gruppo di consiglieri tra i quali si incontrano i nomi di Carducci, Martini e dello stesso Croce. I lavori preparatori, però, non andarono oltre la stesura di un breve regolamento, curato da Giuseppe Fumagalli, e la pubblicazione di un fascicolo di saggio comprendente ventuno schede biografiche.
L’inizio del nuovo secolo rende concreta per il filosofo la realizzazione del suo progetto culturale, teso a risvegliare la coscienza filosofica italiana ‘illanguidita’ nei decenni precedenti. Insieme all’editore Giuseppe Laterza e a Giovanni Gentile egli dà inizio alle collane Scrittori d’Italia e Classici della filosofia moderna e alla pubblicazione della «Critica», definita nel piano di studi
una piccola rivista mensile, che conterrà oltre le recensioni di opere d’interesse generale (filosofiche, economiche, storiche, letterarie, etc.), degli articoli retrospettivi sulla produzione italiana dal 1860 in poi (Memorie, cit., p. 27).
Affiancato da pochi amici che condividono il suo orientamento culturale, Croce si pone alla guida del periodico, delinea il programma redazionale, ne definisce tempi e modi di realizzazione. Nel corso del tempo gli indici della rivista restituiscono le tappe di un itinerario bibliografico che attraversa i differenti nuclei tematici della sua produzione e, al termine di ciascuna serie di studi, prevede di raccogliere in volume i singoli contributi lievemente modificati. Dedicato alla Letteratura della nuova Italia, il primo nucleo tematico appare sulla «Critica» tra il 1903 e il 1914 per essere poi raccolto con lo stesso titolo in quattro volumi tra 1903 e 1915. Nell’“Avvertenza” Croce informa i lettori che nella rivista i singoli contributi
erano accompagnati da una ricca bibliografia, autore per autore, la quale ho creduto che bastasse avere stampato una volta sola; e perciò mi sono ristretto a dare in fondo a ciascun volume quel tanto di ragguagli bibliografici che può riuscire utile generalmente (1° vol., 1914, 1973, p. 5).
Secondo uno schema ormai collaudato, nei primi quattro volumi agili note conclusive comprendono un cenno biografico, la bibliografia degli scritti e, infine, quella sulle opere prese in esame. Senza pretesa di esaustività, nel quinto volume brevi spigolature ospitano citazioni dalle opere menzionate, una sorta di crestomazia, e, per informazioni sugli autori, rinviano al Dizionario biografico degli scrittori contemporanei (1879) di Angelo De Gubernatis o al Catalogo generale della libreria italiana (1901-1905) di Attilio Pagliaini.
L’impegno profuso nella redazione della «Critica» non rallenta l’attività del filosofo come socio dell’Accademia pontaniana. Accanto alla serie dedicata alle corrispondenze inedite desanctisiane e degli hegeliani di Napoli, dal 1904 egli inizia a pubblicare negli «Atti» la Bibliografia vichiana. Anche se presenta l’iniziativa senza enfasi, Croce è ben consapevole dell’utilità del suo progetto. Nella prima sezione egli indica le opere edite e inedite di Vico, segnalandone le traduzioni e descrivendo i manoscritti esistenti e quelli smarriti. Nella seconda elenca la letteratura critica sul filosofo, riportando ampi stralci dalle opere meno note, mentre nella terza trascrive corrispondenze e documenti inediti o dimenticati, oltre a segnalare testimonianze iconografiche. Nella redazione delle prime due parti il filosofo dichiara di avere avuto «di mira piuttosto i bisogni degli studiosi che non le curiosità estrinseche in cui si compiacciono bibliofili e bibliomani» (Bibliografia vichiana: saggio presentato all’Accademia pontaniana nelle tornate del 1, 7 e 15 novembre 1903, 1904, p. VII). Dopo oltre quarant’anni, nell’“Avvertenza” alla seconda edizione Fausto Nicolini ricorda come la Bibliografia rifletta in modo speculare la collectio viciana, vanto della raccolta libraria crociana. Al suo interno si serbano, talvolta in esemplari unici,
non solo quasi tutte le ristampe e traduzioni di quasi tutti gli scritti del Vico, anche dei minimi, ma altresì quasi tutto ciò che s’è scritto intorno a lui, in libri, opuscoli, documenti riviste, giornali, fogli volanti, persino in lavori restati inediti (Bibliografia vichiana, edizione accresciuta e rielaborata da F. Nicolini, 1947, p. 1).
La profonda conoscenza dell’opera di Vico e della sua fortuna, acquisita a partire dalla propria preziosa collezione libraria, induce il filosofo a progettare una serie di lavori sull’argomento, dei quali la prefazione costituisce una sorta di manifesto programmatico. Da un lato, prende corpo il disegno di una nuova edizione degli scritti che, rispetto a quelle precedenti curate da Carlo Antonio De Rosa marchese di Villarosa e da Giuseppe Ferrari, si propone di migliorare «la contenenza, il testo, l’ordinamento e l’apparato illustrativo» (B. Croce, Bibliografia vichiana, 1904, p. VIII). Dall’altro, affiora l’esigenza di affiancare all’edizione un’ampia monografia sul pensiero di Vico allo scopo di rivalutarne il prestigio in Italia e di diffonderne la conoscenza in Europa.
I ringraziamenti posti in calce alla prefazione restituiscono il meticoloso metodo di lavoro adoperato da Croce. Fortunato Pintor in Italia e Arturo Farinelli in Germania hanno compiuto ricerche, verificato esemplari e spedito volumi in prestito, mentre gli antichi compagni di collegio, Tommaso e Vincenzo De Rosa marchesi di Villarosa, hanno messo a sua disposizione i preziosi materiali vichiani, manoscritti e a stampa, custoditi dal loro bisavolo e in seguito donati alla Biblioteca nazionale di Napoli. Redatte con notevole perizia, le singole voci offrono schede analitiche, esaurienti sia nella descrizione dell’esemplare, sia nel regesto del contenuto. Croce passa dall’uso della terza persona, nel citare da bibliografo i propri scritti vichiani, alla prima persona singolare o plurale nel caso in cui rende conto di manoscritti e testi a stampa esaminati, riferisce l’esito di ricerche o esprime un’opinione in merito a questioni interpretative. Alcune questioni inducono l’autore a compiere digressioni di carattere metodologico, come i pretesi plagiari di Vico tra i quali figura anche il nome di Montesquieu. Nel riferire giudizi e testi sul filosofo nel corso del 18° sec., Croce afferma:
Io fo subito la dichiarazione che, in genere, a questi plagi commessi da uomini d’ingegno credo poco. La ricerca e scoperta del vero produce dubbii così tormentosi che non può non essere di conforto ed esultanza il riconoscere i proprii precursori e difficilmente si resiste al desiderio di indicarli. Perciò plagiarii sono, di solito, soltanto gli sciocchi (Bibliografia vichiana, 1904, p. 44).
La breve sezione sulla saggistica novecentesca si apre e si chiude nel nome di Croce che, nei quindici titoli riportati, registra ben sei occorrenze. Inizialmente è citato Giambattista Vico primo scopritore della scienza estetica («Flegrea», 1901, 2, pp. 1-26 e 97-116), saggio poi confluito nell’Estetica e, a seguire, alcuni brevi contributi che spaziano dall’ambito filosofico a quello storico-letterario. Nella terza parte l’autore, in prima persona, riprende il filo della narrazione che si avvale della pubblicazione di documenti biografici e corrispondenze inedite, integrate da testimonianze iconografiche. Nell’arco di un quarantennio la fedeltà di Croce verso gli studi vichiani si conferma in una lunga serie di saggi, articoli, spigolature, senza trascurare il costante aggiornamento bibliografico. Ben sette supplementi appaiono in riviste, atti accademici e in appendice alla riedizione della Difesa dell’autorità delle Sacre Scritture contro G.B. Vico: dissertazione del 1768 di Gian Francesco Finetti pubblicata nel 1936 nella Biblioteca di cultura moderna. Consapevole della necessità di rielaborare gli otto fascicoli della Bibliografia vichiana in vista di una nuova edizione, Croce affida l’impresa a Nicolini, al quale offre le schede di aggiornamento da lui preparate. L’idea iniziale prevede di realizzare un volume agile, con rinvii alle pagine della prima edizione per integrazioni di carattere bibliografico e descrizioni più ampie per notizie di maggiore rilevanza. L’intenso lavoro redazionale compiuto da Nicolini porterà a pubblicare, tra il 1947 e il 1948, la seconda edizione accresciuta e rielaborata della Bibliografia vichiana. Salvo casi eccezionali, il curatore adotta il «sistema, più rapido, dei riassunti alternatisi con parole e frasi testuali» invece delle lunghe citazioni, spesso in lingua originale, preferite da Croce nella prima edizione, che avrebbe continuato a svolgere «il sempre utile ufficio di archivio vichiano» (Bibliografia vichiana, 1947, p. 8). Per segnalare scritti inediti di cui dà conto nelle giunte e correzioni poste in appendice al secondo volume, Nicolini attinge alla collectio viciana, archivio di fonti manoscritte e a stampa incrementato nel tempo dal filosofo. Tra i contributi novecenteschi si incontrano alcune missive in merito alla fortuna di Vico in Germania inviate a Croce dagli studiosi Ludwig Woltmann e Otto Klemm. Accanto a esse un autografo di Guido De Ruggiero, Il Vico nella cultura contemporanea, articolo composto nel 1911 in occasione dell’edizione del primo volume della Scienza nuova del 1730 curata dello stesso Nicolini. Destinato al «Corriere della sera», ostile in quel tempo alla filosofia, il testo sarebbe rimasto inedito. Nello stesso anno sarà pubblicato il quinto volume dell’edizione critica delle opere vichiane, L’autobiografia, il carteggio e le poesie varie, l’unico a essere affidato a Croce che si dedica, nello stesso arco di tempo, alla stesura del saggio sul pensatore napoletano, La filosofia di Giambattista Vico. Nella seconda edizione, riveduta e aumentata nel 1929, l’Autobiografia è integrata in appendice dalle note redatte da Nicolini in cui, per ciascuna delle tre sezioni, nuove fonti si aggiungono a quelle contenute in precedenza nella Bibliografia. Oltre a fornire indicazioni sui criteri seguiti nella trascrizione delle lettere, la nota relativa al carteggio rende conto dei ritrovamenti compiuti e delle segnalazioni ricevute, che permettono di offrire al lettore ottantasette lettere, ben trentasei in più delle cinquantaquattro pubblicate da Villarosa nel secondo volume degli Opuscoli. Il paragrafo dedicato alle poesie riferisce, tra l’altro, dell’unico esemplare con correzioni autografe degli Affetti di un disperato. L’edizione originale del 1693 conservata nella collectio viciana consente di restituire una lezione corretta del testo.
Nell’“Avvertenza” alla Bibliografia vichiana del 1947 Nicolini può tracciare un bilancio positivo circa l’edizione critica degli scritti auspicata da Croce nel 1904. In particolare, egli ritiene pienamente assolta la funzione di supporto che era stata affidata nella prefazione agli strumenti bibliografici. Ampie note bibliografiche in calce a ciascun volume e annotazioni storiche a corredo dell’autobiografia, del carteggio, degli scritti vari e dei versi hanno assorbito e rielaborato «ciò che, nella vecchia Bibliografia, nei Supplementi e negli studi complementari del Nicolini, era materiale relativo così alla bibliografia degli scritti come alla biografia» (p. 3).
Nei primi anni del Novecento, il nesso tra edizione critica e strumento bibliografico caratterizza anche l’approccio di Croce alla filosofia hegeliana. Nel 1907, con la traduzione dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, egli inaugura la collana di testi e traduzioni italiane Classici della filosofia moderna, concepita insieme a Gentile. Nello stesso anno Croce dà alle stampe il saggio Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, che ospita nella prima parte «l’introduzione critico-filosofica» in cui inizia il confronto con l’opera del pensatore tedesco. La seconda parte del volume contiene il Saggio di una bibliografia hegeliana, realizzato nell’intento di «risvegliare in Italia lo studio di quel gigante del pensiero che fu Hegel». Nell’“Avvertenza” egli ricorda come essa sia sorta
da una serie di appunti presi dapprima per uso personale, ed è certamente meno di quello che occorrerebbe per una completa Bibliografia hegeliana; ma, a ogni modo, è qualcosa di più degli elenchi bibliografici che si hanno finora (Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel, 1907, p. VI).
Articolato nelle sezioni “Opere di Hegel” e “Letteratura intorno ad Hegel”, il saggio si affianca ai contributi bibliografici in lingua tedesca e in lingua inglese – secondo quanto riporta in nota lo stesso Croce – e colma una lacuna significativa nella storiografia filosofica italiana. Particolarmente dettagliata appare la scheda dedicata alle edizioni in lingua originale dell’Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, tra le quali è preferita la più recente curata da Georg Lasson nel 1905, che sarà scelta dal filosofo come testo base per la sua traduzione. Tra le traduzioni in lingua italiana, all’impietoso giudizio riservato al volume sulla Fenomenologia dello spirito, pubblicato a Napoli dal religioso molisano Alessandro Novelli nel 1863, segue l’accenno all’impresa di ben altro tenore che lo zio Silvio Spaventa aveva avviato «quando era ancora nell’ergastolo di Santo Stefano forse intorno al 1857» (p. 222). Il ricorso alla terza persona accentua la sobrietà con cui è redatta la scheda della propria traduzione, alla quale è premessa una prefazione «sulla storia esterna dell’opera». La scheda si conclude con l’annunzio della traduzione «della Fenomenologia dello spirito e di due volumi di scritti varî e pagine scelte di Hegel» da includere nella stessa collezione (p. 223).
Il progetto non sarà realizzato, ma trova conferma nel piano editoriale della collana, che prevede la pubblicazione di venticinque o trenta volumi in grado di rappresentare le principali tappe della storia della filosofia moderna. Per restituire la parola ai filosofi, i curatori intendono illustrare i testi con «note sobrie, puramente storiche e filologiche», riservando «nel corso della pubblicazione della serie, o alla fine di esso uno speciale volume, contenente un sommario critico della filosofia moderna, corredato di scelte notizie bibliografiche» (p. 281). I nomi di Croce e Gentile ricorrono con frequenza nella sezione del Saggio dedicata alla letteratura in lingua italiana, in quanto entrambi curano edizioni di testi e corrispondenze dei fratelli Spaventa e degli hegeliani di Napoli. Dell’Estetica crociana sono indicati i luoghi in cui l’autore tratta delle teorie hegeliane sull’argomento. Nel 1913, nel licenziare la seconda edizione del Saggio sullo Hegel, Croce non ritiene opportuno riproporre il saggio bibliografico, accresciuto nelle traduzioni tedesca e francese dell’opera, al quale occorrevano ulteriori aggiunte. Nell’“Avvertenza” propone di ripubblicarlo separatamente e, rivolgendosi a un ideale curatore disposto a rivederlo e aggiornarlo a vantaggio degli studi hegeliani, si dichiara pronto a donare il suo «abbozzo di bibliografia, sul quale potrà esercitare pienissimo il ius utendi et abutendi» (Saggio sullo Hegel, a cura di A. Savorelli, 2006, p. 7). Assolto il compito di offrire al pubblico italiano gli strumenti indispensabili allo studio della filosofia hegeliana, Croce inserisce in appendice interventi volti a chiarire luoghi controversi della sua interpretazione. Secondo una consuetudine che sarebbe stata adottata con sempre maggiore frequenza, nella seconda parte del volume egli raccoglie brevi scritti di storia della filosofia editi in precedenza in modo sparso. Tra di essi solo uno, dedicato al rapporto tra De Sanctis e l’hegelismo, si collega al testo iniziale. Nella breve nota all’“Avvertenza”, aggiunta nel 1948 per presentare la quarta edizione del saggio, il filosofo, ancora una volta bibliografo di sé stesso, informa il lettore che tale confronto è proseguito, nel corso dei decenni, in alcuni scritti della maturità, dalla Teoria e storia della storiografia (ed. tedesca 1915, ed. italiana 1917) alla Storia come pensiero e come azione (1938), dal Carattere della filosofia moderna (1941) ai Discorsi di varia filosofia (2 voll., 1945) e al contemporaneo Filosofia e storiografia (1949).
Gli anni tra le due guerre confermano la validità di un metodo di lavoro che Croce ha sperimentato a partire dal 1903, quando iniziò a pubblicare sulla «Critica» contributi relativi ad ambiti disciplinari diversi, concepiti come capitoli di monografie che vedranno la luce al termine della serie. La consultazione della bibliografia sugli scritti crociani curata da Silvano Borsari nel 1964 consente di verificare tempi e modi di un’operosità che avrebbe accompagnato l’intera vita del filosofo. Secondo una consuetudine documentata dai numerosi autografi del fondo crociano conservato presso la Biblioteca nazionale di Napoli, l’autore rivede testi e note, apportando non di rado lievi modifiche ai titoli degli articoli che diventano capitoli del volume e integrandone, dove necessario, i riferimenti bibliografici. A distanza di alcuni anni, il volume potrà essere ripreso e rielaborato in vista di ristampe o nuove edizioni e, a tale scopo, Croce conserva presso di sé una copia intonsa sulla cui copertina annota «copia per giunta e correzioni».
Risultano emblematiche, al riguardo, le modalità seguite nell’aggiornamento del corredo bibliografico per la riedizione delle opere di argomento storico. Per approntare la terza edizione della Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza data alle stampe nel 1941, circa due anni prima egli utilizza un esemplare dell’edizione precedente apparsa nel 1922, ora conservato nel fondo crociano della Biblioteca nazionale (BNN, ms. XIX.226). Su un cartiglio apposto prima del bottello si leggono le annotazioni «Es. con aggiunte e correzioni per la ristampa» e «Una copia ordinata e completa è presso Laterza per la ristampa». Come riferisce nell’“Avvertenza”, l’autore predispone, «oltre qualche lieve ritocco, non poche aggiunte, inserite ai loro luoghi nei singoli capitoli». Il testo presenta, infatti, interventi rilevanti per qualità e quantità. Quasi tutte le pagine recano tracce di interventi correttori vergati dalla mano di Croce e della figlia Alda Croce. Concentrate in prevalenza nell’area delle note, essi sono frequenti anche ai margini del testo. Alcune aggiunte sono riportate su piccoli fogli incollati al margine inferiore e poi ripiegati o fissati su un solo lato nella cucitura al centro del volume. Buste di vario formato contengono, infine, ritagli di spogli bibliografici e schede di lavoro utilizzate per l’aggiornamento delle note.
Diverso è il caso della Storia del regno di Napoli, data alle stampe nel 1925. Nel raccogliere in volume i contributi sull’argomento apparsi sulla «Critica», Croce intende proseguire il racconto iniziato nei secoli precedenti dai grandi esponenti della storiografia meridionale, nella speranza di contribuire a «meglio intendere e a meglio giudicare taluni punti non bene schiariti». A tale scopo, egli aggiunge alle note in calce al testo «una breve bibliografia, che indichi i libri da cercare di preferenza sul complesso e sulle singole parti e i varî problemi della storia del regno di Napoli» (a cura di G. Galasso, 1992, p. 10). Articolati secondo la sequenza cronologica in nove paragrafi, i “Consigli bibliografici” costituiscono un’agile guida alla ricerca, che, senza trascurare l’indicazione delle fonti, rende conto in forma discorsiva della produzione storiografica italiana e straniera. Aggiornata nel 1931, nel 1943 e, infine, nel 1953 per la quarta edizione postuma, la nota riporta in più luoghi contributi crociani, in particolare nell’ottavo paragrafo dedicato alle vicende comprese fra il 1799 e il 1860. In apertura l’autore invita il lettore a esercitare nei confronti delle opere ‘consigliate’ il dovuto ‘spirito critico’, sottolineando come esse siano
fonti di notizie e strumenti di studio, e non già oracoli di verità: dei quali chi scrive non sarebbe in grado d’indicar nessuno, nonché per la storia del regno di Napoli, per qualsiasi altro argomento di storia o di scienza (p. 303).
La terza persona, alla quale Croce ricorre per menzionare i propri scritti in nota o negli apparati bibliografici delle singole opere, si alterna all’uso della prima persona quando, nelle “Avvertenze”, egli deve rinviare invece ad altre opere da lui stesso composte sul medesimo argomento.
Nelle Memorie e nel Contributo il filosofo diventa, invece, bibliografo di sé stesso e affida alla mediazione del racconto autobiografico consuntivi e progetti di lavoro. In particolare sono le giunte del 1934 e del 1941 al Contributo a fornire ragguagli sulla temperie morale e culturale fra le due guerre, che fa da sfondo alla grande stagione delle opere storiche, di critica letteraria, di etica e di estetica. In una pagina del 1934, nel rievocare le tappe di questo lungo itinerario, Croce sottolinea come i propri scritti non debbano essere considerati «libri definitivi». In realtà, essi appartengono alla categoria che i tedeschi chiamano bahnbrechende, in quanto «non ripetono le cose già sapute, non arruffano le matasse ma le dipanano, e non tolgono ad altri la voglia di cercare e pensare, e anzi li eccitano a nuovi pensieri e ricerche» (Contributo, cit., p.78). Una simile concezione delle proprie opere, intese come struttura aperta, consente al filosofo di continuare il dialogo avviato con i lettori della «Critica» e proseguito con alcuni di essi che, nel tempo, sono entrati a far parte della vasta rete epistolare e delle sue frequentazioni. Tra i primi a rievocare i modi di una vita di relazione priva della retorica e del sussiego propri di tanti ambienti accademici è Giuseppe Prezzolini. Nella monografia, con cui apre nel 1909 la collezione dedicata ai Contemporanei d’Italia, egli offre una biografia intellettuale e spirituale di Croce, presentato come critico, poeta della filosofia, uomo ed educatore. Il filosofo è descritto alle prese con interlocutori che, da ogni parte d’Italia, «lo tempestano di libri, di versi, di articoli, di bozze di stampe e di manoscritti». A ciascuno di essi risponde personalmente, esprimendo un sia pur breve giudizio. «Presta libri, anche rari, della sua ricca e scelta biblioteca – osserva il letterato – invia bibliografie, indicazioni, temi di lavoro. Ha per tutti un pensiero, senza artificio» (G. Prezzolini, Benedetto Croce. Con bibliografia, ritratto e autografo, 1909, p. 73). A corredo del saggio l’autore inserisce poi una Bibliografia delle opere del filosofo, compilata su sua richiesta dall’amico Antonio Sarno. Collaboratore di Croce, che avrà sicuramente vigilato sul suo operato, il giovane Sarno ha disposto in ordine tematico gli scritti editi fino al 1909 e li ha suddivisi in due parti. La prima è dedicata alle opere filosofiche e alla relativa letteratura critica, la seconda alla produzione di storia letteraria, artistica e politica.
Dieci anni dopo, a breve distanza dalla pubblicazione del Contributo, con l’aiuto di Giovanni Castellano il filosofo confeziona per uso personale un Catalogo delle pubblicazioni di B. Croce, un quaderno a fogli mobili conservato tra i suoi autografi presso la Biblioteca nazionale di Napoli (BNN, ms. XIX.224/59). Sulla pagina destra sono riportati in ordine cronologico i titoli degli scritti editi dal 1882, mentre la pagina sinistra è riservata alle Osservazioni. Accanto a notizie tecniche riguardanti ristampe o riedizioni, Croce aggiunge di suo pugno giudizi incisivi, a volte lapidari, sugli elaborati giovanili, ipotizzando progetti editoriali nell’intento di recuperarli. All’elenco che, forse a causa degli imminenti impegni politici, si interrompe ai primi mesi del 1920, seguono due sezioni. La prima contiene I miei lavori editoriali (fino a giugno 1915), la seconda il Piano definitivo dell’ordinamento dei miei scritti (Luglio 1918) divisi per editori. Tra i progetti si legge quello riguardante una raccolta di Saggi sulla Storia d’Italia, all’epoca «solo in mente» (BNN, ms. XIX.224/59, c. 107r).
Medesima attenzione è riservata dal filosofo nel predisporre la bibliografia concernente la letteratura critica relativa alle proprie opere. I Taccuini di lavoro registrano l’impegno quotidiano, profuso in prevalenza durante le ore serali, nel preparare le Miscellanee di scritti riguardanti B. Croce. Dal 1897 al 1952 novanta volumi rilegati in pergamena chiara documentano la circolazione dei suoi testi e consentono di ricostruire polemiche e dibattiti ai quali hanno dato vita. All’interno di ciascun volume sono incollati sui singoli fogli ritagli di giornali e di riviste, estratti, opuscoli, lettere manoscritte o dattiloscritte. Con grafia minuta Croce annota, negli spazi bianchi, commenti, osservazioni, riferimenti bibliografici, appunti, repliche, postille destinate alla «Critica» o ai «Quaderni della “Critica”». Brevi notizie bibliografiche sono da lui inserite, con procedimento analogo, tra le carte di guardia dei volumi disposti in duplice fila negli scaffali della biblioteca. Informazioni circa la data di edizione, la rarità di un esemplare o la sua provenienza sono annotate sulle carte di guardia o su piccoli foglietti incollati per un lembo all’interno del piatto anteriore. Talvolta il filosofo riporta gli estremi bibliografici del contributo redatto o dell’edizione curata personalmente a partire da un volume acquistato sul mercato antiquario o scovato su una modesta bancarella. Strumento indispensabile per ricerche d’ogni genere è la sezione di bibliografia che occupa tre palchetti dello scaffale XXIX nella sala della collectio viciana. Repertori correnti in lingua italiana, francese, inglese, tedesca e spagnola si alternano a bibliografie tematiche in prevalenza di ambito storico e letterario. Raffinati cataloghi apparsi a Londra e Parigi, rari volumi stampati a Napoli e Venezia restituiscono il sapore della produzione bibliografica ottocentesca. Dizionari di opere poste all’indice, soppresse o censurate, cataloghi di raccolte librarie private e di fondi conservati nelle biblioteche europee costituiscono una risorsa preziosa per le indagini crociane che, nel corso di una vita lunga e operosa, hanno portato a compimento i progetti elaborati negli anni giovanili.
G. Castellano, Benedetto Croce. Il filosofo, il critico, lo storico, seconda edizione con l’aggiunta di una bibliografia cronologica degli scritti del Croce, Bari 1936.
L’opera di Benedetto Croce. Bibliografia, a cura di S. Borsari, Napoli 1964.
D. Beth Marra, La biblioteca di Benedetto Croce. Le note autografe ai libri, 1° vol., Scrittori dell’età barocca, Napoli 1994.
C. Giunchedi Borghese, E. Grignani, La Società Bibliografica Italiana. 1896-1915. Note storiche e inventario delle carte conservate presso la Biblioteca Braidense, Firenze 1994.
Dalla biblioteca di Benedetto Croce, catalogo della mostra di autografi e libri a stampa, Napoli, nella sede dell’Istituto, a cura di M. Rascaglia, N. Ruggiero, prefazione di G. Sasso, Roma 2002.
Benedetto Croce. I percorsi della scrittura, mostra di autografi, documenti e testi a stampa, Napoli 2003.
M. Rascaglia, Croce lettore di Marx e Engels, in Croce e il marxismo un secolo dopo, Atti del convegno di studi, Napoli 2001, a cura di M. Griffo, Napoli 2004, pp. 359-76.
D. Beth Marra, La biblioteca di Benedetto Croce. Le note autografe ai libri, 1° vol., Scrittori del Rinascimento, Napoli 2005.
M. Panetta, Croce editore, 2° vol., 1883-2002, Napoli 2006.